Articolo del Syrianwise team pubblicato l’11 marzo 2023.
(Traduzione di G.De Luca)

Ritratto di Samira Al-Khalil, dell’artista Marc Nelson
Samira al-Khalil è nata il 2 febbraio 1961. La sua famiglia proveniva dalla piccola città di al-Mukharam al-Fawqani nella campagna orientale di Homs, ma Samira è nata ad As Suwayda a causa del lavoro di suo padre come poliziotto. Era (É- ndt) la quarta figlia di quattro figlie e cinque figli. Sua madre era una “casalinga” dedita alla cura della famiglia di undici persone e trascorreva la maggior parte del tempo facendo da pendolare tra al-Mukharam e la città di Homs fino a dopo il pensionamento del padre, quando i suoi genitori si stabilirono definitivamente nel villaggio.
Dopo il liceo, Samira si iscrisse all’università per studiare letteratura francese ma non andò molto lontano nei suoi studi. Poco più che ventenne, si unì al Partito di Azione Comunista anti-regime nella sua città natale di Homs e divenne attiva nei suoi ranghi.
Samira venne arrestata nel 1987 nell’ambito di una massiccia campagna del regime di Assad che aveva como fine quello di far scomparire l’organizzazione di cui Samira faceva parte (Il partito comunista dei lavoratori-NDT). Venne trasferita a Damasco dove fu torturata durante gli interrogatori come è solito accadere nella Siria di Assad. Samira fu poi trasferita insieme a diverse sue compagne nel carcere femminile di Douma dove avrebbero trascorso più di quattro anni prima di essere rilasciate il 26 novembre 1991.
Dopo il suo rilascio, Samira svolse una serie di lavori non qualificati per mantenersi prima di apprendere nozioni basiche di informatica nella seconda metà degli anni ’90, come molti altri giovani donne e uomini siriani facevano all’epoca. Era un’abilità vantaggiosa per una donna sulla trentina che era disoccupata e aveva precedenti come prigioniera politica.
Nella capitale, Samira lavoró per l’ufficio del quotidiano degli Emirati, Al Khaleej nel 1999, ma ha svolgeva anche un secondo lavoro presso una casa editrice emergente per sopravvivere. All’epoca, il mercato del lavoro per quelli come lei era limitato a questi campi ristretti e il reddito mensile superava appena le 5.000 lire, Samira pagava 1.500 lire per il suo modesto alloggio, le rimanevano quindi l’equivalente di 70 dollari al mese per vivere. Ma Samira, che voleva vivere in modo indipendente, riusciva a vivere con una somma così piccola e anche inferiore.
Samira e Yassin al Haj Saleh si sposarono nel 2002 e insieme presero parte ai forum della Primavera di Damasco. Entrambi partecipavano in modo indipendente anche a una varietà di circoli di attivismo pubblico. Samira trascorreva anche del tempo nei comitati di rinascita della società civile e partecipando alle discussioni preliminari della dichiarazione di Damasco-Beirut sulle relazioni siro-libanesi. Per Samira e Yassin, i cinque anni che hanno preceduto la rivoluzione sono stati gli anni di una coppia vicina ai cinquant’anni; che viveva per la prima volta una vita stabile in un paese che stava per assistere a una grande esplosione.
Il 16 marzo 2011 Samira partecipava al sit-in davanti al Ministero dell’Interno. Durante il primo anno della rivoluzione siriana, Samira continuava a muoversi segretamente per motivi di sicurezza. Nel secondo anno della Rivoluzione trascorse la maggior parte del tempo con il marito, anch’egli costretto a vivere nascosto. Ma non importa dove andassero, la sicurezza era sfuggente perché era un anno molto violento in tutto il paese.
Tuttavia, Samira continuó a essere un’attivista durante i suoi due anni trascorsi in clandestinità, partecipando ad attività sul campo e aiutando come poteva. Fu una fatale coincidenza che Samira sia diventata ricercata dal regime due o tre settimane dopo che suo marito si fosse trasferito da Damasco alla Ghouta orientale, in quella che doveva essere una stazione di transito sulla strada per il nord. Spinta dalla minaccia imposta dal suo status di ricercata e dal suo desiderio di stare con lui e condividere il suo nuovo ambiente poiché non sapevano quanto sarebbe durata la sua permanenza, Samira raggiunse Yassin nella Ghouta orientale un mese e mezzo dopo il suo arrivo.
“Quello che si sarebbe rivelato l’errore di una vita fu quando lasciai Douma per andare Raqqa (la sua città natale) la sera del 10 luglio 2013, che in quel momento non ci è sembrato altro che un rischio necessario tra i rischi che erano stati preceduti e seguiti da altri. Era un must”, ha detto suo marito Yassin, in un articolo pubblicato da AL JUMHURIYA nel dicembre 2020 intitolato Samira’s Story.
Dedicata alle donne e ai bambini della Ghouta orientale e al compito di documentare i crimini commessi lì dal regime e da altri gruppi, Samira non aveva alcuna pressione che la spingesse a lasciare la zona in quel momento, come è evidente nel libro Diary of the Siege in Douma che contiene una raccolta dei suoi scritti pubblicati dal marito dopo la sua scomparsa. Il libro si compone di tre sezioni; la prima include una trascrizione dei documenti scritti a Douma tra il massacro chimico dell’agosto 2013 e il suo rapimento a dicembre, la seconda sezione include i suoi post su Facebook nei pochi mesi precedenti il suo rapimento, e la terza sezione comprende tre articoli su Samira scritti da suo marito Yassin.
Nel novembre 2013 venne imposto un assedio completo sulla Ghouta orientale. Prima di allora, si trattava di un pesante assedio, ma le persone potevano ancora accedere alle loro proprietà o attività commerciali a Damasco dalle città di Ghouta, anche se venivano perquisite, umiliate e avevano cibo e rifornimenti che cercavano di riportare con sé nell’area assediata quotidianamente. Ma dopo novembre fu imposto un assedio assordante e un blocco totale.
L’assedio era serrato dall’esterno, ma anche dall’interno, poiché l’area era stata occupata da Liwa al-Islam, una milizia islamica che successivamente cambió il suo nome in Jaysh al-Islam. Alla fine di settembre, la milizia militante che era stata istituita da Zahran Alloush (rilasciato deliberatamente dal carcere dal regime di Assad a metà del 2011 per aver sostenuto la sua narrativa propagandistica di lotta ai terroristi islamisti), si era trasformata in un esercito ed era diventata più di prima, l’autorità de facto a Douma e il più forte contendente al potere nella Ghouta orientale.
A quel punto Samira non aveva più intenzione di restare; si trovava a Douma come rifugiata temporanea in attesa di un’occasione più adatta per raggiungere il marito. Ma il destino intervenne e il 9 dicembre 2013, Samira e i suoi amici e colleghi attivisti per i diritti umani Razan Zaitouneh, il marito di Razan, Wael Hamadeh, e Nazem Hamadi, un noto poeta e avvocato, vennero rapiti dal loro ufficio nella East Ghouta. Quello che è successo successivamente al gruppo di difensori dei diritti umani, icone della rivoluzione siriana ora denominate “Douma Four”, è tuttora sconosciuto.
Ispirato dai suoi ricordi di Samira, dal suo umorismo gentile, dalla forza nobile, dalla tranquilla dignità e dal persistente rifiuto di arrendersi di fronte all’abietta crudeltà e all’ingiustizia, il marito dal cuore spezzato continua a essere un attivista per la libertà siriana e ha pubblicato molti dei i suoi scritti dopo il rapimento della moglie. Di recente ha scritto che “l’assente Samira non sa tutto quello che è successo in sua assenza. Durante questi dieci anni, i suoi genitori e la sorella Amal sono morti e i suoi cari sono stati separati vicini e lontani”.
Il 2 febbraio 2022, in quello che sarebbe stato il 61° compleanno di Samira, l’Associazione Samira al-Khalil è stata ufficialmente presentata al mondo dalla sua famiglia e dai suoi amici. Lo scopo dell’associazione è quello di mantenere viva la storia e le lotte di Samira, dando potere alle donne, nelle regioni arabe e mediterranee, che sono attive nei campi dell’arte, della letteratura e della difesa della giustizia e dei diritti umani.
Per promuovere tale obiettivo, il primo premio annuale Samira al-Khalil é stato presentato a Parigi in occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna, l’11 marzo 2023, a “una donna la cui pratica e traiettoria sono solidali con la lotta per porre fine alla violazione dei diritti e delle libertà fondamentali nelle regioni arabe e mediterranee”.
Il premio ogni anno metterà in evidenza una pratica specifica tra una vasta gamma di campi artistici e di attivismo, l’attenzione quest’anno é stata diretta alle registe donne.