Di Yassin Al Haj Saleh. Pubblicato il 13 settembre 2021 su Henna. Traduzione di G. De Luca
L’atroce e la sua rappresentazione:
riflessioni sulla forma distorta della Siria e la sua tumultuosa formazione, dell’intellettuale siriano Yassin al-Haj Saleh, pubblicate recentemente da Dar al-Jadeed.
Lo scrittore, editore e intellettuale libanese Luqman Salim aveva supervisionato la redazione di questo libro quando è stato assassinato in Libano, il 4 febbraio 2021. Salim è stato colpito da cinque colpi di arma da fuoco, dopo aver ricevuto diverse minacce a causa delle sue attività politiche. Si pensa che Hezbollah sia responsabile.
Uno dei più importanti intellettuali siriani di oggi, Haj Saleh si occupa dell’orrore che permea la storia recente del suo paese. Questo libro è frutto di quell’orrore. L’autore ha trascorso 16 anni nelle carceri del regime siriano. Sua moglie e compagna, Samira al-Khalil è stata rapita ed è scomparsa insieme ad altre tre persone, il gruppo di attivisti è conoscouto come i 4 di Douma, si pensa che il responsabile del rapimento sia un gruppo islamista nella Ghouta orientale in Siria.
I paesi da cui provengono Salim e Haj Saleh sono crollati sia economicamente che politicamente e hanno sia ospitato massacri che ondate di persone sfollate.
Quattro mesi dopo l’assassinio di Salim, copie di questo libro furono distribuite, in presenza della sua famiglia e dei suoi amici, vicino al suo luogo di sepoltura.
Henna sta per pubblicare la traduzione in inglese.
Yassin Al Haj Saleh
Questa introduzione è dedicata alla piattaforma Henna, partner in un destino condiviso.
Introduzione
L’ATROCE
Questo libro riflette sull’atroce, ciò la cui forma è deformata dalla violenza, così come sulla violenza che deforma. Negli ultimi dieci anni, innumerevoli siriani hanno sperimentato mondi di vita carichi di esperienze orribili, tra cui la tortura e l’incarcerazione, la perdita dei propri cari, la distruzione degli ambienti di vita, l’asilo e la separazione, spesso preceduti da sradicamento e sfollamento.
Alcune sezioni del testo affrontano la demolizione dei corpi. Altri si preoccupano del lavoro di coloro che stanno demolendo corpi e delle loro regole nel mettere in atto tale distruzione. Alcuni indagano su cosa ci sia di nuovo nella morte dei siriani. Altri esplorano le evocazioni delle immagini dei corpi demoliti. Tutti, però, raccontano parti della storia di una carneficina totale, che cambia corpi, edifici e strutture civili, in maniera inquietante, brutta, abominevole.
Inoltre, questo abominevole cambiamento lascia irriconoscibili le vittime delle atrocità, siano esse oggetti o esseri viventi. Gli esseri colpiti dall’atroce sembrano venuti da un mondo parallelo e infernale. La perdita della forma, sofferta dai corpi, dagli ambienti di vita e dalla stessa Siria, è un invito per noi, gente che vive l’atroce, a intraprendere una riforma. Reclamare la nostra forma o riformare in un modo più favorevole la vita. In quanto cultura, pensiero, letteratura e arte sono tutti mondi della forma, costituiscono il regno a nostra disposizione per rispondere al richiamo di un mondo sfigurato, scuoiato vivo. Questo libro esamina la nostra forma distorta e aspira a contribuire a una riforma distinta.
CAPITOLI
La prima sezione di questo libro si occupa della produzione dell’atroce e dei suoi produttori. Il secondo riguarda le sue rappresentazioni, i nostri modi di pensarle e parlarne, così come le forme che elaboriamo come risposta all’assenza di forma e alla deturpazione. Inoltre, il secondo capitolo si occupa dell’impossibilità di rappresentare, del travisamento e dei fallimenti di rappresentazione. Per cercare di dare un nome alla nostra condizione, la nozione di atroce in quanto tale viene introdotta solo nel secondo capitolo.
Questo perché l’esperienza dell’atroce precede la sua concettualizzazione e le sue rappresentazioni. Tuttavia, non possediamo questa esperienza e quindi ce ne appropriamo senza lavorarci a fondo e rappresentarla, cioè senza “consultarla”, parlandone attraverso i nostri strumenti di espressione e di pensiero. Non è più un percorso praticabile per noi, nel decimo anno di esperienza dell’atroce e dell’informe, perseverare negli stessi vecchi metodi di espressione e rappresentazione, per finire poi con l’ aggrapparsi agli strumenti che hanno preceduto quest’ultimo decennio.
I nostri metodi preesistenti sono insensibili alle nostre nuove, orribili esperienze. Di fatto normalizzano l’orrore incorporandolo in un linguaggio e metodi di rappresentazione preesistenti. Essi quindi attenuano il senso dell’atroce invece di acutizzarlo. Questo libro aspira a contribuire alla consapevolezza dell’atroce poco dopo il suo svolgersi, con la speranza che la consapevolezza evochi l’indignazione morale e incoraggi la creatività e la giustizia.
La prima parte del libro contiene quattro capitoli, il primo dei quali riguarda ciò che è comune tra amore, tortura, stupro e annientamento. Le prime tre nozioni, trasgressioni dei confini, sono consensuali nel caso dell’amore, forzate nei casi di tortura e stupro. I confini trasgrediti non sono solo fisici, ma anche psicologici, sociali e universali. Il secondo capitolo, “Le Relazioni Politiche della Tortura”, esplora la tortura come relazione politica fondamentale nella Siria di Assad da quasi mezzo secolo. Pertanto, qualsiasi discussione sulla politica in Siria deve iniziare con la tortura. La Palmira Shari’a contempla la generalizzazione, in seguito alla rivoluzione, del sistema dei campi di tortura di Palmira in tutta la Siria: la palmirizzazione della Siria. Il metodo di uccisione di Assad è giustapposto ai suoi fratelli, nazismo e stalinismo, attribuendo il potenziale genocida del regime alla sua struttura settaria che, dopo l’inizio della rivoluzione, ha preso una piega razzista. Infine, “Una Tomba per l’Intero Essere di una Persona”affronta i grandi cambiamenti nella morte dei siriani, parallelamente alle trasformazioni delle loro vite da quando si sono ribellati all’autorità di Assad. Tutti e quattro esplorano la produzione dell’atroce e ne dicono qualcosa sul modo di produzione.
La seconda sezione del libro comprende quattro capitoli riguardanti le rappresentazioni dell’atroce e lo stupore riguardo una sua possibilità. Il primo, “Percorsi sull’Atroce”, cerca di definire l’atroce in termini di violenza e assenza di forma, e individua quattro diversi percorsi per affrontare l’esperienza dell’atroce: indignazione; silenzio e ritirata; creatività; e violenza. “Guardare in faccia l’Atroce” esamina il dibattito siriano sull’immaginario delle atrocità. Sostiene, a causa del fatto che la nostra anticipata cultura di emancipazione sarebbe costruita sulle nostre attuali esperienze distruttive, per la necessità di rendere tali immagini disponibili al pubblico, in particolare se non si soffre direttamente dell’atroce nella realtà. ” Ferite e Parole” contempla la rappresentazione delle nostre esperienze e delle nostre crisi. Distingue due volti della rappresentazione: l’espressione associata alle esperienze e la formazione legata al patrimonio. L’articolo esamina la rappresentazione delle nostre esperienze all’interno di una concezione più ampia della rappresentazione, quella che include la rappresentanza politica e la rappresentazione del nostro lavoro. Infine, “Espressione: Parole, Violenza e Lacrime”, tenta di rispondere alla domanda su cosa succede quando le parole falliscono. Esamina la questione della libertà di espressione da una prospettiva inedita, quella della morte dell’espressione, o l’uccisione del potenziale espressivo, piuttosto che la repressione dell’espressione.
POLITICA DEL SIGNIFICATO
Questo libro è un tentativo di fornire elementi aggiuntivi ad un quadro teorico che rappresenta e definisce la “Siria di Assad”. C’è in quest’opera, come in tutte le opere dell’autore, una notevole quantità di politica. La politica è la nostra condizione e il nostro destino.
Tutte le esperienze legate all’atroce sono un invito a raccontare, a rivedere quanto già raccontato e a sperimentare nuove parole. Nell’affrontare l’atroce che ci spoglia della forma, la produzione di forme, significati, concetti, rappresentazioni ed espressioni, è un campo di lotta fondamentale: la lotta per il significato.
Oltre a ciò, il decennio precedente dimostra che non c’è politica in ciò che si pensa sia politico in Siria (e forse in un’area più ampia intorno alla Siria). In larga misura, la politica così come viene praticata qui viene spazzata via dalla tortura e dalla guerra tormentosa da parte di Assad e dei suoi protettori. È fortemente diluita nella religione e nei suoi adepti,e nel “jihad” (per il Jihad degli islamisti è tortura e sparizione forzata, non solo guerra). Quanto all’opposizione tradizionale (dal cui ambiente discendo) la politica si consuma in divisioni e soffocamento reciproco. C’è, al contrario, una vera politica di lotta per il significato, per nominare e definire ciò che abbiamo vissuto, in modo tale da non separare la conoscenza dall’esperienza, o il significato dalla sofferenza.
Il ponte tra senso e sofferenza (i due hanno la stessa radice in arabo) è la base più adatta su cui rappresentare la nostra esperienza e creare una diversa patria culturale, una repubblica di rinnovati significati. Tuttavia, ciò richiede uno sforzo di empatia e un senso di partecipazione condiviso. Questo è esattamente ciò che manca nella gestione della Siria e del Medio Oriente da parte di esperti che condividono la loro interpretazione degli affari siriani da una prospettiva occidentale. Questo libro si oppone a questi esperti e al tipo di conoscenza che offrono. Non afferma semplicemente che altra conoscenza è possibile. Sostiene che il punto di accesso alla conoscenza della Siria siano le esperienze più crudeli e atroci dei siriani.
Tentando di tracciare alcune delle sfaccettature del nostro più recente disagio, contemplando le sue rappresentazioni e generando significato da esse, rendiamo il significato stesso un campo di lotta fondamentale, e lavoriamo per sviluppare una politica distinta e contraria – di nuovo la politica del significato.
Una tale politica potrebbe aiutare i siriani a rivendicare la loro esperienza, incorporandoli in uno sforzo storico per reindirizzare la forma della Siria, lontano dalla violenza, dalla complessità e dall’assenza di forma, verso una contemplazione rigenerativa che produce concetti e forme. Come pilastro fondamentale della politica del significato, la rappresentazione delle nostre esperienze ci pone in una posizione più autorizzata, per parlare di noi stessi rispetto alla rappresentazione politica.
TROIA
Non è noto se Troia sia realmente esistita, se la sua guerra decennale, proprio come la nostra, sia realmente avvenuta. L’Iliade e l’Odissea hanno creato una realtà più potente della storia. La mitologia greca, il teatro e un corpo sostanziale di pensiero estendono le loro radici nella narrativa della guerra di Troia che Omero “creava” (e non si sa se Omero stesso fosse una figura storica reale). Questo è un grande esempio che non può essere emulato. Tuttavia, lo scopo è l’esemplificazione, non l’emulazione.
C’è un esempio più vicino al nostro: l’Olocausto. Lo sterminio nazista degli ebrei è oggi diventato un mito fondante, non solo per Israele, ma in un certo senso per l’Occidente del dopoguerra. L’Olocausto è diventato una “religione civile” nell’occidente contemporaneo, che invoca gradi di sanzione contro coloro che lo negano o lo mettono in discussione. In questo modo è una religione con Una propia shari’a, simile all’Islam. Prima di questo l’Olocausto è stato oggetto di stupende ricerche, e continua ad essere scritto e contemplato. Questo è un altro esempio in cui l’esemplificazione è raggiungibile anche se l’emulazione non lo è.
L’ipotesi esemplificativa potrebbe affermare che la nostra esperienza nell’ultimo decennio è un punto di riferimento. Che la nostra rappresentazione della nostra esperienza sia aperta ad essere referenziale, che la rappresentazione possa scontrarsi, narrare e disfare l’esperienza, creando un punto di svolta nella nostra sensibilità, pensiero e giudizio. La rivoluzione culturale più volte invocata in questo libro è sia una risposta al carattere referenziale della nostra esperienza troiana, sia un tentativo di contenere il fallimento della rivoluzione politica e sociale. Più vero, forse, è che quando la sua rappresentazione non è referenziale, spingendo le menti a ritornarvi per decenni e generazioni, rivolgendosi alle profondità del sé e suscitando curiosità senza fine, si perde il riferimento all’esperienza, e ciò che ne rimane è solo un ricordo confuso di dolore ambiguo.