Combattendo per poter avere delle tombe da visitare

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Intervista di Yassin Swehat pubblicata il 9 luglio 2020 su Al-Jumhuriya

Traduzione dall’inglese di Giovanna De Luca

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(Nella foto: Maryam Al Hallak)

Maryam Al Hallak è una delle tante madri siriane che hanno appreso dell’omicidio del proprio figlio mentre quest’ultimo si trovava sotto la custodia del regime di Assad, attraverso le foto trapelate online. Come racconta ad Al-Jumhuriya in questa intervista, ora dirige la Caesar Families Association, sostenendo i diritti dei detenuti, la giustizia per i loro assassini e la conservazione dei ricordi delle vittime.

 

[Nota dell’editore: questa intervista è stata tradotta dall’arabo in collaborazione con The Syria Campaign.]

 

I siriani sono stati scossi dalle cosiddette “foto di Caesar” – immagini di decine di migliaia di detenuti torturati a morte durante la custodia del regime di Assad, portate fuori dal paese da un disertore il cui nome in codice è Caesar – da quando hanno iniziato ad apparire sei anni fa. Per le famiglie di coloro che sono scomparsi con la forza nelle carceri del regime, lo shock è stato tremendo; soprattutto per coloro che sono stati in grado di identificare i loro cari nelle foto. Alcuni già conoscevano il destino dei loro figli, mentre altri sono venuti a conoscenza delle terribili notizie attraverso le immagini. Pubblicate sui media e ampiamente diffuse, continuano a riaffiorare di volta in volta in risposta a eventi o notizie relative a “Caesar;” le condizioni all’interno delle carceri siriane; o nuove informazioni su determinati detenuti o persone scomparse.

 

Le foto di Caesar hanno acquisito importanza in numerosi casi legali perseguiti da varie organizzazioni per i diritti umani che mirano a chiedere il conto al regime siriano. Più in generale, hanno svolto un ruolo importante negli sforzi per reprimere il regime negli ultimi anni; sforzi culminati nell’ultimo e più severo pacchetto di sanzionistatunitensi nei confronti della Siria, che prende il nome dallo stesso Caesar.

 

Molti parenti di persone scomparse le cui foto sono state trovate tra quelle trafugate da Caesar sono in contatto tra loro da un po ‘di tempo. Il desiderio di sviluppare una struttura collettiva volta a coordinare il sostegno psicologico reciproco, a chiedere i diritti delle vittime e a preservare la loro memoria e il loro status, ha portato alla fondazione, nel febbraio 2018, della Caesar Families Association(Associazione di Famiglie Caesar) registrata a Berlino. Al-Jumhuriya ha parlato con la signora Maryam Al Hallak, che dirige l’Associazione, del suo lavoro, delle foto di Caesar e della lotta per la responsabilità e la memoria. Essere la madre del defunto Ayham Ghazzoul, ucciso sotto la custodia del regime dopo il suo arresto a Damasco nel novembre 2012, è stata la forza trainante di Al Hallak. Cerca di rappresentare tutte le madri che ha visto mentre cercavano di conoscere il destino dei propri figli mentre cercava notizie di Ayham, e di portare la loro voce e salvaguardare i diritti e i ricordi di tutti coloro che sono rimasti vittime della sparizione forzata e delle torture nelle carceri del regime .

 

Al-Jumhuriya: È evidente che la maggior parte dei partner citati dalla Caesar Families Association nei suoi documenti sono organizzazioni che si occupano di vittime e sopravvissuti (ad esempio, l’Iniziativa per il recupero; Families for Freedom; e l’Associazione dei detenuti e gli scomparsi nella prigione di Sednaya ). Questo significa che si stanno facendo sforzi per ampliare la gamma di lavoro e l’ attivismo dal punto di vista delle vittime e delle loro famiglie?

 

Maryam Al Hallak: Esatto. La Caesar Families Association rappresenta uno dei numerosi gruppi di vittime della Siria. Ora siamo al numero cinque, dopo che, recentemente, si è unita a noi la Coalition of Families of Kidnapped by ISIS(Unione dei Familiari delle Persone Rapite dall’Isis). Ci presentiamo come associazioni che rappresentano le vittime, dal momento che tutti abbiamo perso qualcuno a noi caro o che abbiamo o abbiamo avuto persone care detenute. Abbiamo una causa e continueremo fino alla fine, a Dio piacendo.

 

Ci sono organizzazioni come il Centro siriano per i media e la libertà di espressione (che sovrintende alla nostra associazione); il Centro siriano di studi e ricerche legali; il Centro europeo per i diritti costituzionali e umani; e altri che operano a vari livelli utilizzando un approccio specializzato e basato sulla legislazione. Collaboriamo e lavoriamo insieme, soprattutto a livello della nostra Associazione, perché aspiriamo a raggiungere la responsabilità. Pertanto, stiamo lavorando per creare un fascicolo giudiziario completo, basato su prove chiare rappresentate dalle immagini dei nostri figli e dei nostri cari trapelate da Caesar.

 

Al-Jumhuriya: Intendi lavorare di più con gli attivisti per i diritti umani riguardo alle questioni delle vittime e delle loro famiglie?

 

Al Hallak: Noi, le cinque organizzazioni partner, cerchiamo di stringere relazioni e partnership con influenti organi decisionali. Ad esempio, cerchiamo di far parte del gruppo di lavoro sulla liberazione di detenuti e persone scomparse. Per raggiungere questo livello di coordinamento, è necessario comunicare, collaborare e incontrare gruppi di altre vittime.

 

Al-Jumhuriya: L’Associazione ha relazioni e contatti con gruppi di vittime di altri paesi e contesti?

 

 Al Hallak: Sì, con gruppi provenienti da molti paesi dell’America Latina e altrove. Ad esempio, il programma siriano di sviluppo giuridico ha organizzato seminari per comunicare con i gruppi di vittime di diversi paesi, tra cui Perù, Argentina e Cile. Per quanto riguarda la nostra associazione, abbiamo anche rapporti con gruppi provenienti da Colombia e Nepal. Apprezziamo questo tipo di comunicazione e cerchiamo fortemente di beneficiarci di altre esperienze.

 

Al-Jumhuriya: In che modo l’Associazione vede il suo ruolo negli affari pubblici siriani e in che modo viene coinvolta e influenza la causa e gli sforzi politici siriani?

 

 Al Hallak: Attualmente, e all’interno dell’ambiguo status quo, l’Associazione si concentra solo sui suoi obiettivi. In futuro, se si verificherà un cambiamento politico o ci sarà una fase di transizione, l’Associazione e tutti i gruppi di vittime contribuiranno sicuramente alla giustizia di transizione e difenderanno i diritti delle vittime e delle loro famiglie. Ma questo sarà in futuro. Per ora, noi, i gruppi delle vittime, abbiamo sviluppato una carta che contiene la nostra visione dei detenuti. Questa carta è stata sviluppata attingendo alle opinioni di specialisti legali con esperienza in diritto internazionale. La carta sarà presto pubblicata, dopo un ritardo dovuto alla pandemia di Coronavirus.

 

Al-Jumhuriya: L’Associazione include coloro che hanno appreso il destino dei loro figli detenuti in modo traumatico attraverso le fotografie di Caesar. All’epoca si pensava ad altri modi in cui le foto avrebbero potuto essere gestite anziché essere rese pubbliche?

 

Al Hallak: L’emergere delle foto di Caesar ha avuto un aspetto positivo, in quanto ha messo in luce pratiche criminali e ha permesso a un gran numero di persone di apprendere cosa è successo ai loro figli detenuti, figli dei quali non avevano informazioni . Tuttavia, è stato fatto in modo povero e rozzo. È angosciante vedere più volte la foto di tuo figlio morto perché qualcuno ha pensato che fosse una buona idea postarla. Avrebbero potuto almeno fornire un link per indirizzare al suo contenuto e invitare le parti interessate a discuterne, come recentemente ha fatto l’Associazione siriana per i detenuti scomparsi e di coscienza. Ma questo è stato fatto molto tardi, dopo che le foto erano già state ampiamente condivise. La stessa associazione ha contribuito a diffondere le foto nel 2015 e di nuovo non molto tempo fa.

Capisco che i genitori siano alla disperata ricerca dei propri figli. È angosciante e straziante vivere di speranze non realistiche. Penso ad una mia amica il cui marito e figlio sono scomparsi con la forza. Certamente non sto dicendo che mi sento a mio agio, ma almeno conosco il destino di mio figlio, mentre la mia amica aspetta una risposta ogni giorno e ogni momento. Questo fa si che la tua vita si fermi . Come madre, non riesce a smettere di pensare a suo figlio, ma per quanto riguarda lei come moglie? Quanto deve aspettare? Nove anni? Una decada? Non ha il diritto di pensare al suo futuro? Ci sono migliaia di giovani donne le cui vite sono congelate; migliaia di bambini in attesa; possedimenti e interessi; E così via e così via. Molte cose sono sospese, ma potrebbero essere rimesse in moto se fossero noti i destini dei detenuti. Certo, speriamo che tutti siano vivi. Anche io stessa , nonostante tutto, nonostante abbia visto una foto di mio figlio e nonostante abbia ottenuto informazioni a conferma della sua morte, ho una speranza, anche se è una su un milione, che ciò che so non è vero. Ma a prescindere, sapere qualcosa, agire di conseguenza e spostarsi verso una nuova situazione sono necessità della vita, che tu sia padre, madre, marito, moglie, figlio, qualunque cosa.

Per questo motivo, l’ansia dei genitori di cercare i propri figli e scoprire cosa è successo loro è certamente comprensibile. Tuttavia, il modo in cui le foto venivano fatte circolare era inquietante, molto inquietante. Come associazione, abbiamo chiesto alle persone di non prendere parte alla diffusione delle foto. In effetti, miravamo a raggruppare le foto in un unico posto, per fornire un collegamento a cui le persone potevano accedere e renderle accessibili a coloro che aiutavano i genitori a cercare i propri figli. Ci stiamo lavorando. Di recente abbiamo ricevuto circa 250 richieste di assistenza; cerchiamo di aiutare i genitori a verificare i destini dei propri figli in base alle foto e alle informazioni esistenti. Lo facciamo attraverso qualcuno che ha esperienza nella gestione di tali documenti e che non ha rapporti diretti con la famiglia e non è alla ricerca dei propri cari scomparsi. Questo accade in modo che i padri e le madri non debbano guardare e cercare immagini dei loro figli o vederli in quel modo.

Al-Jumhuriya: Cosa pensa l’Associazione del continuo uso da parte dei media delle immagini delle vittime, in particolare la ripubblicazione delle stesse a seguito di notizie o eventi specifici, come accaduto due settimane fa?

Al Hallak: In verità, il modo in cui i media hanno gestito le immagini è stato molto problematico. Sui social media è stato anche peggio, soprattutto sotto due aspetti. La prima è stata la mancanza di rispetto per i sentimenti delle famiglie delle vittime, esponendole a immagini così aspre e strazianti in ogni momento. Il secondo era l’uso irresponsabile delle foto in termini di identificazione frettolosa o imprecisa delle persone, senza la possibilità di esserne certi. Qualche tempo fa, un membro dell’Associazione ha scoperto che la foto di suo fratello è stata presentata sui social media come se fosse qualcun altro. Questo l’ha ferita profondamente.

La cattiva, prematura e impulsiva gestione delle foto ha indebolito la credibilità di ciò che dovrebbe essere considerato una prova professionale. Abbiamo visto come, secondo quello che si diceva, una foto raffigurasse Adnan al-Zeraei, quindi il reclamo è stato ritirato. La stessa cosa è successa con Hussein al-Harmoush. Questa demagogia è pericolosa; mina la credibilità e la chiarezza critica delle immagini e le profanano insieme alla privacy delle vittime, i nostri martiri.

Al-Jumhuriya: C’è un messaggio che vorresti trasmettere sull’uso delle foto trapelate da Caesar?

Al Hallak: Sì. Vorrei chiedere alle persone di non trattare le immagini come materiale da pubblicare nel modo in cui stanno facendo al momento. Vorrei chiedere loro di collaborare con entità credibili e professionali. Vorrei chiedere a queste entità di essere raggiungibili dalle famiglie e di assistere i loro sforzi di ricerca utilizzando le informazioni disponibili al fine di risparmiare loro la sofferenza di cercare tra le foto stesse. Le persone possono aiutare in molti modi: fornendo informazioni, cooperando con gli sforzi di identificazione o confrontando dati.

Chiedo alle famiglie di comunicare con entità e associazioni affidabili e specializzate e di non cercare tra le foto stesse.

Al-Jumhuriya: A parte i parenti, che dire delle persone che pubblicano e condividono le foto come materiale multimediale?

Al Hallak: Qualche tempo fa, ho fatto notare a un amico che avrebbe dovuto smettere di pubblicare le foto e non pretendere di conoscere le identità di quelle nelle foto senza prove sufficienti, sarebbe potuto essere dannoso. Si è difeso dicendo che il suo pubblico non era siriano, ma tedesco, ed a loro voleva mostrare la brutalità del regime. OK. Se vuole mostrare le foto, può condividerle in un messaggio privato senza determinare l’identità delle vittime in base al proprio giudizio. La foto di mio figlio è spesso apparsa di fronte a me perché le persone che conosco la condividono senza alcuna considerazione per i miei sentimenti. Mi rendo conto che la foto di mio figlio è apparsa nei rapporti sui diritti umani, ma ciò significa che dovrei vederla apparire dal nulla su Facebook? Questo è sbagliato e fa male alle famiglie. Forse noi, come membri dell’Associazione, siamo in grado di rimanere composti perché questo è il nostro tipo di lavoro, ma ci sono altri che non possono tollerare questa sofferenza costante.

Al-Jumhuriya: Quindi possiamo dire che è necessario trattare le immagini esclusivamente come prove legali e che le famiglie e le parti interessate dei detenuti dispersi dovrebbero essere in grado di comunicare e collaborare con le parti interessate per scoprire cosa è successo, nella maggior parte dei casi nel modo più umano e dignitoso possibile.

Al Hallak: Esatto.

Al-Jumhuriya: E che dire del grande pubblico, di coloro che non sono né parenti né direttamente interessati alle vittime?

Al Hallak: Non dovrebbero essere coinvolti con le foto. Vorrei che non lo facessero.

Al-Jumhuriya: l’Associazione è registrata a Berlino. Come gestisce oggi la popolazione siriana molto diffusa?

Al Hallak: Abbiamo gruppi in Olanda, Svezia e Svizzera, e ovviamente qui in Germania. Ci sono anche famiglie in Libano e Giordania, come sarebbe da aspettarsi, ma è più difficile comunicare con loro. Ci sono anche gruppi in Turchia, specialmente a Gaziantep, Reyhanli e Istanbul. Cerchiamo di formare gruppi ed espandere la nostra presenza; pertanto, prevediamo nel prossimo periodo di organizzare un incontro in Libano o Giordania e, se possibile, in Turchia. Vogliamo entrare in contatto con le famiglie dei detenuti dispersi e fornire loro informazioni e strumenti che li aiutino a conoscere meglio i loro diritti. Vogliamo capire come possiamo sostenerli materialmente o psicologicamente, e metterci in contatto con più famiglie e conoscere le loro situazioni.

Per fare questo bisogna essere sul campo. La comunicazione online non è sufficiente; manca della sostenibilità e della vicinanza necessarie per affrontare tali problemi.

Al-Jumhuriya: A quali programmi sta attualmente lavorando l’Associazione, date tutte le complicazioni causate dalla crisi del Coronavirus? Quali sono i piani per il prossimo futuro?

 

Al Hallak: diversi progetti sono stati rinviati quest’anno. Avevamo programmato un seminario di supporto psicologico per i membri dell’Associazione che sono in costante contatto con le famiglie delle vittime. Il seminario ci aiuterebbe a parlare e ascoltare le famiglie garantendo la loro sicurezza psicologica. Doveva essere tenuto a Parigi sotto l’egida della Croce Rossa, ma è stato rinviato. Di recente, siamo stati molto sotto pressione con la ripubblicazione delle foto di Caesar. Riceviamo chiamate quotidiane da persone che credono di aver trovato i loro cari nelle foto e altri casi simili. Quindi pensiamo che questo seminario sia essenziale per noi. Se le cose vanno bene, lo terremo a Parigi all’inizio del prossimo autunno; se non possiamo viaggiare, lo faremo online.

 

Vorremmo partecipare al vertice di Ginevra per i diritti umani e la democrazia se si tiene fisicamente; non sappiamo ancora se questo accadrà.

 

Abbiamo stabilito il nostro ufficio a Berlino e abbiamo un membro dell’Associazione che ha accumulato esperienza in metodi di supporto psicologico. Miriamo a rendere questo tipo di supporto disponibile per i membri che ne hanno bisogno. Continueremo il nostro lavoro sul suddetto fascicolo giudiziario in collaborazione con specialisti del settore.

 

La nostra agenda è piena. Ora stiamo decollando. Anche se abbiamo due anni, il nostro lavoro sta iniziando solo ora in modo strutturato e ordinato.

 

La diaspora siriana si è diffusa in tutto il mondo, abbiamo molto lavoro da fare.

 

Al-Jumhuriya: Il nucleo dell’Associazione è l’incontro di coloro che hanno perso i loro parenti e i loro cari per mano della brutale macchina del regime e i loro sforzi, a seguito della loro perdita personale, per influenzare gli affari pubblici. Questo è un altro modo di comprendere lo slogan “il personale è politico”. Tutti si aspettano che questo sia difficile e svuotante a lungo termine. Come gestisce l’Associazione? Come gestisce se stessa ?

 

Al Hallak: dovresti guardare questo da una prospettiva diversa. La nostra missione è diventata quella di dare seguito alle vittime e alle loro famiglie, nonché alle condizioni dei detenuti, il cui rilascio e ritorno alla vita dovrebbero essere la nostra priorità, anziché costruire fosse comuni per loro. Personalmente, ritengo che questo sia il mio messaggio, a cui devo aggrapparmi, e continuerò a lavorarci per difendere i diritti di mio figlio e degli altri.

 

In Siria, ho trascorso un anno e cinque mesi ogni giorno in una magistratura militare per cercare di scoprire se mio figlio fosse vivo. Abbiamo ricevuto la notizia della sua morte tre mesi dopo il suo arresto; in seguito apprendemmo che era stato martirizzato cinque giorni dopo il suo arresto. Abbiamo trovato conforto in questa scoperta, fino a quando qualcuno ha negato le informazioni e ci ha detto che mio figlio era vivo. Per un anno e cinque mesi, ho continuato a cercare di confermare queste informazioni presso il Comitato centrale di riconciliazione, il Ministero della riconciliazione, la magistratura militare, la polizia militare e le sezioni di sicurezza. Lo farei ogni giorno e incontrerei altre cinquanta o sessanta altre madri. A volte c’erano mogli e padri, ma la stragrande maggioranza erano madri. Consumate dalla paura, erano disperate, volevano sapere il destino dei loro figli. Ho suggerito di raggrupparci in qualche modo e di far sentire la nostra. Hanno rifiutato categoricamente. Dicevano: “Per favore, abbiamo perso un figlio; non vogliamo perderne un altro; ” oppure: “Abbiamo ancora una casa; non vogliamo perdere anche quello; ” o qualcos’altro di quel tipo. In questi incontri, abbiamo ascoltato storie tragiche. C’era una madre che aveva perso cinque figli piccoli. C’era un’altra che, con suo marito, è stata testimone della violenza su sua figlia e, quando il marito aveva urlato , lo avevano buttato dal balcone. È doloroso all’estremo.

 

Dopo aver lasciato la Siria e il pericolo, decisi che volevo far sentire le voci di quelle madri che cercavano i loro figli; volevo rappresentarli in qualche modo. Molti di loro sapevano che i loro figli erano stati martirizzati. Lo sapevo anche quando, dopo un anno e cinque mesi, sono stato in grado di ottenere il certificato di morte di mio figlio dall’ospedale militare di Tishreen. Lì ho trovato una cinquantina di donne e tre uomini in attesa, e una delle donne ha detto: “Grazie a Dio, oggi non ce ne sono molte.” Sentire questo mi ha fatto venire i brividi lungo la schiena. Ogni giorno annunciano il numero dei nostri giovani morti. Dico “nostri” perché c’erano anche gli uomini del regime. Abbiamo visto come coprivano i loro corpi e li preparavano per essere spostati altrove. Ma i corpi dei nostri giovani erano sconosciuti; non dovevamo chiedere dove fossero sepolti. Sono andato alla sezione 248 (la sezione investigativa militare) e ho chiesto a un ufficiale lì se potevo scoprire dove fosse sepolto mio figlio. Mi ha risposto minaccioso: “Se non fossi una donna rispettabile, non lasceresti questo posto”.

 

Sento di portare la sofferenza delle persone che ho visto e delle cui storie che ho sentito mentre cercavo di sapere cosa era successo a mio figlio.

 

Quando ho iniziato a lavorare, ho sentito sinceramente di essere guidata dalle loro voci e dai loro cuori. Quando parlo di Ayham, non intendo solo mio figlio, intendo tutti. Ero preside di una scuola e conosco la sensazione di amare un grande gruppo di bambini giovani come mio figlio. Sono tutti miei figli.

 

Durante il funerale di Ayham, che fu arrestato nel campus, i suoi compagni di classe vennero a porgere le loro condoglianze. Hanno proposto di organizzare una protesta all’università. Ho chiesto loro di non farlo e ho detto loro: “Mio figlio è stato martirizzato, non voglio che nessuno di voi si faccia male. Siete tutti miei figli; se preservi le tue vite, in un certo modo preservi le sue ”.

La sensazione di essere in una missione importante ha in sé il suo slancio. Tutti noi membri dell’Associazione ci sentiamo così. Vogliamo raccontare al mondo le sofferenze di migliaia di famiglie siriane e vogliamo mostrare a tutti gli orrori di questo mostruoso regime. Questa è la nostra spinta e la base per il nostro lavoro. Siamo tutti volontari qui; non riceviamo alcun compenso per il nostro lavoro. Il nostro unico e condiviso obiettivo è salvaguardare i diritti dei nostri figli, delle vittime. Sfortunatamente, non possiamo chiedere indietro la loro vita, ma possiamo ritenere responsabili coloro che hanno commesso crimini contro di loro e tutti i siriani e possiamo proteggere la loro memoria. Qualche giorno fa, durante una conferenza per l’Associazione, ho menzionato il modo in cui avrei voluto costruire un museo a Damasco per ritrarre le atrocità commesse dal regime, comprese le foto di Caesar, in modo che i visitatori potessero sapere cosa ci ha fatto il regime.

 

Al-Jumhuriya: Intendi qualcosa di simile agli sforzi compiuti da altri paesi per preservare la memoria storica, come la Germania?

 

Al Hallak: Esatto. Spesso contemplo l’idea che la tomba sia un sogno. Qualche tempo fa, ho partecipato a una mostra sulle vittime dell’Olocausto, in cui ci è stato detto che i maggiori sforzi per proteggere la memoria sono stati effettuati dalla società civile. Abbiamo visitato un cimitero simbolico per le vittime e abbiamo visto i volontari prendersi cura di esso, visitarlo e mettere rose sulle pietre. Mi sono chiesta, quando avremo questo in Siria? Quando avremo una tomba che, anche se solo simbolica, possiamo visitare?

 

Al-Jumhuriya: In che modo coloro che sostengono la causa dell’Associazione, sia siriani che non, a Berlino o altrove, possono contribuire al suo lavoro e alla sua sostenibilità?

 

 Al Hallak: Accogliamo con grande favore tutte le offerte di aiuto e di volontariato e chiedo a chiunque sia disposto a contribuire a contattarci. Abbiamo bisogno di aiuto a diversi livelli: sostenere i membri dell’Associazione per migliorare le loro capacità tecniche e di raccolta dei dati; traduzione da e verso l’inglese e il tedesco; e assistenza nelle strategie di promozione dei social media. Non abbiamo specialisti in questi campi e spesso abbiamo bisogno di aiuto per cose semplici. Questo ci è diventato chiaro recentemente con la crisi del Coronavirus, quando tutti gli incontri sono diventati virtuali. Ogni incontro richiede l’utilizzo di programmi specifici per le chiamate e quelli di noi con poca esperienza tecnologica hanno lottato con questo. Diamo il benvenuto a tutte le offerte di assistenza e volontariato e chiediamo a coloro che possono e desiderano aiutarci a contattarci sul sito Web.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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