11 anni dopo, in Siria.

In quest’articolo facciamo il punto della situazione sull’attuale condizione della Siria. A 11 anni dall’inizio della Rivoluzione.

Di N.A.

I venti di cambiamento e l’aria rivoluzionaria della primavera araba che si respirava nei paesi arabi alla fine del 2010 spinsero i siriani a chiedere la libertà ed a opporsi al regime totalitario di Bashar Al Assad. Il 15 marzo del 2011 infatti, scoppiava la scintilla della rivoluzione siriana iniziata con manifestazioni pacifiche che avevano come richiesta principale libertà, dignità e fine dell’oppressione e della corruzione del regime al potere, quindi la caduta del regime stesso. Le proteste del popolo vennero represse con la violenza e con le armi causando centinaia di migliaia di morti, centinaia di migliaia di detenuti, milioni di sfollati all’interno della Siria, milioni di rifugiati in tutto il mondo. La portata della crisi siriana era ora internazionale e diventava il campo di battaglia delle grandi forze locali e internazionali. Ma cos’è rimasto di questa rivoluzione dopo 11 anni di guerra? Un attento studio della cartina geografica attuale del paese ci porta a capire il cambiamento della distribuzione demografica della popolazione in relazione ai grandi “imperi” che si sono formati nel passare degli anni con il passaggio delle zone da un potere all’altro. Dal punto di vista militare, con l’entrata in gioco della Russia nel 2014 ad oggi il regime di Bashar Al Assad è riuscito a controllare il 63% del territorio, la Russia possiede 83 posizioni militari distribuite in 12 regioni tra cui Homs, Hama, Damasco, Latakia e Tartus. L’Iran possiede 131 posizioni militari in 10 regioni, soprattutto a Daraa, Damasco e la sua zona rurale, Aleppo e Deir Ez zour. Altre 116 posizioni militari appartengono invece a Hezbollah specialmente a Damasco, Homs, Daraa e alcune zone di Idlib. L’opposizione armata controlla, anche grazie al sostegno della Turchia, possiede l’11% della superficie della Siria. La Turchia possiede 113 posizioni militari distribuite tra Aleppo, Idlib, Al Raqqa, Latakia e Al Hasakah. Le Forze Democratiche Siriane controllano il 26% del territorio con 33 punti militari tra Al Raqqa, Al Hasakah, Deir EZ Zour e alcune parti della zona rurale di Damasco. Isis non ha più alcun controllo militare sul territorio siriano da febbraio del 2019, ma esegue operazioni militari nelle zone controllate dalle Forze Democratiche Siriane e anche nelle campagne di Homs e Tadmor.

È molto interessante analizzare la situazione della zona controllata dalle Forze Democratiche Siriane, l’auto proclamata Federazione Democratica della Siria del Nord, detta comunemente Rojava, territorio autonomo de facto costituito in larga parte da aree a maggioranza curda. Le principali città da loro controllate sono Al-Qamishli, Raqqa, Al-Hasaka e Kobanê, tale territorio vede la presenza di numerosi soldati Usa e l’operatività della coalizione internazionale anti Isis. Le FDS sono equipaggiate dall’America con armi pesanti, veicoli trasporta truppe, mortai e mitragliatrici pesanti nonostante la forte opposizione della Turchia. In questa zona si trovano i più importanti giacimenti di petrolio del paese con una produzione di 350 mila barili al giorno che apportano alle FDS ben 120 milioni di dollari in entrate petrolifere, il petrolio in eccedenza viene venduto in parte ai delegati del regime e in parte viene trasferito nelle aree sotto controllo dell’Esercito Nazionale di opposizione. SDF inoltre beneficia della produzione del grano siriano.

Hay’at Tahrir al-Sham, HTS, (Organizzazione per la Liberazione del Levante) si divide con le forze armate dell’Esercito Nazionale l’11% della superficie della Siria nelle province di Idlib, Latakia, Hama, Aleppo, al Raqqa e al Hasakah, HTS controlla da sola la provincia di Idlib e piccole parti delle provincie di Hama, Aleppo e Latakia, come controlla da sola le risorse di queste zone, il commercio, i servizi pubblici, le comunicazioni, la rete idrica, la rete elettrica e la direzione dei valichi. Le entrate di HTS dal valico di Bab al Hawa si stimano intorno ai 4 milioni di dollari al mese, provenienti da merce e aiuti umanitari, HTS, infatti, impone tasse di passaggio alle organizzazioni umanitarie che lavorano in zona così come ai commercianti, inoltre monopolizza il commercio dei prodotti delle industrie locali. Il secondo braccio dell’economia di HTS è la Watad Petroleum Company, che monopolizza il commercio dei carburanti a Idlib, e importa derivati petroliferi dalla Turchia e dalle aree controllate da SDF. L’Esercito Nazionale, ex Esercito Libero, sostenuto dalla Turchia, invece controlla la regione di Afrin, le città di al Bab e quella di Azaz nella campagna di Aleppo, la città di Tel Abyad, Al Raqqa e Ras al Ain e le sue aree di controllo sono caratterizzate dal caos finanziario e economico che ricorda le aree controllate dal regime a differenza delle aree controllate da HTS. Sono tre le fonti principali di guadagno in queste in queste aree: l’importazione di derivati del petrolio dalle aree controllate dalla SDF, le tasse sui camion commerciali provenienti dal valico di Bab Al Salam al confine con la Turchia e la produzione di olive della regione di Afrin che produce un terzo dell’olio d’oliva siriano, il numero di ulivi al suo interno è stimato intorno a 18 milioni di ulivi.

Il regime Siriano controlla il 63% del territorio siriano, più di 11 milioni di persone vivono in quest’area così come molte milizie militari sostenute da Iran e Russia insieme alle forze militari del regime e alle forze di difesa nazionale formate da civili con lo scopo di difendere il regime di Assad. Per il finanziamento di queste milizie si fa affidamento al sequestro di proprietà pubbliche e alla gestione dei valichi e all’imposizione di tasse di transito. Nel governatorato di Daraa e sulla strada tra Hama e Aleppo è dislocata la quarta divisione dell’esercito Siriano guidata dal fratello del capo del regime Maher Al Assad. Questa divisione si nutre delle tasse di transito che impone per il passaggio di convogli commerciali, un rapporto del Middle East Pathways Program nel gennaio 2020 afferma che la quarta divisione è stata in grado durante gli anni della guerra siriana di espandere la propria rete economica e raccogliere ingenti fondi attraverso le sue attività di economia di guerra in collaborazione con gli attori locali attraverso una serie di attività compresi i servizi di guardia e protezione, l’affitto di camion per il trasporto commerciale e il passaggio di merci e persone tramite posti di blocco non ufficiali e ufficiali. Le attività più importanti sono il commercio di ferro e rottami e il saccheggio di proprietà. Un po’ più a nord, precisamente nella regione di Aleppo, queste milizie conducono attività di contrabbando, in particolare di petrolio, tra le aree controllate da SDF e le forze del regime. Nelle città di AlBu Kamal e Al Mayadeen nelle campagne di Deir Ez Zour sono attive le guardie rivoluzionarie iraniane.

La Siria come è divisa oggi.

Senza ombra di dubbio le aree sotto il controllo del regime (in particolare Damasco e dintorni, la costa, Hama, Homs e al Suaeda) sono le aree più colpite dal deterioramento economico e abitativo. Gli stipendi non bastano più alle famiglie per procurarsi cibo a sufficienza dopo l’aumento dei prezzi che ha colpito i generi alimentari e quelli di prima necessità, gran parte delle persone in queste aree vive di rimesse inviate dall’estero che il regime sta limitando chiudendo molte società di rimesse e imponendo restrizioni, costringendo a consegnare denaro e rimesse inviate in valuta estera esclusivamente in valuta locale a un tasso determinato dalla Banca Centrale Siriana. La disoccupazione è dilagante tra i lavoratori, la gran parte dei giovani hanno abbandonato queste aree a causa della persecuzione da parte delle forze di sicurezza o per il richiamo al servizio militare obbligatorio.

Non è migliore la situazione ad Aleppo, il nervo dell’economia siriana. Dopo la sua caduta in mano al regime il 13/12/2016, a seguito di una battaglia durata quattro anni, i suoi abitanti speravano che il fine delle operazioni militari avrebbe riportato le loro vite alla normalità, ma la verità è che la situazione è rimasta uguale con i soliti problemi irrisolti: mancanza di energia elettrica, mancanza d’acqua, prezzi alle stelle, rialzo continuo del prezzo del dollaro e dell’oro. Più del 70% dei commercianti di Aleppo ha preferito spostare il proprio commercio in Egitto, Giordania o in Turchia e Aleppo, città rinomata per il commercio fin dai tempi più antichi, è diventata una città economicamente morta. Uno scenario molto triste, di una città trascurata dal governo dove i commercianti appoggiati dal regime monopolizzano le merci di prima necessità come anche prima della rivoluzione e dove prevale il commercio in nero organizzato da vere e proprie mafie locali. Ad Aleppo è consentito l’importazione dell’olio di oliva dalle zone liberate di Idlib, come è concessa la vendita di medicine a HTS. Un compromesso politicamente impossibile ma reso fattibile grazie alla presenza di persone che influiscono sulle decisioni politiche per scopi personali. Il regime promette miglioramenti ma la vita delle città non cambia e Aleppo rimane la città delle interminabili file, per il pane, per la benzina e per le medicine.

A Homs, tornata sotto controllo del regime nel 2014, dopo un assedio durato tre anni, le istituzioni del regime di Assad e i suoi funzionari promuovono la riabilitazione dei blocchi residenziali distrutti per accogliere gli sfollati, ma la realtà della situazione e le immagini della città mostrano che i quartieri distrutti sono rimasti nelle loro stesse condizioni da quando la gente è stata costretta a lasciarli. Il regime parla di rimozione delle macerie e degli edifici fatiscenti e l’apertura di strade nei quartieri che un tempo erano una roccaforte per l’opposizione siriana e per questo sottoposti a violenti e quotidiani bombardamenti da parte delle forze armate del regime di Assad e della Russia. La realtà è ben diversa: gli edifici stanno ancora crollando e la maggior parte è ancora nelle condizioni precedenti e inoltre non vi è fornitura di energia elettrica. La gran parte dei progetti di riabilitazione procede molto lentamente e alcuni di essi si sono persino fermati a causa della riluttanza della maggior parte degli appaltatori a lavorare, soprattutto con l’accelerazione del crollo della sterlina siriana. La riparazione nella maggior parte dei quartieri distrutti non ha raggiunto il 50% e sebbene l’apertura delle strade principali e secondarie sia avvenuta, queste strade devono ancora essere illuminate, la rete elettrica è stata riparata ma non è alimentata, anche la rete dell’acqua potabile è guasta.

Homs, in occasione delle ultime “elezioni” Il cartello di propaganda recita: ” il tuo voto è un coltello nel cuore del nemico”

Vale la pena notare che i quartieri di Jouret Al-Shayah, Al-Qusour e Al-Qarabis sono stati designati dal regime di Assad nel settembre 2018 come aree di sviluppo soggette al decreto n. 10 , che consente al governo del regime di sequestrare proprietà nelle ex roccaforti della rivoluzione. Questo piano include anche il risarcimento dei proprietari di immobili che mostrano documenti nei quali viene comprovata la loro proprietà di queste case, con una media di solo il 17% del valore d’ acquisto.

Alcune case in alcuni quartieri sono state occupate da famiglie affiliate alle milizie iraniane presenti nella città, e queste famiglie si rifiutano di lasciarle con il pretesto di averle ricevute attraverso rami delle forze di sicurezza, Il numero di famiglie che sono tornate alle loro case nel quartiere di Al-Qusour ha raggiunto quota 2.500, pari al 35% del numero totale delle famiglie del quartiere, mentre il numero di famiglie che sono tornate ad al-Qarabis è di 340 famiglie che equivale al 20 % del numero totale.

È interessante notare che l’Ungheria ha partecipato al restauro di alcune case dei vecchi quartieri della città di Homs, distrutte dai bombardamenti del regime e della Russia negli anni precedenti.

Un’indagine delle Nazioni Unite per la formazione e la ricerca (UNITAR) a metà marzo 2019, ha rivelato l’entità della distruzione in circa 16 città e paesi siriani. Lo studio ha confermato che Aleppo è la città più grande colpita dai bombardamenti, poiché il numero di edifici distrutti sono stati circa 36.000, seguiti dalla Ghouta orientale con 35.000 edifici distrutti, mentre Homs è arrivata al terzo posto con 13.778 edifici distrutti, poi Raqqa 12.781 edifici distrutti. Poi Hama con 6405 edifici seguita da Deir ez-Zor e dal campo Yarmouk con 5489 edifici distrutti.

Le condizioni di vita ad Hama peggiorano di giorno in giorno e il deterioramento del tenore di vita non si limita ai bassi salari e ai prezzi elevati, ma include la corrente elettrica, disponibile per un’ora e interrotta per cinque, all’assenza dei beni di prima necessità che lo Stato dovrebbe fornire, alla mancanza di salari nel settore pubblico. Il regime dona ai civili una “smart card”, per ricevere cibo e materiale per il riscaldamento, in determinata quantità e a prezzi ridotti, ma questi materiali non bastano mai, quindi le persone sono costrette a comprare ciò di cui hanno bisogno al mercato nero, a prezzi elevatissimi.

I prezzi sono considerati molto alti rispetto al reddito individuale: una famiglia ha bisogno tra le 300.000 e le 400.000 lire siriane per assicurarsi il minimo necessario per vivere, mentre gli stipendi oscillano tra le 50 e le 100mila lire siriane, il che richiede alle persone di avere più di un lavoro per garantire le necessità minime.

File per il pane a Duma
File per il pane ad Aleppo

Hama, chiamata una volta Umm al-Faqir (la madre dei poveri), per essere una delle città siriane più economiche e accoglienti, non è più la stessa. La guerra ha lasciato le sue tracce ovunque, anche nel mercato degli affitti, rendendo questa città oggi una delle città siriane più costose dove vivere e abitare.

Quando nel marzo 2011 è iniziata la rivoluzione siriana contro il regime autoritario di Bashar Al Assad, molti si aspettavano che la città di As-Suwayda sarebbe stata in prima linea con le altre città che manifestavano contro il regime, specialmente per via dell’emarginazione della città subita da quando la famiglia Assad ha preso il potere quattro decenni fa, inoltre il governatorato soffre fino ad oggi di infrastrutture, servizi deboli, alti tassi di disoccupazione e povertà che hanno causato migrazioni all’estero, oltre alla proibizione dei drusi, presenti nella zona, di entrar a far parte del governo e nell’esercito, a differenza di quanto avveniva prima che Hafez al-Assad arrivasse a governare la Siria nel 1970. Senza dimenticare la tradizione rivoluzionaria del governatorato, spina ne fianco dei francesi al tempo del Mandato, quando il loro leader Sultan Pasha al-Atrash divenne il leader generale della rivoluzione siriana contro l’occupazione. Fin dai primi giorni della rivoluzione, sembrava che uno slancio popolare della rivoluzione si stesse formando in modo forte in questa città in gran parte di maggioranza drusa. l sit-in degli avvocati, gli arresti di giovani attivisti, l’orgoglio, gli scontri in una delle celebrazioni della memoria del sultano Pasha al-Atrash dipingevano un quadro colorato di venti di rivoluzione mescolato al grido lirico Ya Hayf (Vergogna) lanciato dal figlio della città, l’artista Samih Shukair, nella prima espressione lirica della rivoluzione. Tuttavia, tutto questo presto svanì, e le manifestazioni progressivamente diminuirono fino a diventare quasi assenti dalla scena generale della rivoluzione. Nel febbraio del 2022 gli abitanti del governatorato di As-Suwayda hanno alzato la bandiera della “Rivoluzione siriana”, respingendo la decisione del regime siriano di revocare il sostegno a migliaia di famiglie della città, chiedendo il rilascio di detenuti e precisando che le proteste miravano a difendere la dignità della Siria. La prima scintilla di quelle proteste è esplosa in seguito alla decisione emessa dal governo del regime siriano di revocare il sussidio su dozzine di beni di base di cui i cittadini hanno bisogno, tra cui pane e carburante, diesel, benzina e altri.

il governatorato di Idlib è di importanza strategica, poiché è adiacente alla Turchia, che ha acquisito una grande influenza all’interno della Siria dopo essere entrata nella linea di conflitto per il sostegno dell’opposizione, da un lato, e il governatorato di Latakia, la roccaforte della setta alawita a cui appartiene il presidente Bashar al-Assad, dall’altro. La città di Idlib, centro della provincia, si trova a ridosso della Strada Internazionale Aleppo-Damasco, che per anni è stata bersaglio delle forze del regime.

Idlib si è rapidamente unita alle proteste contro il regime, sin dal marzo 2011. Nel 2015, una coalizione di opposizione e fazioni combattenti ne ha preso il controllo, incluso Jabhat al-Nusra. A Idlib il “Governo della Salvezza”, ha organizzato la vita di circa tre milioni di persone, per la maggior parte sfollati. L’autorità trae fondi dalla circolazione delle merci attraverso i valichi, sia con le aree controllate dal regime che con la Turchia ed ha il monopolio della distribuzione di carburante.

Della situazione delle zone libere ci parla M, un giovane rivoluzionario siriano di Kafranbel, che vive nei paraggi della città di Afrin, M. era ancora uno studente quando si è unito alla rivoluzione partecipando alle manifestazioni di Hama dove viveva con la sua famiglia prima di tornare nel suo villaggio nella provincia di Idlib per motivi di sicurezza:

“La nostra vita è sempre stata controllata in ogni dettaglio dal regime siriano, non abbiamo mai avuto libertà di espressione, ci è sempre stato vietato formare raggruppamenti oppure parlare di politica, chi lo ha fatto è morto in prigione oppure ha passato la metà della sua vita in una cella e questo già dai tempi di Hafez Al Assad. Oramai sappiamo tutti conoscenza quello che successe negli anni ottanta con i primi movimenti di opposizione al regime, purtroppo allora la comunicazione non era come al giorno d’oggi e i media furono tenuti all’oscuro di tutto ciò che accadeva nelle città siriane, specialmente a Hama. La storia si è ripetuta nel 2011, quando un gruppo di ragazzini scrisse sui muri di una scuola a Daraa delle scritte contro il presidente Bashar Al Assad, sappiamo che questi bambini furono torturati e questa fu la scintilla della nostra rivoluzione, Idlib fu una delle prime province a ribellarsi contro il regime, oggi è in prima linea nello scenario degli eventi in Siria. Questa città ha avuto un impatto importante sulla rivoluzione siriana, Idlib oggi ospita sfollati da tutta la Siria ed è chiamata per questo “La piccola Siria”, da Idlib provengono molti attivisti simboli della rivoluzione come Raed Fares di cui ripetiamo tutti i giorni le parole; “la rivoluzione è un’idea e le idee non muoino” e conosciuto anche per essere l’artefice dei famosi striscioni di Kafranbel, la nostra città. La regione di Idlib è ancora sottoposta a bombardamenti quotidiani nelle zone controllate dall’opposizione. Dopo la presa del controllo di Jabhat al Nusra nel 2015, la popolazione di Idlib ha dovuto affrontare una realtà difficile anche se dal punto di vista della sicurezza la situazione è migliorata. La situazione invece è catastrofica per gli sfollati nelle tendopoli: scarsità di aiuti, mancanza di risorse mediche e alimentari, mancanza di attenzione dalla parte del Governo della Salvezza verso queste persone. Differente è invece la situazione nelle aree dello Scudo dell’Eufrate (nord Aleppo), il Ramo dell’Ulivo (regione di Afrin), e la Primavera della Pace (Tel AL Abiadh e Ras Al Ain) sotto controllo dell’Esercito Nazionale, sostenuto dalla Turchia, che ha usato una politica di forza contro le milizie curde del PKK che controllavano la zona di Afrin.

La vita nella città di Idlib è molto vicina normalità, se escludiamo i campi che circondano le sue campagne, dopo lo smantellamento delle cellule dell’organizzazione dello “Stato Islamico” nel nord liberato. La pubblica sicurezza in queste zone ha spesso a che fare con i ladri di auto e moto, ma il problema più grande è lo spaccio di Captagon, con il quale il sistema settario cerca di inondare Idlib.

L’Università di Idlib, in tutte le discipline, costituisce un punto di riferimento rivoluzionario civile, poiché li studiano più di ventimila studenti e studentesse e sono supervisionate da un illustre corpo docente, la maggior parte dei docenti ha disertato dalle università del regime siriano unendosi alle aree della rivoluzione. Quanto alle scuole, sono sparse in tutta la regione, con un corpo docente distinto, a cui manca “solo” lo stipendio dopo che il sostegno internazionale al processo educativo è cessato, eppure gli insegnanti continuano a lavorare senza stipendio sperando di essere presto pagati. Oltre a queste scuole, ci sono più di 40 scuole di religione e insegnamento del Corano.

Per quanto riguarda i combattenti ribelli, il loro numero nell’enclave di Idlib è di circa 50.000 con il predominio di Hayat Tahrir al-Sham, circondato da varie organizzazioni jihadiste ancora ufficialmente legate ad al-Qaeda.

La presenza di due governi in conflitto, con confini e barriere tra loro, in una piccola area che non supera un quarto dell’area della Siria, indica la profondità del divario e il livello di ruggine che ha colpito tutti. I residenti dei campi, soffrono condizioni di vita precarie e insicurezza, in mezzo alla corruzione dei leader militari, alcuni dei quali hanno accettato delle negoziazioni con il regime, accettando una mezza rivoluzione.

Sebbene la rivoluzione sia ancora nel cuore di tutti i siriani che rivendicano dignità e libertà, gli organi politici che essa ha prodotto inclusa la coalizione, il governo ad interim, l’organo negoziale e altri organi politici e le molteplici realtà regionali e internazionali, ne sono stati la causa della divisione politica. Ma il nostro sogno di libertà continua…

Idlib celebra gli 11 anni della Rivoluzione.

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