Una visione socio-politica generale della società siriana contemporanea

Articolo di analisi nel quale vengono esaminati i fattori e gli eventi che hanno trasformato la struttura sociale e politica nella società siriana portandola al suo stato attuale.

Di Yassin al-Haj Saleh

Strategic Research and Communication Centre, 10 ottobre 2010

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(Traduzione di Giovanna De Luca, revisione Piero Maestri)

La Siria sta vivendo un cambiamento radicale dal 2000. L’esposizione alla globalizzazione, la transizione verso una nuova economia sociale e l’era dell’informazione sono stati i principali fattori alla base di questi cambiamenti. Tuttavia dopo il fallimento della Primavera di Damasco non si è sentita alcuna voce attiva di opposizione politica, e senza tale voce sarà impossibile raggiungere il successo in questa transizione, che richiede un dialogo tra tutte le parti.

All’inizio del primo periodo di attività politica pubblica di cui si è testimoni in Siria nell’era attuale, durante la prima estate di questo secolo, la debolezza dei partiti politici era evidente. Questo periodo è stato chiamato Primavera di Damasco, perché arrivato dopo una grave siccità politica durata gli ultimi due decenni del ventesimo secolo ed ha avuto luogo quando il clima politico e morale è stato più fertile e meno aspro. Una caratteristica della Primavera di Damasco erano i “forum”. Si trattava di riunioni, che di solito si svolgevano in casa, con dozzine di persone, che partecipavano per poter discutere questioni pubbliche. In questi incontri il ruolo degli intellettuali, ex prigionieri politici e attivisti per i diritti umani era prominente rispetto a quello dei membri dei partiti politici. Al centro dell’attenzione durante questo periodo vi erano idee come democrazia, diritti umani, società civile e cittadinanza, piuttosto che ideologie di parte come il comunismo e il nazionalismo arabo ( ideologie con le quali erano cresciuti la maggior parte dei partecipanti a quella vana stagione primaverile).

Ai forum in quel periodo partecipavano apertamente associazioni che si occupavano della questione dei diritti umani. Era stata inoltre istituita un’assemblea di intellettuali di diverse origini e inclinazioni, si è auto definita “Comitati di rinascita della società civile”. Le donne hanno partecipato a tutte queste assemblee e anche ai forum, anche se forse erano meno di cinque. Il fattore comune tra questi gruppi era il loro carattere antipolitico. Non prendevano di mira il regime politico, né si ponevano l’obiettivo di cambiarlo. Tuttavia, il governo li percepiva come opposizione. Questo perché erano indipendenti, prima di tutto e, in secondo luogo, perché avanzavano rivendicazioni pubbliche con un contenuto chiaramente politico, la cui realizzazione avrebbe richiesto un cambiamento politico significativo. E infine, perché la maggior parte di coloro che avevano partecipato a queste attività veniva dall’opposizione, e un numero non piccolo di loro erano ex prigionieri politici.

Una delle caratteristiche principali di questa fase dell’attività pubblica è stata la totale assenza degli islamisti. Cosa facilmente comprensibile dato che loro avevano intrapreso una violenta battaglia con il regime tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, battaglia che si era conclusa con la loro uscita forzata dalla Siria o con un trattamento estremamente duro. Gli islamisti residenti all’estero seguivano gli evento legati della Primavera di Damasco dai loro paesi di residenza e si limitavano a pubblicare documenti contrastanti con il linguaggio democratico degli attivisti di quel periodo. Usavano Internet per raggiungere un pubblico relativamente ampio.

I partiti politici interni indipendenti e di opposizione nel frattempo si muovevano lentamente, lavorando per riabilitare se stessi all’interno di questa nuova scena. Non erano esclusi dallo spazio pubblico del gruppo, ma sicuramente non si trovavano in una posizione di leadership o di regia. Tutto ciò era contrario ai fondamenti della storia dell’attivismo pubblico in Siria, fatta di partiti politici e ideologie, e di una chiara aspirazione a governare. Il successo non era insolito, prima che l’individuo di maggior successo prendesse il potere per trent’anni e lo passasse al suo successore. Da parte loro, le autorità portavano avanti la riforma economica come alternativa alla riforma politica che era al centro delle richieste degli attivisti della Primavera di Damasco. Questa riformasa si è poi trasformata in “sviluppo e rinnovamento”, ovvero in “riforma amministrativa”. Il governo e gli islamisti, a loro modo, hanno risposto alle richieste degli attivisti della “Primavera” e ciò indicava che le iniziative degli intellettuali e attivisti siriani stavano fissando l’agenda del dibattito pubblico nel paese in quel momento, sebbene le autorità si rifiutassero di rispondere alle loro richieste fondamentali di riforma politica.

Non ci sono stati importanti cambiamenti sulla scena siriana fino al 2005. L’ironia è che questi si sono prodotti durante la più violenta crisi attraverso la quale è passato il regime del presidente Bashar Al-Asad, e che per un certo periodo sembrava potesse rappresentare la sua rovina. Queste crisi sono iniziate subito dopo l’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafiq Hariri, quando il dito accusatore era puntato sulla Siria e le sue forze di intelligence in Libano. Nell’estate del 2005 il partito Baath, che governa il paese dal 1963, teneva una conferenza in cui veniva inaugurata la trasformazione verso un’economia sociale di mercato, che in pratica significava verso una liberalizzazione economica dopo oltre quarant’anni di economia pianificata. Alla fine del 2007, una volta superato il culmine della crisi, le autorità hanno inflitto un colpo alla Dichiarazione di Damasco, il cui gruppo si era formato nell’autunno 2005 e rappresentava il principale organo dell’opposizione politica. Il gruppo che c’era dietro la Dichiarazione di Damasco era essenzialmente composto da partiti, inclusi quelli curdi, la Fratellanza musulmana siriana e altri personaggi indipendenti. Ma anche prima che le autorità arrestassero i suoi leader alla fine del 2007 e all’inizio del 2008, nel gruppo vi sono stati conflitti e scontri che lo hanno indebolito. Adottando l’economia sociale di mercato e ponendo fine a tutte le attività politiche, il regime ha preso il controllo di un ampio campo di gioco economico rafforzando il suo controllo su un campo di gioco politico già ristretto.

Oggi, nell’autunno 2010 lo scenario ideologico e partitico siriano appare noioso e inattivo, troppo di mezza età per attirare le giovani generazioni. Sembra che questo possa valere anche per il partito al governo, il Baath, e per i partiti leali ad esso che apparentamente stanno aiutandolo a governare il paese, uniti nel Fronte Nazionale Progressista sotto la sua guida. Allo stesso modo sembra che gli intellettuali che erano in prima linea nell’attivismo pubblico ai tempi della Primavera di Damasco oggi stiano prendendo le distanze da qualsiasi attività pubblica. Lo stato stesso nel frattempo, oltre al fatto di essere stato di parte per 47 anni, ha mostrato un’estrema centralizzazione intorno alla posizione e alla permanenza dell’autorità sin dai primi giorni del regno del defunto presidente Hafiz Al-Asad. Ciò è sempre stato ottenuto a scapito della sua struttura e del suo ruolo pubblico.

In un ambiente come questo, il partito politico e l’ideologia politica intellettuale e moderna, pilastri della modernità politica, subiscono una crisi, alla quale si aggiunge la debolezza istituzionale dello Stato e quella delle autorità legislative e giudiziarie e dei media dinanzi all’autorità esecutiva, nella quale l’elemento della forza supera quello giuridico e che per di più mostra un carattere “personalizzato”. In un ambiente come questo, le opportunità per sviluppare un’identità nazionale condivisa diminuiscono ed è probabile che vengano ravvivati raggruppamenti tribali settari, basati su legami religiosi, il che di fatto è accaduto. Ciò ha dimostrato che i legami religiosi stavano sostituendo la mancanza di libertà di espressione.

Negli ultimi anni manifestazioni e simboli di religiosità sono stati più evidenti nella sfera pubblica, tanto da suscitare il risentimento delle autorità. Alla fine di maggio, in un discorso al canale americano PBS, il presidente Bashar Al-Asad ha affermato che “la più grande sfida” che deve affrontare la Siria è “preservare la laicità della società”. E verso la fine del mese successivo, il ministero dell’Istruzione ha trasferito 1200 insegnanti con il velo dalle scuole ad altre posizioni, in particolare all’interno dei comuni, mentre il ministro dell’Istruzione ha affermato che altri ministeri avrebbero seguito la stessa strada. Infatti il Ministero dell’Istruzione Superiore lo ha fatto a metà luglio vietando alle donne velate di entrare nei campus universitari siriani. È possibile che dietro a sviluppi di questo tipo ci sia un messaggio secondo cui la Siria non è come l’Iran, Hezbollah e Hamas, secondo gli osservatori. (Nella stessa conversazione il presidente ha detto, “il nostro sostegno a Hezbollah e Hamas non significa che ci piacciano”.) Tuttavia, questo può anche dimostrare l’incertezza delle autorità su come affrontare un fenomeno preoccupante che non giustifica l’utilizzo della forza e che è impossibile controllare senza un ampio rinnovamento morale, culturale e politico, che le autorità non sembra siano in grado o non vogliano fornire. Sembra che la religiosità sociale, e la crescita della coscienza di classe in generale, sia legata a processi economici e sociali irreversibili in corso nel paese. Questi includono la relativa “liberazione economica”, il grado di liberalismo sociale e mediatico che l’accompagna e l’espansione dell’istruzione privata. Includono anche il crollo dei servizi pubblici ed educativi (e in particolare dei servizi sanitari), la diffusione della disoccupazione e la crescita del settore economico informale. Da un altro punto di vista c’è un collasso equivalente nel sistema di mobilitazione sociale che ha accompagnato il governo del partito Baath, in particolare delle organizzazioni “popolari”, studentesche, giovanili e femminili, dello stesso partito Baath e dei sindacati. Il problema qui è il cambiamento a lungo termine nel “contratto sociale del popolo” con cui il partito/stato monopolizzava l’establishment politico e sociale, in cambio della garanzia del soddisfacimento dei bisogni primari al pubblico in generale (e la difesa del paese).

Oggi l’economia è stata “liberata” e lo stato si è in pratica ritirato dal suo obbligo di fornire condizioni di vita accettabili ad ampi settori della popolazione, mantenendo il monopolio sull’establishment e resistendo con forza alla creazione di organizzazioni e sindacati indipendenti. A questo si aggiunge un vuoto morale e culturale creato dalla stessa trasformazione sociale e dal crollo dei valori ideologici nazionalisti e di sinistra che erano dominanti in Siria fino agli anni Ottanta. Tutto ciò aumenta la necessità di religiosità, dei suoi segni e simboli. Questa religiosità non è certamente politica quanto di tipo sociale, verso la quale si stanno muovendo in particolare i politici islamisti, prendendo le distanze dalla politica antagonista delle autorità e dalle partnership politiche con altri elementi di opposizione.

Tutte queste trasformazioni vengono consolidate dalle nuove tecnologie di comunicazione che da un lato garantiscono il monopolio sull’informazione da parte dello Stato e dall’altro incoraggiano la vita privata e il ritiro dalla sfera pubblica. Allo stesso tempo sono anche consolidate da una crisi internazionale della modernità e delle sue istituzioni. Il partito politico è in crisi ovunque, così come le ideologie e le metanarrazioni universali, secondo i teorici del postmodernismo. Questo è sistematicamente incline alle piccole narrazioni e a tutte le cose marginali, trasversali e recessive, sostenendo tendenze alla frammentazione sociale latenti nelle nostre società o dando loro legittimità, mentre indebolisce o danneggia la legittimità di concetti come la gioventù, la comunità, lo stato e il cittadino. A tutto ciò si aggiunge il fenomeno dell’internazionalizzazione delle élite attraverso le organizzazioni non governative, la cui diffusione è ancora limitata in Siria rispetto a Egitto, Palestina e Libano. Non siamo estranei a questo clima internazionale supportato dalla globalizzazione e dalle sue tecnologie, da un cambiamento nella struttura della produzione e della domanda nei centri capitalisti (spostandosi sempre più in direzione dell’individualismo) e dal crescente allontanamento dalla produzione all’ingrosso per un popolo anonimo e uniformato.

Si può dunque concludere che questi cambiamenti non dimostrano una presunta rinascita della società civile in Siria. Le politiche governative hanno indebolito la civiltà di una società condannata (il divieto di creare iniziative e organizzazioni sociali indipendenti). Sembra che oggi il capitalismo strisciante, in assenza di liberalizzazione politica, stia guidando un ulteriore indebolimento della partecipazione sociale. La crisi degli strumenti e dei valori della modernità nel nostro contesto sociale e culturale, nel frattempo, sta portando a una rinascita dei valori e delle formule di un ordine premoderno, o una simulazione di formule premoderne, caratterizzate da una significativa frammentazione. La società civile è uno dei concetti di modernità; quando la modernità è in crisi non ha rifugio. Preferisco parlare di crisi nella struttura nazionale dello Stato e della società, di una società frammentata e organica e di una forma moderna di autorità statale.

In che direzione si sta sviluppando questa formazione sociale? E quali sono le forze che guidano la sua direzione di sviluppo? Innanzitutto e soprattutto sono i cambiamenti economici che, come ho affermato, hanno una forza socialmente divisiva. Esiste un legame preciso tra questi cambiamenti e la diffusione della povertà, l’aumento del tasso di disoccupazione e l’allargamento dell’emarginazione. Al secondo posto ci sono i processi di globalizzazione, dal punto di vista economico e della comunicazione e il contesto postmoderno ad essi associato. Questi restringono il mondo sul piano economico e in termini di comunicazione, e secondo Régis Debray, lo balcanizzano culturalmente ispirando controversie su identità, civiltà e religione. Tutto ciò è chiaramente evidente. Inoltre danneggiano la sovranità economica, informativa e simbolica dello Stato. Al terzo posto c’è il ruolo delle dinamiche regionali, sebbene questo possa balzare in primo piano in qualsiasi momento in un ambiente regionale che include Israele, Iraq e Libano e l’Iran e la sua lotta con l’Occidente. Questo “Medio Oriente” è internazionalizzato a tal punto che le dinamiche interne non sono indipendenti dalle direzioni di sviluppo dei diversi paesi. In qualsiasi momento può accadere qualcosa di imprevisto e iniziare a spingere in una direzione alternativa, che può essere l’opposto del movimento attuale. L’effetto di questo “fattore esterno” è proporzionale alla diminuzione della struttura domestica, locale. La realtà è che ci manca un modello teorico per organizzare concettualmente la nostra società politica contemporanea e per spiegare la sua trasformazione. Questa è una grande sfida per gli intellettuali siriani e arabi. Non credo che il concetto di “società civile” sia in grado di affrontare questa sfida.

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