Di nuovo Aleppo? Un appello per salvare vite nella Ghouta orientale

Screen-Shot-2018-03-02-at-12.08.09-PMScritto da Aron Lund, tradotto da Giovanna De Luca

Si sta combattendo in un’enclave assediata, gli aiuti stranieri sono bloccati, le risoluzioni delle Nazioni Unite sembrano non significare nulla, i cessate il fuoco falliscono e i corridoi umanitari rimangono chiusi – storia già sentita?

La battaglia nell’enclave della Ghouta orientale vicino a Damasco oggi ricorda i combattimenti nell’est di Aleppo poco più di un anno fa. A quel tempo, le forze del presidente siriano Bashar al-Assad riconquistarono un’enclave ribelle dopo un’offensiva estenuante che infliggeva terrificanti danni ai civili. La battaglia si concluse con l’espulsione di diverse migliaia di insorti verso Idlib, controllata dai ribelli, insieme a circa 30.000 civili rimasti sotto il loro controllo.

Al governo siriano e ai suoi alleati russi e iraniani, Aleppo è ricordata come un’eroica vittoria sui gruppi islamici ostili, una vittoria che ha portato unità e pace in una città a lungo tormentata dalla violenza.

All’opposizione siriana e ai suoi sostenitori internazionali, compresi gli Stati Uniti e molti paesi europei, Aleppo è ricordata per la morte, la distruzione e il tradimento, e per la controversa espulsione finale di ribelli e civili, che molti membri dell’opposizione considerano un tipo di pulizia etnica.

Il destino di Aleppo sta per essere lo stesso della Ghouta orientale? Così sembra, e ci sono lezioni da trarre da ciò che è successo lì, così, per lo meno, i civili della Ghouta non dovranno affrontare gli stessi pericoli in caso di sconfitta finale ed evacuazione.

Il conflitto nella Ghouta orientale

Le basi per la battaglia nella Ghouta sono state gettate mesi fa, quando il governo di Assad ha vietato l’importazione di generi alimentari e la maggior parte delle missioni di aiuto nell’enclave, progettando una grave crisi. Dopo molti giorni di bombardamenti preparatori, il 25 febbraio è iniziata un’offensiva di terra su più fronti.

Il 24 febbraio è stato dichiarato un cessate il fuoco dell’ONU attraverso l’adozione unanime della risoluzione 2401 del Consiglio di Sicurezza, che chiedeva anche l’accesso senza ostacoli ai convogli di soccorso. Ma la risoluzione sul campo non è stata applicata.

“I combattimenti sarebbero continuati, secondo le notizie dalla Ghouta orientale”, mi è stato detto martedì da Linda Tom, una portavoce da Damasco dell’organismo di coordinamento degli aiuti delle Nazioni Unite, OCHA. “La notte scorsa è stato riportato anche un lancio di missili verso Damasco”, ha detto. Poco è cambiato da allora.

Rifiutandosi di applicare la tregua nella Ghouta orientale, la Russia ha lanciato una proposta differente; tregue umanitarie giornaliere della durata di cinque ore. Anche questa proposta non ha fatto alcuna differenza sul terreno, ed è stata ampiamente respinta con la scusa di essere un modo per spostare la discussione lontano dai termini della risoluzione ONU.

“È impossibile portare un convoglio umanitario in cinque ore”, ha dichiarato in una nota il Direttore internazionale della Croce Rossa del Medio Oriente, Robert Mardini. “Abbiamo una lunga esperienza nel portare aiuti in prima linea in Siria, e sappiamo che potrebbe volerci fino ad un giorno per passare semplicemente i checkpoint, nonostante il precedente accordo di tutte le parti. Poi bisogna scaricare le merci”, ha detto.

Non c’è neanche un accordo con il governo siriano, che controlla l’accesso. In un discorso al Consiglio di Sicurezza, il responsabile dell’ONU per l‘invio di aiuti, Mark Lowcock, ha osservato che Damasco deve ancora permettere a qualsiasi convoglio di aiuti di entrare nell’enclave.

Nel frattempo, la situazione si deteriora e si perdono vite. Lowcock ha detto che dal bilancio degli attacchi aerei e dei bombardamenti sull’enclave si crede si sia arrivati ora a oltre 580 morti, mentre i giornali filogovernativi riferiscono che il fuoco dei mortai ribelli ha ucciso dozzine di civili a Damasco.

I numeri sbilenchi delle perdite mettono a nudo un estremo squilibrio di potere. I ribelli sono circondati in un’enclave privata di cibo e medicine, e sono in ogni modo disarmati, poiché sia le truppe siriane che quelle russe bombardano i bersagli all’interno dell’enclave.

La manciata di milizie islamiste rivali che controllano la Ghouta orientale sembrano lottare duramente. Ma hanno poche possibilità di vincere la battaglia, anche se possono prolungarla. E anche questo fa venire in mente Aleppo.
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Cosa è successo ad Aleppo

L’assedio di Aleppo est, controllata dai ribelli, è iniziato nella primavera del 2016. È stato caratterizzato da combattimenti estremamente brutali misti a negoziati tra Stati Uniti e Russia. Quando l’offensiva finale del governo siriano è iniziata, a fine autunno 2016, era chiaro che i ribelli non potevano vincere, sebbene non fosse chiaro per quanto tempo avrebbero potuto resistere, alcuni pensavano per molti mesi.

I governi siriano, russo e iraniano sono stati oggetto di intense critiche da parte di nazioni occidentali e arabe, gruppi internazionali per i diritti umani e organi delle Nazioni Unite. Il loro bombardamento su vasta scala di bersagli non militari e il rifiuto di lasciar entrare medicine e cibo sembravano essere volti a spezzare la resistenza traumatizzando la popolazione civile. Ma il campo pro-Assad ha respinto tutte le accuse, preferendo discutere dei bombardamenti dei ribelli di Aleppo occidentale, e quando i fatti sono stati messi sotto analisi nel Consiglio di sicurezza, la Russia ha posto il veto a due progetti di risoluzione.

I cessate il fuoco di Aleppo furono progettati per non coprire i combattenti del Fronte di Al Nusra, elencato come gruppo terrorista, annidato tra gli altri ribelli di Aleppo, che Assad e i suoi alleati usavano per giustificare le continue operazioni. Questo ha avuto l’effetto collaterale di focalizzare l’attenzione diplomatica sulla presenza del Fronte Al Nusra, e l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria Staffan de Mistura si è persino offerto come scudo umano, promettendo di scortare i jihadisti fuori dalla città se ciò avrebbe potuto facilitare un cessate il fuoco.

Con l’intensificarsi dei combattimenti, le discussioni si sono spostate su una più ampia evacuazione dei ribelli e dei civili ribelli dell’area. L’esercito siriano ha aperto le linee del fronte e ha esortato i civili a fuggire nel territorio governativo, ma pochi sono passati. L’opposizione considerava le traversate come uno stratagemma mediatico per deviare la colpa dei morti tra i civili, mentre i lealisti sostenevano che i ribelli stavano mantenendo gli abitanti di Aleppo orientale come scudi umani.

A novembre e dicembre 2016, le difese dell’opposizione sono crollate. I civili si sono sparpagliati in tutte le direzioni per sfuggire ai combattimenti, e secondo le statistiche delle Nazioni Unite circa 121.000 hanno trovato riparo dietro le linee del governo, mentre un gruppo più piccolo di circa 30.000 persone è fuggito nei quartieri rimasti sotto il controllo dell’opposizione. Nel caos, molti non avevano scelta su dove trovare rifugio.

Il 13 dicembre, i negoziatori ribelli hanno firmato un accordo di capitolazione con l’esercito russo. Mentre le Nazioni Unite si affannavano per inviare osservatori nell’area, gli ultimi 36.000 abitanti del territorio ribelle salivano a bordo di autobus diretti a Idlib. Si trattava di un’evacuazione frettolosamente organizzata che comportava gravi rischi per i civili e stava per essere deragliata dalle milizie ostinate.

Molti dei civili che erano stati trasferiti ad Aleppo ovest furono in seguito in grado di tornare, ma se fossero stati evacuati con i ribelli o rimasti nel territorio governativo, non avrebbero avuto alcuna possibilità di scegliere se rimanere nelle loro case o partire. Una squadra di monitoraggio dei diritti umani con mandato ONU ha descritto l’evacuazione di dicembre come “spostamento forzato”.

Questo dibattito non si può vincere

Realisticamente, questo è anche il modo in cui finiranno i combattimenti nella Ghouta orientale, anche se ci sono differenze: nella Ghouta, potremmo per esempio vedere diversi accordi per le diverse aree e gruppi coinvolti, piuttosto che un unico accordo per l’intera area assediata, come ad Aleppo.

La risoluzione 2401 del Consiglio di Sicurezza impone un cessate il fuoco in tutta la Siria, compresa la Ghouta orientale, ma è stata ignorata dai governi russo, siriano ed iraniano. Fedele al playbook del 2016, stanno invece premendo per le tregue della Russia di cinque ore e accusando i ribelli di tenere prigionieri civili all’interno dell’enclave. I ribelli lo negano, ma è supportato da alcuni rapporti umanitari.

Come ad Aleppo, la parte pro-Assad giustifica le continue operazioni militari indicando la presenza nella Ghouta orientale dei combattenti di Tahrir al-Sham, l’ex Fronte Nusra. Chiaramente cercando di dare importanza alll’influenza del gruppo, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov afferma addirittura che Tahrir al-Sham “controlla tutto” nella Ghouta orientale, mentre i diplomatici occidentali mettono in dubbio sia la richiesta che l’interpretazione di Lavrov della Risoluzione 2401. Ma l’intero dibattito è una deviazione.

Come prima successo ad Aleppo, il conflitto nella Ghouta orientale non riguarda il jihadismo, e Assad non sta combattendo i ribelli armati vicino a Damasco perché teme che la Ghouta sia in futuro un palcoscenico per il prossimo 11 settembre. Combatte i ribelli armati vicino a Damasco perché sono ribelli armati vicino a Damasco. Nessun dibattito sulla composizione dell’insurrezione della Ghouta cambierà questo.

I diplomatici americani, francesi e britannici possono protestare a squarciagola, e possono sbattere pentole e padelle nel Consiglio di Sicurezza, ma quelle sono tutte parole mentre quello che succede fuori Damasco è una guerra con interessi esistenziali per entrambe le parti. E insieme ai suoi alleati, Assad ora ha i mezzi materiali per vincerla, mentre l’opposizione no.

I sostenitori dell’opposizione dovrebbero riconoscere il fatto che non interverranno sul lato ribelle. Non devono acconsentire agli inganni dei media siriani o russi e alla traina politica, ma dovrebbero smettere di fingere di poter salvare i loro alleati invocando lo spirito della Risoluzione 2401.

Un finale come quello di Aleppo

161215094156-aleppo-green-bus-1215-exlarge-169.jpgIl finale è chiaro: un altro giro di evacuazioni. “L’esperienza acquisita ad Aleppo, quando è stato raggiunto un accordo con i militanti sul loro esodo organizzato, può essere utilizzata nella Ghouta orientale”, ha detto Lavrov all’inizio di questo mese.

Ma sebbene le sfumature si perdano facilmente nel rumore e nella furia della guerra siriana e quella dei media che la circondano, Aleppo è un esempio che nemmeno il governo dovrebbe cercare di emulare.

L’evacuazione di dicembre di Aleppo Est è stata diversa dalle trattative concluse nella maggior parte delle città della Siria, precedentemente assediate, come Qudsayya, Sanamein, Waer, Wadi Barada o al-Tell. Lì, gli accordi che hanno segnato la vittoria di Assad hanno dato agli insorti la possibilità di consegnare le armi in cambio di un’amnistia, o di partire per Idlib insieme a membri della famiglia, uomini disponibili per la leva e altri che desideravano unirsi a loro, ma la maggior parte dei civili rimase dov’era. Naturalmente, alcuni di coloro che avevano scelto di andarsene lo hanno fatto non tanto per il desiderio di non continuare a combattere ma per timore di rappresaglie da parte di milizie lealiste vendicative e indisciplinate.

Ma c’era molta possibilità di scegliere per la maggior parte dei civili e molte persone scelsero di rimanere nelle proprie case.

Non fu così ad Aleppo, dove l’arbitrario spostamento della popolazione scatenato dai combattimenti militari ha determinato chi è finito su quale lato della linea del fronte, e un accordo politico ha deciso chi sarebbe stato inviato a Idlib. Questo è quello che il gruppo delle Nazioni Unite ha definito sfollamento forzato, che è un crimine di guerra.

Nessuno di questi scenari è molto incoraggiante da un punto di vista umanitario o legale. Ma non c’è dubbio che un passaggio negoziato sulla falsariga delle “normali” operazioni di capitolazione siriana sarebbe un risultato migliore per la maggior parte delle persone nella Ghouta orientale di una conclusione in stile Aleppo attraverso la forza schiacciante, dove decine di migliaia di civili sono stati radunati su autobus in rifugi governativi passando attraverso il fumo e il fuoco delle loro città in rovina.

Lezioni da Aleppo

Si possono trarre molte conclusioni da quello che è successo ad Aleppo. Le due parti che combattono certamente danno le loro interpretazioni reciprocamente contraddittorie.

Ma ci sono anche imperativi apolitici in campo umanitario. Indipendentemente da quale lato si stia in Siria, dovrebbe essere ovvio che la battaglia della Ghouta finirà prima o poi male per l’opposizione. Ciò ha implicazioni su come proteggere al meglio le popolazioni civili sotto il controllo dell’opposizione, attualmente stimato da 393.000 persone dalle Nazioni Unite.

Anche se non tutti potrebbero essere d’accordo, le seguenti quattro lezioni di quello che è successo ad Aleppo sembrano ovvie:

* Se le nazioni pro-opposizione si preoccupano dei civili siriani, non dovrebbero prolungare la battaglia nella Ghouta orientale semplicemente per salvare la faccia. Inoltre, non dovrebbero ingannare i loro alleati ribelli in Siria sul probabile esito o sui limiti del proprio impegno per la sopravvivenza all’opposizione.

* Gli sforzi diplomatici devono concentrarsi su obiettivi umanitari realizzabili. Far sì che Assad accetti una presenza permanente dell’opposizione nella Ghouta orientale non è uno di loro. Tuttavia, se si presentasse la possibilità di una conclusione negoziata, potrebbe essere possibile mediare le intese che portano i prossimi accordi di capitolazione più in linea con il diritto internazionale. Forse è possibile trovare meccanismi per fornire aiuti alle zone ancora assediate, assicurare una certa libertà di movimento ai civili, far sì che le parti impegnate tornino alle loro case e possano recuperare i propri averi e monitorare la volontarietà di ogni evacuazione.

* Le Nazioni Unite e altri organismi internazionali temono di essere considerati di parte o complici delle violazioni del diritto internazionale. Anche così, potrebbero potenzialmente svolgere un ruolo positivo nella preparazione, nel reperimento di risorse o nel monitoraggio di accordi che attutiscano il colpo ai civili quando i ribelli alla fine perderanno la presa sull’enclave. I governi pro-opposizione possono anche facilitare i colloqui con i ribelli e potrebbero contribuire a rendere gli accordi più sicuri per i perdenti offrendo asilo o evacuazioni mediche sul loro stesso territorio.

* Politicamente, è imperativo prepararsi ai risultati probabili, non solo a quelli desiderati. Invece del Consiglio di Sicurezza che ordina uno sforzo come è avvenuto ad Aleppo, l’ONU dovrebbe essere incoraggiata a monitorare la situazione quando le forze sul terreno concludono un accordo, al fine di ridurre i rischi incorsi nel cedere comunità e ribelli nel processo di evacuazione o disarmo.

Che i ribelli fuori Damasco sembrino destinati a perdere è un’intuizione che non dovrebbe essere ignorata o soppressa, ma piuttosto un punto di partenza per la risposta umanitaria e diplomatica. Sebbene gli eventi seguiranno sicuramente il loro corso in un modo o nell’altro, potrebbe ancora essere possibile smantellare l’enclave nella Ghouta orientale con meno distruzione e sofferenza umana di quella che affliggeva l’Aleppo orientale. E nella guerra vile e criminale della Siria, proteggere i civili rimane un obiettivo degno, forse l’unico.

Originale: Aleppo Again? A Plea to Save Lives in Eastern Ghouta

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