Il trionfo della propaganda: ecco perché Assad e la Russia prendono di mira i caschi bianchi

Articolo di Janine di Giovanni tradotto da Giovanna De Luca

Intorno alle 6:30 del mattino di martedì 4 aprile 2017, prima che la maggior parte dei bambini uscisse per andare a scuola, i caccia da combattimento dell’aeronautica militare siriana Su-22 lanciavano missili a nord della città di Khan Shaykhun, in mano ai ribelli.

I testimoni ricordano uno strano odore che si diffondeva nell’aria dopo che i missili avevano colpito. La gente stava soffocando e aveva la schiuma alla bocca. Una persona del posto ha in seguito descritto la scena dicendo che era “come se stessero soffocando mentre i loro polmoni collassavano”. L’attacco aereo conteneva una miscela di bombe piene di agenti nervini e munizioni convenzionali. Questo è quanto afferma James Le Mesurier,  tra i fondatori della Protezione civile Siriana (comunemente nota come “Caschi Bianchi”).

Chi sono i White Helmets

I Caschi Bianchi sono i primi, spesso gli unici, soccorritori sulla scena dopo i raid aerei. Subito dopo le esplosioni a Khan Shaykhun, la notizia di un attacco chimico veniva trasmessa dalle radio locali.

Le vittime furono portate in un vicino centro gestito dai Caschi Bianchi, secondo Le Mesurier. In questo caso, il team dei Caschi Bianchi non sapeva quale tipo di agente fosse stato utilizzato, così iniziò il protocollo standard di lavaggio delle vittime. Mentre lo facevano, però, alcuni Caschi Bianchi furono essi stessi esposti alla tossina (sopravvissero). Le vittime furono trasferite ai centri medici nel nord di Idlib, e ricevettero cure mediche anche negli ospedali in Turchia.

I medici in Turchia verificarono che alcune vittime soffrivano di sintomi di avvelenamento da gas nervino, con gravi problemi respiratori, vomito e intenso dolore allo stomaco, spiega Le Mesurier. Poche ore dopo l’attacco iniziale, bombe convenzionali colpirono una clinica dove venivano curati i feriti; alla fine della giornata, più di ottanta persone, molte delle quali donne e bambini, erano morte. Centinaia risultarono feriti.

Le indagini Onu

Ad ottobre del 2017, il Joint Investigative Mechanism – un organismo creato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU e dall’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche per le indagini sull’uso di armi chimiche in Siria – confermava che a Khan Shaykhun era stato usato il sarin e che il governo siriano ne era responsabile . Gli investigatori hanno attinto a piene mani dalla testimonianza dei Caschi Bianchi e dai campioni biomedici, del suolo e dell’abbigliamento che sono stati forniti loro dagli stessi Caschi Bianchi. Questi campioni erano coerenti con gli altri raccolti dopo l’attacco, compresi quelli ottenuti dagli ospedali in Turchia.

Quasi immediatamente dopo l’attacco, il regime siriano aveva avviato una campagna di disinformazione sostenuta dal suo patrono, il governo russo. Entrambi avevano in precedenza affermato che l’attacco chimico del 2013 nella Ghouta Orientale, in cui furono uccise più di 1.400 persone, era stato perpetrato dall’opposizione, contrariamente alle conclusioni di un’indagine dell’ONU. Avevano anche negato che atrocità come razzi contro i civili e strutture mediche fossero stati commessi durante l’assedio di Aleppo, quando il regime stava bombardando un convoglio americano. Aleppo è caduta in mano alle forze siriane a dicembre 2016. La Siria e il suo alleato russo avevano deciso di negare quello che definivano il “mito” secondo il quale Khan Shaykhun sarebbe stata gassata dalle forze governative.

“L’esercito siriano non ha e non userà questo tipo di armi”, aveva detto il ministro degli esteri siriano Walid al-Moallem a Damasco. A Mosca, il portavoce del ministero della Difesa russo Igor Konashenkov accusava essenzialmente i combattenti dell’opposizione di aver gassato la propria gente. Il Ministero degli Affari Esteri russo ha iniziato una campagna di propaganda, basandosi in gran parte sui suoi agenti e seguaci su Twitter per diffondere falsità sull’accaduto. Tali falsità includevano l’affermazione secondo cui gli attacchi chimici venivano messi in scena dai Caschi Bianchi che avevano utilizzato attori, e che ciò era parte di una cospirazione occidentale che doveva fornire copertura sia al raid aereo statunitense del 7 aprile sulla base aerea di Shayrat sia al complotto per abbattere Assad, creando un pretesto per l’intervento militare.

La valutazione russa e siriana dell’attacco è stata ritwittata con l’hashtag #SyriaHoax(#SiriaInganno).Secondo Syrian Campaign, un gruppo di difesa internazionale che non prende soldi dai governi ”Le affermazioni inverosimili della Russia sono state condivise così ampiamente, da essere diventate l’argomento di tendenza numero uno su Twitter negli Stati Uniti.”

Uno studio di Syrian Campaign ha scoperto che la propaganda russa e siriana ha raggiunto molte più persone rispetto alla copertura mediatica dell’attacco, cosa che è accaduta anche in altri momenti durante la guerra civile siriana. Syrian Campaign ha anche riferito che bot e troll legati alla Russia hanno raggiunto circa 56 milioni di persone con tweet che attaccano l’organizzazione di ricerca e soccorso siriana,  i Caschi Bianchi, durante dieci momenti chiave del 2016 e 2017″, tra cui l’attacco chimico a Khan Shaykhun, la nomina dei Caschi Bianchi al Nobel per la pace nel 2017, l’offensiva su Aleppo e l’omicidio, nel 2016, di Jo Cox, un membro del Parlamento britannico che sosteneva i Caschi Bianchi.

Come funziona la propaganda

Il successo di questo tentativo di disinformazione è stato tale che mi viene ripetutamente chiesto da persone istruite e bene informate perché Assad è stato accusato di crimini che l’opposizione stava portando avanti. Il leader de facto della campagna di disinformazione è una blogger di nome Vanessa Beeley,  soprannominata dall’ex redattore sul Medio Oriente del Guardian “la dea della propaganda del conflitto siriano”.

Secondo il fondatore di Caschi Bianchi, Le Mesurier, il gruppo, apparso per la prima volta nel 2012 conta oggi circa 3.000 membri, ed ha salvato circa 115.000 perdendo più di 250 volontari. Una delle missioni più celebri dei Caschi Bianchi si è svolta nel 2014, quando Khaled Omar Harrah, ex decoratore di case e padre di due figli, ha tirato fuori un bambino di dieci giorni dalle macerie di un edificio, dove era rimasto sepolto vivo per sedici ore. (Harrah è stato ucciso in un attacco aereo nel 2016.) Un documentario su Netflix sul loro lavoro ha vinto l’Oscar nel 2017 e i progressisti di Hollywood hanno firmato petizioni di solidarietà.

Una strategia che i blogger al servizio di Asad usano per screditare i Caschi Bianchi è sostenere che il gruppo è finanziato da governi che, secondo i blogger, sono intenzionati a cambiare il regime in Siria. Parte del finanziamento dei White Helmets proviene dal Conflict, Stability and Security Fund del governo britannico, che sovrintende vari progetti globali come la costruzione di dighe in Asia centrale e la prevenzione della violenza sessuale durante la guerra.

Le Mesurier ha confermato che il totale dei finanziamenti governativi del Regno Unito per i Caschi Bianchi è stato di circa  38,5 milioni di sterline (51 milioni di dollari) per un periodo di cinque anni fino a marzo 2018. L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) ha donato circa 33 milioni di dollari in un periodo simile . La Croce Rossa del Qatar ha fatto una donazione di circa 1 milione ai Caschi Bianchi, mentre altri finanziamenti provengono da altri governi: quello tedesco, canadese, danese e giapponese ad esempio. Questi fondi supportano il budget del gruppo per circa 30 milioni di dollari all’anno, molti dei quali vengono spesi in equipaggiamenti come ambulanze, camion dei pompieri e scavatrici per recuperare corpi da edifici crollati. Oltre che per gli stipendi  dei singoli membi dei Caschi Bianchi, circa 150 dollari al mese .

Una preziosa documentazione

Ma il sostegno finanziario ai Caschi Bianchi non è la vera ragione per cui il campo pro-Assad è così deciso a diffamarli. Dal 2015, anno in cui i russi hanno iniziato a combattere in Siria, i Caschi Bianchi hanno filmato gli attacchi contro le aree in mano all’opposizione con telecamere GoPro poste sui loro elmetti. Damasco e Mosca sostenevano che stavano attaccando solo terroristi, eppure i Caschi Bianchi hanno registrato filmati di donne e bambini morti e feriti sotto le macerie. Secondo Human Rights Watch, Amnesty International, ed i resoconti di testimoni oculari, i bombardieri di Putin hanno preso di mira civili, scuole, ospedali e strutture mediche nelle aree ribelli, una chiara violazione del diritto internazionale. “Questo, soprattutto, è quello che non è andato giù ai russi”, mi ha detto Ben Nimmo, un collega del Consiglio Atlantico specializzato in disinformazione russa. “Che i Caschi Bianchi stiano filmando i crimini di guerra.”

La galassia pro-Assad

La maggior parte degli apologeti occidentali di Asad sono presenti solo su Twitter e su siti oscuri come 21st Century Wire (un sito web fondato dall’ex direttore di Infowars, Alex Jones, teorico del complotto americano), ma sarebbe sciocco ignorarli. Il lavoro di questo piccolo gruppo è anche diffuso da uno spettro di teorici della cospirazione di estrema sinistra e anti-Occidente, antisemiti, sostenitori di Russia, Iran e Hezbollah; libertari; e gruppi di estrema destra. In prima fila tra loro ci sono  Vanessa Beeley, figlia di un diplomatico britannico, un’attivista canadese di nome Eva Bartlett, l’analista filo-Hezbollah Sharmine Narwani e Max Blumenthal, figlio dell’ex aiutante di Clinton, Sidney Blumenthal.

Come riportato di recente dal Guardian, il governo russo utilizza account Twitter appartenenti alle sue ambasciate, così come altri account collegati alla Internet Research Agency, che supervisiona troll e robot, per diffondere disinformazione. Le opinioni degli scrittori pro-Asad sono filtrate anche nel mainstream attraverso i giornalisti statunitensi e britannici più rispettabili come come Robert Fisk, Stephen Kinzer e John Pilger (che sovrintende al Martha Gellhorn Reporting Prize, già assegnato a Julian Assange con la Beeley seconda classificata). Di conseguenza, ai loro rapporti fanno eco personaggi pubblici come la parlamentare britannica Emily Thornberry, la baronessa Cox e il reverendo Andrew Ashdown, un ministro anglicano.

Il danno che i blogger fanno è immenso. Attaccano chiunque proponga una versione dei fatti che li contraddica, ma il loro obiettivo principale sono i Caschi Bianchi. Il lavoro dei blogger viene ripetuto sulle agenzie di stampa russe di proprietà statale quali RT e Sputnik; alcuni di essi vengono persino citati dagli ambasciatori russi alle Nazioni Unite. I blogger non resistono al collegamento con il Cremlino e non ci sono prove di transazioni finanziarie diverse dalle tariffe standard pagate da RT per le apparizioni televisive. Ma la versione russa dei suoi stessi attacchi militari è amplificata da blogger come Beeley e Bartlett, che promuovono rapporti di cronistoria che pompano  il racconto falso del Cremlino sull’uso di armi chimiche in Siria.

Beeley, ex consulente di una società di gestione di rifiuti in Medio Oriente senza formazione giornalistica, ha circa 42.000 followers su Twitter, ma appare regolarmente su RT e Sputnik. I suoi post sono ritwittati dall’Istituto di Ron Paul, dai membri dell’ “alt-right” e da un gruppo che Muhammad Idrees Ahmad, docente all’Università di Stirling ed esperto della campagna di disinformazione russa in Siria, definisce “rosso-bruno”. Si tratta di “un’improbabile coalizione di estremisti di estrema sinistra ed estrema destra”.

Beeley è andata in Siria per la prima volta nel 2016 in un viaggio di sei giorni per incontrare Bashar al-Assad, un incontro che ha definito “il momento del quale vado più fiera”. Poco dopo, è volata a Mosca per incontrare il vice ministro degli esteri russo Mikhail Bogdanov, che è l’uomo di punta di Putin in Siria, e Maria Zakharova, direttrice dell’informazione e della stampa di Putin. Dopo quella visita, ha iniziato ad attaccare con veemenza i Caschi Bianchi. Nel 2015, aveva chiesto la morte dei primi soccorritori, anche se “la violenza contro la vita e la persona [contro civili e non combattenti]” è vietata dalla Convenzione di Ginevra. “I Caschi Bianchi non lo capiscono”, ha twittato. “Sappiamo che sono terroristi. Ciò li rende un bersaglio legittimo”.

Beeley ha ammesso, in una conversazione privata su Facebook con il blogger Scott Gaulke -ottenuta dagli hacker e successivamente pubblicata – che persino Asad non nega la tortura. “Neanche i membri del Governo lo negano” scriveva Beeley, aggiungendo che non lo ammetterebbe mai pubblicamente.

Perché lo fanno?

Le ragioni della sua devozione al regime di Asad sono, come quelle di altri blogger e scrittori come lei, poco chiare. (Apparentemente, vede Assad non come un criminale di guerra, ma come una vittima dell’imperialismo occidentale). Potrebbero essere “utili idioti” sostenuti dalla Russia, ma il loro imperituro sostegno per Assad è basato su opinioni anti-occidentali secondo le quali gli Stati Uniti avevano progettato un cambio di regime in Siria, seguendo il modello dell’Iraq. Il fatto che l’invasione dell’Iraq sia avvenuta sotto il presidente George W. Bush, mentre il presidente Obama si è categoricamente rifiutato di intervenire in Siria – una posizione che suscitò aspre critiche dopo che il regime di Asad aveva usato per la prima volta armi chimiche – non rientra nei loro argomenti.

Il caso Beeley e Bartlett

Forse la prova più significativa dell’influenza di Beeley è che nel maggio 2017 il vice ambasciatore russo presso le Nazioni Unite, Petr Iliichev, ha presentato un documento intitolato “Informazioni sul lavoro dei Caschi Bianchi in Siria” al Consiglio di sicurezza dell’ONU, cercando di collegare i White Helmets al gruppo di al-Qaeda. Il documento era basato su una conferenza che Beeley aveva dato all’inizio di quell’anno a Londra. Nel luglio 2017, la richiesta di Iliichev è stata respinta da otto paesi nel Consiglio di sicurezza, che hanno affermato: “la difesa civile siriana è un gruppo imparziale e neutrale”.

Un’altra blogger pro-Assad, la scrittrice canadese Eva Bartlett, ha parlato alle Nazioni Unite a dicembre 2016, in seguito ad una visita ad Aleppo organizzata dal regime di Assad dopo la caduta della città. Bartlett veniva presentata a testimone delle affermazioni russe, secondo le quali l’alleanza di Assad aveva combattuto contro gli islamisti, non bombardato civili. Un video che ha realizzato durante il suo viaggio supportava questa narrativa, ed è stato visto almeno 4 milioni di volte. Il che, per una scrittrice non affiliata a nessuna organizzazione giornalistica ufficiale, è sbalorditivo. Una versione di questo video è stata promossa nel canale video statale russo In the Now, con la didascalia: “Il quotidiano canadese indipendente schiaccia totalmente il giornalista MSM su ciò che sta succedendo in Siria”. Anna Nolan, ex direttrice di Syria Campaign, sostiene che quel video ” Era il contenuto più condiviso tra quelli inerenti ad Aleppo, più di qualsiasi cosa pubblicata su altri media tradizionali “.

Nel frattempo, la maggior parte dei giornalisti tradizionali ha rifiutato i visti per visitare le aree della Siria in mano al regime. All’inizio della guerra,  sono stato ammessa nei territori in mano regime, ma sono stata seguita da mentori del Ministero dell’Informazione. Nel 2012, dopo essere passato sotto copertura e aver segnalato un omicidio di massa sponsorizzato dal regime nella città di Daraya, successivamente verificato da Human Rights Watch e “catalogato dalla Commissione Internazionale Indipendente desinata dall’ONU come massacro “, il mio visto governativo è stato revocato e mi è stato detto che sarei stato gettato in una “prigione di Assad” se avessi tentato di tornare. (Robert Fisk, che è entrato in città accompagnato dalle forze governative, il giorno dopo aver denunciato la cosa ha negato qualsiasi atrocità da parte loro e continua ancora oggi a godere dell’accesso nella Siria controllata dal governo). Dopo Daraya, l’unico modo per me e la maggior parte dei giornalisti mainstream per lavorare era attraversare la Siria attraverso il confine turco.

Il (doppio) caso di Blumenthal

Un altro importante personaggio pro-Assad è Max Blumenthal. Nel 2012, si è dimesso dalla sua posizione di reporter perla sezione in lingua inglese del giornale pro-Hezbollah Al-Akhbar di Beirut, per il quale aveva scritto spesso sulla situazione dei profughi palestinesi. In una lettera aperta, si è opposto alle opinioni pro-Assad del giornale e alla sua presentazione dei contenuti di Sharmine Narwani e di uno scrittore di nome Amal Saad-Ghorayeb, il cui lavoro ha definito “propaganda malevola”. Nel settembre 2013, Blumenthal è andato nel campo profughi di Zaatari in Giordania in missione per The Nation. Si è opposto fermamente all’intervento americano contro Asad, ma scriveva su Twitter “il 100% delle persone con cui ho parlato a Zaatari oggi vogliono l’intervento americano in Siria”.

Ma poi, a dicembre 2015, mentre la Russia stava inesorabilmente bombardando la Siria, e medici e civili venivano uccisi ad Aleppo dai barili bomba, Blumenthal si recava a Mosca per celebrare il decimo anniversario di RT. Non sappiamo cosa sia successo durante quella visita, ma dopo quella visita le posizioni di Blumenthal si sono completamente capovolte. Ha attaccato non solo i Caschi Bianchi ma anche Bana al-Abed, una bambina di nove anni che viveva nella Aleppo ribelle e gestiva un account Twitter con sua madre. L’uomo, scrittore di un saggio intitolato “Il diritto di resistere è universale” e autore di attacchi in cui definiva Narwani  “apologeta di Assad”, ora accusava i siriani anti-Assad di appartenere ad al-Qaeda, affermando che i Caschi Bianchi erano affiliati al gruppo islamista.

L’australiano Pilger

Il giornalista australiano John Pilger fa eco alle opinioni di Bartlett e Beeley nelle interviste. Pilger, che gode di ottima reputazione in Regno Unito per via dei suoi documentari televisivi che criticano la politica estera degli Stati Uniti, ha una nuova piattaforma su RT, che usa per negare attacchi chimici come quello a Khan Shaykhun. Anche lui spesso attacca i Caschi Bianchi e li definisce estremisti islamici citando la Beeley come se questa fosse un’autorevole giornalista.

Precisazioni

Sfortunatamente, i Caschi Bianchi hanno a volte commesso degli errori che sono stati sfruttati dai detrattori del gruppo. Secondo lo statuto dell’organizzazione, i volontari non possono portare armi, ma molti sono stati fotografati con armi da fuoco. (e prontamente licenziati). Alcuni volontari sono stati fotografati con bandiere nere, che gli scrittori pro-Asad e gli utenti dei social media sostengono siano prove dei legami con i jihadisti, anche se ci sono molti gruppi nella Siria ribelle, non solo Nusra o lo Stato Islamico, che usano bandiere nere.

Forse la cosa più dannosa è stata la partecipazione di due membri dei Caschi Bianchi ad una campagna video virale chiamata “The Mannequin Challenge”, in cui le persone rimangono bloccate come manichini mentre qualcuno le riprende. Senza il permesso dei supervisori, due uomini hanno posato in una sparatoria, facendoli sembrare accanto a un uomo ferito. Le Forze rivoluzionarie della Siria, il gruppo di media dell’opposizione che ha creato il video, hanno dichiarato che il loro scopo era richiamare l’attenzione sulla situazione in Siria. Il video, girato a novembre 2016, è stato spesso citato dai sostenitori di Asad come prova che i Caschi Bianchi sono un gruppo terroristico, anche se il video non contiene nulla che abbia a che fare col terrorismo.

Attacchi chimici: il nodo più difficile

Tra gli eventi in Siria collegati ai crimini di Assad, la diffusione della disinformazione sugli attacchi chimici è esasperante. “Così tanti auto-dichiarati progressisti, che puntano il dito regolarmente contro crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti, da Israele e dal regime saudita, negano o giustificano la tortura, la punizione collettiva e altre atrocità commesse dal regime di Assad”, spiega Kristyan Benedict di Amnesty International, che risponde regolarmente su Twitter ai post di Beeley, Bartlett e altri.

Una misura della considerazione che ha il regime dei Caschi Bianchi è data dal fatto che gli aerei russi lanciano frequentemente secondi bombardamenti noti come attacchi “double tap” in aree dove hanno precedentemente sganciato bombe, nel tentativo di uccidere i Caschi Bianchi mentre cercano di salvare siriani feriti – precisamente il tipo di attacco che Beeley chiama “legittimo”. “Quando sentiamo quel rumore, degli aerei russi che tornano mentre siamo su un sito dove si scava”, mi disse un volontario dei Caschi Bianchi nel 2015, “per noi è il suono più terribile del mondo “. Un altro mi ha detto che evitare di soccorrere persone che soffocano sotto le macerie era peggio che crudele, era diabolico “.

Il grande archivio siriano

Il regime di Asad e i russi stanno cercando di neutralizzare i Caschi Bianchi perché sono potenziali testimoni di crimini di guerra. Ma i Caschi Bianchi non sono l’unica fonte di tale testimonianza. Quando arriverà il giorno della giustizia, ci saranno enormi quantità di prove raccolte su smartphone da civili e testimoni. L’Archivio siriano di Berlino ha raccolto e conservato oltre due milioni di “unità digitali” – per lo più registrazioni, ma anche foto, post di Facebook e tweet – realizzate da testimoni che documentano potenziali violazioni dei diritti umani, anche probabilmente il numero  di materiali probatori è molto più grande di quanto raccolto finora. In una villa vicina al Palazzo delle Nazioni delle Nazioni Unite a Ginevra, un gruppo incaricato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2016 e noto come “Meccanismo Internazionale Imparziale e Indipendente” (IIIM) sta catalogando migliaia di ore di documentazione e di documenti , alcuni dei quali un giorno, si spera, saranno citati come prova in imputazioni per crimini di guerra.

La missione russa dell’ONU ha condannato l’IIIM, definendolo illegale, e si rifiuta di riconoscerlo. Molto probabilmente, la Siria non richiederà un’indagine del Tribunale penale internazionale. Ma l’IIIM è sostenuto da potenti paesi europei ed è guidato da un procuratore francese che ha una lunga esperienza nel portare davanti alla giustizia criminali di guerra dalla Cambogia e dalla ex Jugoslavia. I criminali di guerra possono essere processati in altre giurisdizioni nazionali e l’IIIM sta già preparando casi contro sospetti di crimini di guerra dal conflitto siriano, in Francia e Svezia.

Andrew Gilmour, segretario generale per i diritti umani delle Nazioni Unite, segue da vicino la situazione siriana dal 2012. Il governo siriano non ha autorizzato l’ingresso nel paese di una sola persona dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani dal 2014, spiega Gilmour. “Operiamo sulla premessa piuttosto infallibile che ogni governo che si rifiuta di lasciarci entrare abbia qualcosa di grande da nasconderci” conclude.

Per i siriani come Kassem Eid, scampato per un pelo all’attacco del 2013 a Ghouta, la negazione generale degli attacchi di Assad a Khan Shaykhun era lancinante. Controllando il suo account Twitter nei giorni che seguirono l’attacco, Eid rimase disgustato dalla rapidità con cui il campo pro-Assad riuscì a convincere la gente comune della sua versione. “Non so cosa sia più disgustoso, se commettere un genocidio, o negarlo e distorcere i fatti – spiega laconico – Come sopravvissuto ad un attacco con armi chimiche di Assad, mi sento devastato ogni volta che gasa altri civili. Ma mi sento ancora più affranto quando vedo la propaganda negarlo, o addirittura accusare le vittime di essersi gasati da sole “.

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