Scritto da Marika Sosnowski, tradotto da Milena Annunziata
Gli accordi di riconciliazione sono diventati uno strumento coercitivo per il regime siriano per riacquistare controllo sulle comunità ribelli.
Il termine riconciliazione implica una sorta di accordo amichevole tra parti precedentemente in conflitto. Il termine ha le sua radici nei meccanismi di applicazione della giustizia transitoria usati in Sud Africa. Tuttavia, nel contesto della guerra civile siriana, gli accordi di riconciliazione non hanno un ruolo così dignitoso.
Piuttosto che offrire una qualche possibilità di riconciliazione nel senso tradizionale del termine, questi accordi sono uno strumento coercitivo usato dal regime per riacquistare il controllo sulle comunità ribelli. Più spesso, il regime raggiunge questo obiettivo assediando un determinato territorio e rendendo impossibile ai civili l’accesso ai viveri e ai rifornimenti umanitari tramite un costante bombardamento aereo.
Queste pesanti condizioni spingono la comunità all’interno dell’area assediata a fare pressione sui leader locali affinché venga raggiunto un accordo che allevi le sofferenze della popolazione. Questo accordo in genere prevede l’evacuazione di alcuni settori della popolazione e il reintegro del controllo governativo sull’area.
Per la maggior parte della popolazione nelle aree riconciliate, questo genere di accordi rappresenta un’imposizione o una resa, piuttosto che una forma di riconciliazione.
Guadagnare tempo
L’evacuazione della popolazione della comunità nella zona di Daraya, sotto il controllo dei ribelli, ad agosto del 2016 ha costituito un punto di svolta nell’uso degli accordi di riconciliazione da parte del regime siriano come strategia per ricatturare i territori amministrati dalle forze di opposizione. Prima dell’accordo di Daraya, delle tregue e dei cessate il fuoco localizzati erano stati raggiunti da varie comunità dislocate in Siria.
La pratica delle tregue locali era iniziata a Berzeh, area a nord di Damasco, seguita poco dopo da un cessate il fuoco sponsorizzato dall’Onu nella città vecchia di Homs a febbraio del 2014. L’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura aveva plaudito all’iniziativa, nella speranza che più tregue locali potessero far guadagnare tempo in attesa di giungere a una sorta di soluzione diplomatica.
Tra le tregue locali e gli accordi di riconciliazione si può segnare una linea di demarcazione strategica. Anche se il regime non ha avuto fin dall’inizio un progetto definito riguardo lo sviluppo che i cessate il fuoco locali e gli accordi di riconciliazione avrebbero avuto in seguito, ha sfruttato entrambi nell’ottica di una strategia militare usata per ricondurre le aree ribelli all’obbedienza, alla firma della tregua o in un momento successivo. L’esito principale di entrambi è stato quello di riportare la popolazione e il territorio sotto il controllo governativo.
La natura provvisoria delle tregue e dei cessate il fuoco locali non nasconde il fatto che si sia trattato di soluzioni temporanee prima che il regime fosse di nuovo in una posizione tale da imporre di nuovo il suo controllo sulla comunità. La capacità del regime di trasformare precedenti tregue locali in accordi di riconciliazione è aumentata dopo il coinvolgimento della Russia nella guerra civile, a partire da settembre del 2015.
Sfruttando il supporto di terra e aereo russo, il regime siriano ha migliorato la sua capacità di imporre assedi sempre più duri, ponendo le basi per imporre accordi di riconciliazione in ogni angolo del paese al posto di cessate il fuoco locali.
Gli accordi sono stati raggiunti grazie alla forza militare nella maggior parte dei casi, ma anche attraverso una forte pressione esercitata sulle comunità, come accaduto nelle comunità di Soughaya a Zabadani e di Mahjeh a Daraa. In questi accordi raggiunti tramite l’inganno e il ricatto sociale, il regime ha inviato messaggi WhatsApp ai residenti, invitandoli a spingere i leader locali verso un accordo in cambio dell’esenzione per un anno dalla leva militare.
In entrambi i casi, circa il 30% della popolazione assediata riceveva ancora salari pubblici, e il regime ha garantito che, alla conclusione del servizio militare (che si sarebbe svolto nelle forze di retrovia e non sul fronte) gli impiegati avrebbero continuato a riceve il salario statale in aggiunta alla paga militare. In più, sebbene si siano registrati alcuni arresti, la maggior parte della popolazione è rimasta nelle proprie case invece di essere sfollata.
Assedi sempre più duri
Dall’altro lato, gli accordi ottenuti con la forza militare sono stati raggiunti sottoponendo le aree a periodi che variano da una settimana (a Jobar, per esempio) fino a quattro mesi (a Daraya) di assedi durissimi, accompagnati da bombardamenti costanti, fino al punto in cui anche le comunità una volta tenacemente opposte al regime hanno implorato una qualsiasi offerta di pace.
I testi degli accordi di riconciliazione pretendono di avere un’aurea di presunta legalità che però lascia intendere lo stato di sussidiarietà di una delle due parti. Anche se molte comunità hanno preteso che il tema del rilascio dei detenuti fosse incluso nell’accordo, il loro scarso potere contrattuale ha fatto sì che i rilasci effettivi siano stati pochissimi, se non nulli.
Dopo giorni, se non settimane o mesi di bombardamenti, per restare all’interno di un quadro di rispetto del diritto internazionale iper quanto riguarda la deportazione forzata, il regime ha incluso negli accordi l’opportunità per i residenti di scegliere se restare o essere deportati o evacuati. Molti vengono avvertiti dal governo siriano di essere iscritti in una qualche lista, cosa che garantisce l’arresto e tutto ciò che questo comporta in Siria se dovessero decidere di restare.
In pratica, questo significa che tutti coloro che non possono dirsi conciliabili, come i soldati o le loro famiglie, i leader politici come i membri dei concili locali, e gli attivisti scelgono di essere deportati, di solito a Idlib.
Allo stesso tempo, uomini, donne e bambini che scelgono di restare devono “riconciliarsi” con lo stato. Ciò significa affrontare una trafila di controlli, la coscrizione militare se applicabile, la firma di una confessione in cui si ammette di aver sostenuto la ribellione, cosa che garantisce al regime un potere su di loro fino alla fine della loro esistenza.
In più, coloro che sono rimasti in aree riconciliate come Moadamiya, al-Tall, Qaboun e Wadi Barada devono passare per i vari posti di blocco, cosa che rende semplice al governo stanare quelli che non si sono ancora riconciliati.
Garantire l’obbedienza
Per aggiungere la beffa al danno, per molte comunità non ci sono stati miglioramenti tangibili nelle condizioni di vita dopo la riconciliazione. L’accesso alle organizzazioni umanitarie e di supporto resta un ostacolo quasi insormontabile.
Allo stesso modo, il regime siriano adatta la fornitura dei servizi al numero di residenti per tenere la popolazione in condizioni di disperata dipendenza – dipendenza da Damasco per alcuni servizi, come il servizio sanitario, ma disperata perché Damasco non fornisce il servizio con costanza, come promemoria della sudditanza dei residenti.
I residenti di Daraya, sono stati evacuati verso un campo per sfollati interni a Harjala, a sud di Damasco, perché convinti di poter tornare a Daraya prima o poi, ma finendo per avere uno scarso se non nullo accesso all’assistenza sanitaria e al soccorso umanitario e essendo impossibilitati ad andarsene per paura di passare i posti di blocco.
I residenti che hanno lasciato la città vecchia di Homs quattro anni fa sono teoricamente autorizzati a tornare; in pratica, devono passare attraverso un considerevole numero di controlli di sicurezza, un processo che la maggior parte dei residenti teme di affrontare.
Alla luce della natura coercitiva degli accordi di riconciliazione, è necessario che l’attenzione globale si concentri presto sul milione e mezzo di persone bloccate a Idlib, dove in decine di migliaia sono stati trasferiti dopo gli accordi di riconciliazione.
A gennaio, il governo ha utilizzato la copertura delle zone di de-escalation militare per riprendere il controllo delle infrastrutture ferroviarie che collegano Damasco e Aleppo con Idlib.
Dopo l’inevitabile pacificazione della Ghouta, è logico che nel dichiarato tentativo di riconquistare l’intero paese, il presidente Bashar al-Assad rivolgerà la sua attenzione a quest’ultimo baluardo ribelle. Se non vi è alcuna via di fuga e nessun altro posto dove essere evacuati, tutte queste persone saranno costrette ad arrendersi al regime contro la loro volontà – o moriranno.
Come ha detto un dirigente di un’organizzazione transfrontaliera che ho intervistato: “Gli attacchi sono sempre più intensi dopo un cessate il fuoco. Se c’è un cessate il fuoco, la gente sa che l’inferno sta arrivando”.
Nella prima foto: Soldati siriani (pro-governo) bruciano una bandiera di Faylaq al-Rahman durante una ricerca di stoccaggi di armi nel villaggio di Hazzeh nella Ghouta orientale il 27 marzo 2018 (AFP)