Siria e la museruola che porta la stampa turca

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Nessun giornalista in Turchia osa fare resoconti con precisione riguardo la guerra in Siria

Scritto per “Istanbul Desk of the Economist” tradotto da Rina Coppola

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Con oltre 100 giornalisti in prigione, è prudente non farlo

Il mese scorso, all’inizio della sua offensiva contro i ribelli curdi, nella provincia di Afrin in Siria, il primo ministro turco, Binali Yildirim, ha tenuto una riunione mattutina con più di una dozzina di direttori delle principali agenzie di stampa del Paese. Secondo i resoconti della riunione, ai giornalisti sono state fornite linee guida su come riferire riguardo la guerra in corso. Ai giornalisti è stato chiesto di “tenere a mente gli interessi nazionali della Turchia”, ha ricordato un partecipante. Le notizie pubblicate sui media stranieri dovevano essere trattate con cautela poiché era probabile che fornissero una piattaforma per la “propaganda terroristica”. I lettori dovevano ricordare che l’esercito avrebbe avuto la massima cura per evitare vittime civili. Il resoconto doveva evidenziare che le truppe turche avrebbero combattuto uomini armati dello Stato islamico (IS) oltre a quelli curdi, anche se IS non è presente ad Afrin.

APTOPIX Cyprus Kurds

Con poche eccezioni, i media turchi hanno seguito le raccomandazioni del governo alla lettera. I canali principali hanno gareggiato per essere i primi a riferire sul numero di villaggi catturati e sul numero di Unità di protezione del popolo curdo (YPG) uccisi dalle truppe turche. (Il governo detesta YPG a causa del sostegno ai separatisti curdi all’interno della Turchia). Le notizie non erano altro che una miscela di punti di discussione governativi e di comunicati militari. Quando il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, minacciò di dare alle truppe americane coinvolte con i curdi in Siria “uno schiaffo ottomano”, non meno di 16 giornali pubblicarono le sue parole sulle loro prime pagine il giorno seguente. L’esercito turco dichiara di aver “neutralizzato” oltre 2000 combattenti YPG in Afrin senza uccidere un solo civile. Non un singolo media mainstream ha messo in dubbio le cifre.

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La Turchia è il più grande carceriere al mondo di giornalisti, con oltre 100 attualmente dietro le sbarre. Il Presidente Erdogan sembra determinato a continuare così. Il 16 febbraio un tribunale ha condannato sei operatori dei media, tra cui uno scrittore di spicco, in ergastolo senza libertà condizionale per accuse inventate riguardo il coinvolgimento nel fallito colpo di stato nel 2016. Lo stesso giorno la Turchia ha rilasciato Deniz Yucel, corrispondente per un giornale tedesco, dalla detenzione preventiva. Ampiamente considerato un contraccolpo nelle turbolenti relazioni della Turchia con la Germania, il signor Yucel era stato recluso per oltre un anno senza nemmeno un’accusa.

Quello che ottiene il governo della Turchia, il servizio d’informazione che vuole, è un sistema più ricco di incentivi e sanzioni. Alcuni assumono compari del governo. I critici esperti sono banditi dai principali canali di notizie. Ai reporter licenziati sotto la pressione del governo viene negata la possibilità di trovare lavoro. Altri sono trascinati nei tribunali. Alcuni testano ancora i confini, ma la maggior parte è rassegnata a vivere dentro di loro. “Non c’è più bisogno di censura”, dispera un giornalista. “I giornalisti comprendono cosa li attende”.

Il clima di paura, lo stato di emergenza in corso e l’eccessivo zelo nazionalista scatenato dal colpo di stato, hanno reso impossibile un resoconto obiettivo della guerra ad Afrin. “I giornalisti non sono in grado di riferire criticamente senza essere accusati di tradimento”, afferma Erol Onderoglu, rappresentante turco di Reporters Without Borders. Internet non è più uno spazio sicuro per il dissenso. Nel mese scorso oltre 800 persone sono state arrestate per aver protestato,sui social media,contro la guerra. I giornali che citano l’Osservatorio siriano per i diritti umani (SOHR) quando riferiscono di atrocità commesse dalle forze del regime siriano a Ghouta o Idlib ignorano i resoconti dei gruppi da Afrin. Il SOHR stima che almeno 112 civili sul lato siriano del confine siano morti durante i combattimenti, oltre a sette civili turchi uccisi da razzi lanciati dalle roccaforti dell’YPG. “Tutte le notizie di vittime civili sono considerate false o come propaganda terrorista”, dice Kadri Gursel, una giornalista veterana. “C’è un blackout.” 

 

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