
Pubblicato da Middle East Eye*, tradotto da Caterina Coppola
La più grande battaglia che i siriani hanno a lungo combattuto e che continueranno a combattere contro la macchina di Assad, non si concluderà attraverso i colloqui di pace che legittimano la versione di liberazione del regime.
All’inizio di questo mese, durante un aggiornamento della Task Force umanitaria delle Nazioni Unite, l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Siria, Staffan De Mistura ha solennemente proclamato che “un momento di verità” stava giungendo nella guerra siriana.
Con l’avanzamento a Deir Ezzor e l’imminente sconfitta dello Stato Islamico (ISIS) a Raqqa, De Mistura ha suggerito che era sempre più probabile che, per molti degli attori internazionali coinvolti nel conflitto per combattere l’ISIS, il lavoro stesse per giungere al termine.
Oppure, per usare il linguaggio di Donald Trump, “la distruzione di IS era completa”, e per De Mistura e le Nazioni Unite ciò significava la trasformazione di alcune aree chiave in “zone liberate”.
Entrambi i governi occidentali e arabi hanno equiparato la vittoria contro i gruppi islamisti con questa nozione di liberazione, come se questi gruppi costituissero l’unica minaccia per le nozioni progressive di giustizia e sicurezza.
“Deir Ezzor è quasi liberata. Infatti, lo è per quanto ci riguarda.” ha dichiarato De Mistura durante la conferenza stampa del 6 Settembre. “La prossima sarà Raqqa, è questione di giorni o settimane.”
Vale la pena considerare l’uso del termine “zona liberata” nel contesto mediorientale del ventunesimo secolo e come viene utilizzato con parsimonia e soprattutto per quanto riguarda l’attività anti-islamista.
Nel luglio del 2017, dopo che l’esercito aveva combattuto contro numerose milizie tra cui l’ensar al-Sharia affiliata ad al-Qaeda, il generale Khalifa Haftar libico, un maresciallo di campo sotto Muammar Gheddafi, ha annunciato la liberazione di Bengasi da “il terrorismo, una piena liberazione e una vittoria di dignità“.
Un po’ paradossalmente, anche la coalizione guidata dall’Arabia Saudita che combatte in Yemen, che ha ucciso centinaia di civili in raid aerei e ha creato la peggior epidemia di colera nel mondo, ha etichettato i propri guadagni territoriali contro Al-Qaeda nelle province meridionali, come “aree liberate“.
Ignorando l’attivismo locale
Non sto affermando che la rimozione di gruppi militanti islamici dalla regione non sia una priorità. Ma interrogo l’uso del termine “liberato” per aree come Deir Ezzor e Raqqa, quando esaminiamo altre città siriane in cui i cittadini operano con mezzi di comunicazione indipendenti che documentano le attività del regime e dei gruppi di opposizione.
Oppure, come ad Idlib all’inizio di quest’anno, quando sono state istituite elezioni del consiglio locale al di fuori della competenza sia del regime sia degli elementi militanti islamici.
Sia i governi occidentali che arabi hanno visto la stessa vittoria contro i gruppi islamici con questa nozione di liberazione, come se questi gruppi rappresentassero l’unica minaccia per le nozioni progressive di giustizia e sicurezza e che si affacciano sui regimi autoritari alle fondamenta di queste società. Queste narrazioni servono a de-legittimare le pratiche a lungo termine e liberatorie dei cittadini nelle loro aree locali.

Questa denominazione della “zona liberata” viene spesso utilizzata in relazione alle aree controllate da IS in Siria e Iraq (vedi la più recente liberazione di Mosul).
Ma in tutta la storia del conflitto siriano in particolare, la “liberazione” è stata raramente utilizzata dagli attori internazionali per descrivere lo stato di cose nelle aree in cui i cittadini sono riusciti a governarsi, come ad esempio a Zabadani.
A partire da metà del 2012 e anche quando la città fu assediata, i residenti di questo quartiere di Damasco hanno condotto il proprio comune autonomo e indipendente, governato da elezioni democratiche per un certo periodo di tempo. All’inizio di quest’anno dopo anni di assedio, gli altri residenti rimasti sono stati trasferiti a Idlib come parte di un accordo tra ribelli e regime. Ma la loro amministrazione locale in quegli anni non dovrebbe essere dimenticata.
Una scusa per l’esproprio
Ci lamentiamo che la comunità internazionale sia tutte parole e nessuna azione, ma il loro uso del linguaggio è ancora importante e pone un tono per come la diplomazia procede. Troppo spesso, quel linguaggio semplicemente rispecchia il punto di vista del “Jihadisti contro il mondo” del regime, piuttosto che riconoscere l’attivismo politico del popolo siriano, grande e piccolo, fin dall’inizio della rivolta.
Sì, queste aree democraticamente governate potrebbero aver negoziato con le forze dell’opposizione, compresi gli islamisti militanti e anche con le forze del regime, specialmente quando si tratta di garantire cibo e risorse per il loro popolo. Ma il punto fondamentale è che essi si governavano al di fuori sia della repressione autoritaria sia da quella islamista.
Quindi, quando stiamo parlando di zone liberate in Siria, cosa intendiamo effettivamente? Una temporanea, falsa liberazione che permette alle precedenti strutture socio-politiche siriane di intimidazione e coercizione di prevalere?
La definizione delle aree geografiche di liberazione nella guerra civile siriana è sempre stata soggettiva, ma per l’influenza del regime siriano e dei suoi alleati internazionali, gran parte della reale opposizione politica del paese è stata rappresentata come un gruppo omogeneo di potenziali terroristi.

Questa securitizzazione dell’opposizione ha colpito l’ambiente costruito del Paese. Nel 2012 il presidente siriano Bashar al-Assad ha firmato il Decreto 66 per la riqualificazione di “alloggi non autorizzati e insediamenti informali”.
La legge ha consentito l’avanzare degli opere urbanistiche come Basateen al-Razi a Damasco, malgrado il fatto che molti credono, come ha riferito il giornalista Tom Rollins, che i progetti sono capace di espellere forzatamente coloro che si oppongono al regime e modificano il cambiamento demografico.
Quindi, quando parliamo di zone liberate in Siria, cosa intendiamo effettivamente? Una temporanea ,falsa liberazione che permette alle precedenti strutture socio-politiche siriane di intimidazione e coercizione a prevalere?
“Quando al-Assad ha annunciato il Decreto 66, il suo ministro dell’amministrazione locale, Omar Ibrahim al-Ghalawanji, lo ha salutato come un “primo passo nella ricostruzione delle aree illegali di alloggi, in particolare quelli mirati da gruppi terroristici armati”, scrive Rollins.
“Il materiale promozionale dei media di Stato per lo sviluppo di Basateen al-Razi fa un argomento simile. Con i “terroristi” espulsi, dice, il serio lavoro di ricostruzione della Siria può cominciare”.
I progetti di ricostruzione sono stati lanciati nel quartiere di Homs di Baba Amr, una volta una roccaforte ribelle e Rollins riferisce che gli osservatori si aspettano che Aleppo orientale sia il prossimo.
Cadendo nello stesso stampo
L’uso del regime di polarizzazione e di securitizzazione del linguaggio non è sorprendente, considerando che desiderano rimanere al potere. Ma ora vediamo una comunità internazionale rassegnata che non riesce a trovare soluzioni per una Siria post conflitto che non si muova intorno al regime di Assad.
I colloqui di pace di Astana sono un esempio lampante. In questi negoziati in corso, il concetto di “de-escalation” è stato centrale, ma di nuovo, quali sono le conseguenze della de-escalation – e cosa significa effettivamente il termine?
Quello che sembra stia dicendo ora la comunità internazionale è che l’ordine del giorno per sconfiggere l’estremismo islamico nella regione stia per finire, la guerra sta per finire e ogni progresso militare del regime siriano e dei suoi alleati deve essere messo da parte per i processi di non violenza e di pace. Questi, naturalmente, tendono a fallire in modo clamoroso in Medio Oriente. Basti vedere il “processo di pace” israelo-palestinese per capire.
“Sull’opposizione, il messaggio è molto chiaro: se stessero pensando di vincere la guerra, i fatti stanno dimostrando che non è il caso. Ora è il momento di vincere la pace negoziando e facendo concessioni da entrambe le parti”, ha spiegato De Mistura.
È come se la guerra e la pace non si intrecciassero, come se il regime siriano – aiutando l’ascesa di Al-Qaeda in Iraq e rilasciando prigionieri militanti presto nella guerra – non avesse contribuito alla perpetuazione dell’estremismo islamico nella regione che si è poi trasformato in ISIS. Ma la guerra e la pace, il regime siriano e l’ISIS non esistono in sfere separate, non sono reciprocamente esclusivi.
La guerra più grande che i siriani hanno combattuto e continuerà a combattere contro la macchina del regime di Assad non finirà con i colloqui di pace che continuano a legittimare la posizione del regime nel Paese per ottenere la liberazione part-time. I commenti di De Mistura cadono semplicemente nella stessa retorica che ripete l’annuncio nauseante che occorrono processi politici tra il regime e “l’opposizione”.
Dopo sette anni di guerra e molti anni prima di quando il regime e la società civile siriana hanno tenuto trattative poco profonde nell’ambito della primavera di Damasco, quali sono le possibilità che sia la pace a vincere?
Vera liberazione
Il prossimo turno di colloqui di pace di Astana, previsto per ottobre, sarà interlocato da Iran, Russia e Turchia, ma nonostante la loro profonda conoscenza del conflitto, sono interlocutori esplicitamente parziali. I colloqui hanno visto che i gruppi di opposizione hanno dovuto abbandonare a causa della mancanza di fede nell’attuazione pratica delle decisioni, se ci si deve affidare al regime siriano e ai suoi alleati.
I riferimenti impropri a “zone liberate” isolate dal contesto politico più profondo non affrontano la radice della repressione nel paese e la ragione per cui la liberazione rimarrà relegata in zone, e non l’intero Paese stesso.
De Mistura, l’ONU e la comunità internazionale nel suo complesso devono essere coerenti con la loro narrazione per una risoluzione pacifica del dopoguerra in Siria, che riconosce l’ostacolo fondamentale per una pace duratura: il regime e l’incapacità della comunità internazionale di constatare se Assad rispetti le risoluzioni non violente – concordate dal regime e dall’opposizione – per l’obiettivo a lungo termine della giustizia e della pace in Siria.
“Il materiale promozionale dei media di Stato per lo sviluppo di Basateen al-Razi espone una discussione simile. Con i “terroristi” non più presenti, dice, il serio lavoro di ricostruzione della Siria può cominciare “.
I progetti di ricostruzione sono stati lanciati nel quartiere di Homs di Baba Amr, una volta una roccaforte ribelle e Rollins riferisce che gli osservatori si aspettano che l’Aleppo orientale sia il prossimo.
* L’identità dell’autore/autrice è stato tenuto anonima per proteggere la sua sicurezza.
Originale: http://www.middleeasteye.net/columns/what-we-really-mean-when-we-say-liberated-syria-2044211248