Lezioni storiche della rivoluzione siriana

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Articolo pubblicato da Joseph Daher il 15 aprile 2020 su Spectre Journal

(Traduzione a cura di Giovanna De Luca)

UN BILANCIO CRITICO

Oltre 9 anni sono passati dall’inizio della rivolta siriana, la situazione è più che catastrofica per le classi popolari del paese. C’è una profonda crisi umanitaria con 11,7 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria, e oltre 5,6 milioni di siriani che vivono come rifugiati in tutto il Medio Oriente. I tassi di povertà superano l’80%, mentre il costo della ricostruzione è stato stimato in circa 400 miliardi di dollari.

La recente comparsa del Covid-19 ha ulteriormente complicato la difficile situazione socioeconomica della stragrande maggioranza dei siriani. Il regime di Assad ha distrutto innumerevoli ospedali, lasciando un sistema sanitario fatiscente e sottofinanziato privo di medicine e forniture mediche a causa delle sanzioni internazionali, proprio nel momento stesso in cui il virus è pronto a irrompere tra la popolazione.

Assad ora governa oltre il 70 percento del territorio siriano. Aiutato dalla Russia, dall’Iran e dagli Hezbollah del Libano, respinse la rivolta iniziale e vinse in gran parte ciò che era diventata una guerra regionale e internazionale.

È tempo di valutare le lezioni dell’insurrezione siriana, che inizialmente chiedeva democrazia, giustizia sociale e uguaglianza e si opponeva al razzismo e al settarismo. Perché ha perso? Alcune spiegazioni e lezioni provvisorie possono ora essere presentate, sebbene debbano essere viste come spunti da sviluppare nel dibattito e nel dialogo con tutti coloro che sono interessati all’emancipazione e alla liberazione delle classi popolari e dei popoli oppressi.

 

IL PROCESSO RIVOLUZIONARIO

Dobbiamo iniziare comprendendo le radici della rivolta in Siria, Medio Oriente e Nord Africa (MENA). La regione si trovava all’inizio di un processo rivoluzionario a lungo termine radicato nel fallimento dell’economia politica nel soddisfare le aspirazioni delle sue classi lavoratrici e dei popoli oppressi.

Gli stati della regione sono gestiti da oligarchie clandestine e dittature militari che sovrintendono un’economia di rendita prevalentemente basata su combustibili fossili e altre risorse. Negli stati basati su rendite patrimoniali, il potere è concentrato nelle mani di una famiglia e nella sua cricca come avviene per gli Assad in Siria. Le famiglie al potere considerano lo stato come proprietà privata e hanno usato tutto il loro potere repressivo per proteggere il proprio dominio.

Altri stati come l’Egitto, l’Algeria e il Sudan sono neo-patrimoniali. In questi paesi, era l’establishment militare, piuttosto che una sola famiglia, a detenere il potere. Ciò ha permesso ai militari, di fronte a proteste di massa come quelle che hanno avuto luogo in Egitto, di sostituire un dittatore con un altro e salvaguardare la struttura del regime e il proprio potere.

La differenza nella natura di questi regimi è stata un aspetto chiave nello spiegare i diversi percorsi delle rivolte popolari nella regione. I regimi patrimoniali erano meno flessibili e dovevano passare alla repressione totale come in Siria, mentre i neo-patrimoniali erano in grado di sbarazzarsi dei sovrani disprezzati preservando l’ordine esistente.

Questi regimi e il loro ruolo nell’economia mondiale hanno distorto lo sviluppo della regione, concentrandosi eccessivamente sull’estrazione di petrolio e gas naturale, ed alimentando varie forme di investimenti speculativi nel campo immobiliare, lasciando indietro i settori produttivi sottosviluppati, e quelli in via di sviluppo. Per le classi popolari, tagliate fuori, ciò ha prodotto la migrazione di manodopera qualificata fuori dalla regione e alti tassi di disoccupazione e sottoccupazione soprattutto tra i giovani.

L’economia politica della regione ha quindi creato una situazione pre-rivoluzionaria. L’assenza di democrazia e il crescente impoverimento delle masse, in un clima di corruzione e crescenti disuguaglianze sociali, hanno preparato il terreno per l’insurrezione popolare, che non aveva bisogno di altro che di una scintilla.

Ciò è stato fornito dalle ribellioni in Tunisia ed Egitto. Hanno ispirato le persone di altri paesi a sollevarsi. In Siria, gran parte della popolazione è scesa in piazza con le stesse richieste sollevate da altre rivolte: libertà, dignità, democrazia, giustizia sociale ed uguaglianza.

Come spesso accade nella rivolta popolare, i siriani hanno creato istituzioni alternative allo stato esistente. I manifestanti hanno istituito comitati di coordinamento e consigli locali, fornendo servizi alla popolazione locale e coordinando il movimento. Nei territori liberati, i rivoluzionari hanno creato una situazione vicina al doppio potere sfidando il potere del regime.

Naturalmente, non dobbiamo esagerare con questo; il sistema alternativo di autogoverno democratico non si è mai completamente sviluppato e vi sono stati problemi, in particolare la sottorappresentanza delle donne e delle minoranze etniche e religiose. Ciononostante, i comitati e i consigli hanno costruito con successo un’alternativa politica che poteva attrarre grandi fasce della popolazione.

 

FORZE CONTRORIVOLUZIONARIE

Questi organi democratici sono stati progressivamente indeboliti da diverse forze controrivoluzionarie. Il primo ovviamente è stato il regime dispotico di Assad, che mirava a reprimere la rivolta militarmente.

Questo regime rimane la minaccia più importante per le classi popolari siriane. La resilienza del regime aveva le sue radici nella mobilitazione della sua base popolare attraverso connessioni settarie, tribali, regionali e di clientela, nonché nel massiccio sostegno straniero di Russia, Iran e Hezbollah.

La seconda forza controrivoluzionaria è stato il fondamentalismo islamico e le organizzazioni militari jihadiste. Non avevano le stesse capacità distruttive dell’apparato statale di Assad, ma si sono opposte radicalmente alle richieste e agli obiettivi iniziali della rivolta, attaccando elementi democratici del movimento di protesta e cercando di imporre un nuovo sistema politico autoritario ed esclusivo.

Infine, le potenze regionali e gli stati internazionali imperialisti hanno agiti come terza forza della controrivoluzione. L’assistenza fornita dagli alleati di Damasco Russia, Iran ed Hezbollah, oltre alle milizie fondamentaliste sciite straniere sponsorizzate da Teheran, hanno fornito al regime aiuti cruciali a livello politico, economico e militare che gli hanno permesso di sopravvivere.

Queste forze regionali consideravano il movimento di protesta in Siria e la possibile caduta del regime di Assad come una minaccia ai loro interessi geopolitici. Man mano che aumentavano la loro influenza sulla società e sullo stato del paese, cresceva l’interesse di Teheran e Mosca per la sopravvivenza del regime e lo sfruttamento della ricostruzione del paese e delle sue risorse naturali.

Contro questi giocatori, i cosiddetti “Amici della Siria” (Arabia Saudita, Qatar e Turchia) hanno formato un’altra forza internazionale di controrivoluzione sostenendo la maggior parte dei gruppi fondamentalisti islamici reazionari, aiutando a trasformare l’insurrezione in una guerra settaria o etnica e opponendosi all’insurrezione democratica per paura che diventasse una potenziale minaccia ai propri regimi autocratici.

Anche gli stati occidentali, guidati dagli Stati Uniti, non volevano vedere alcun cambiamento radicale in Siria ed hanno perciò respinto qualsiasi piano per aiutare le forze armate progressiste a combattere per rovesciare Assad. La politica americana si è concentrata sulla stabilizzazione del regime e sull’attuazione della cosiddetta “Guerra al terrore” contro l’ISIS.

Per un pò gli Stati Uniti hanno chiesto ad Assad di dimettersi ed erano alla ricerca di un generale amico da poter controllare, ma una volta fuori dal tavolo, hanno abbandonato quella richiesta e hanno accettato, insieme al resto delle potenze regionali e internazionali , che continuasse a governare. Nonostante le divisioni tra i vari attori regionali e internazionali, erano tutti uniti nell’ opposizione alla rivolta e tutti miravano a prevenirne la diffusione oltre i confini del paese.

 

 

 

DEBOLEZZA SOGGETTIVA A SINISTRA

 

I vari attori controrivoluzionari hanno tutti contribuito a reprimere la rivolta siriana. Mentre non dovremmo evitare di incolpare queste forze della sconfitta della rivolta , dobbiamo anche esaminare e criticare gli errori e le carenze dell’opposizione siriana.

 

Uno dei problemi più importanti nell’opposizione era l’alleanza errata perseguita dai liberali e da alcuni di sinistra con i Fratelli musulmani e altri gruppi fondamentalisti islamici e i loro sostenitori internazionali, che si opponevano alle esigenze democratiche di base della rivolta, in particolare quelle delle donne, di religiosi oppressi, minoranze ed etnie. Questa errata alleanza ha contribuito a spezzare l’inclusività del movimento popolare iniziale in Siria. Queste carenze erano presenti prima della rivolta, ma apparivano più chiaramente con essa.

 

I vari gruppi di sinistra erano troppo deboli dopo decenni di repressione da parte del regime per costituire un polo organizzato democratico e progressivo indipendente. Di conseguenza, l’opposizione ad Assad non è riuscita a presentare una valida alternativa politica che potesse galvanizzare le classi popolari e i gruppi oppressi.

 

La mancata risposta alle domande si distingue in particolare su due questioni principali: donne e curdi. In entrambi i casi, ampi settori dell’opposizione siriana hanno riprodotto politiche discriminatorie ed esclusive nei confronti di questi gruppi, alienando forze chiave che sarebbero state cruciali per unirsi contro il regime.

 

Per vincere, l’opposizione avrebbe dovuto unire le lotte contro l’autocrazia, lo sfruttamento e l’oppressione. Se avesse sollevato richieste democratiche e nell’interesse di tutti i lavoratori e di quelli per l’autodeterminazione curda e la liberazione delle donne sarebbe stato in una posizione molto più forte per costruire una solidarietà molto più profonda e più ampia tra le forze sociali nella Rivoluzione Siriana .

 

Un’altra debolezza dell’opposizione è stato il debole sviluppo dell’organizzazione di classe di massa e dell’organizzazione politica progressista. Le rivolte in Tunisia e in Sudan dimostrano l’importanza di organizzazioni sindacali di massa come la UGTT tunisina e le Associazioni professionali sudanesi per poter poter portare avanti una lotta di massa di successo.

 

Allo stesso modo, le organizzazioni di massa femministe sono state particolarmente importanti in Tunisia e in Sudan per la promozione dei diritti delle donne e la conquista dei diritti democratici e socio-economici, anche se rimangono fragili e non completamente consolidate. I rivoluzionari siriani non disponevano di queste forze organizzate sul posto o allo stesso livello delle organizzazioni di massa, ciò indeboliva il movimento e sarà poi essenziale per costruire future lotte.

 

La sinistra deve partecipare alla costruzione e allo sviluppo di strutture politiche alternative così ampie.

 

L’ultima debolezza chiave che deve essere valutata e superata è la debolezza della sinistra regionale e delle sue reti di collaborazione. In questo momento, la sinistra deve unirsi per aiutare a creare un’alternativa ai vari attori controrivoluzionari all’interno dei loro paesi, nonché a livello regionale e internazionale.

 

Siamo nel mezzo di un processo rivoluzionario che si interseca nella regione e abbiamo bisogno di una sinistra che si basi su lezioni e ispirazioni di lotte in ogni paese. Una sconfitta in un paese è una sconfitta per tutti e la vittoria in un paese è una vittoria per gli altri in tutta la regione.

 

I regimi dispotici lo capiscono e anche noi dovremmo. Condividono le lezioni tra loro per difendere il loro ordine autoritario e neoliberista. Abbiamo bisogno di una maggiore collaborazione da parte nostra, specialmente tra le forze progressiste nella regione e a livello internazionale. Nessuna soluzione socialista può essere trovata in un paese o in una regione, in particolare una come il Medio Oriente e il Nord Africa, che è stata un campo di battaglia per le potenze regionali e imperialiste.

 

PER UNA SINISTRA INTERNAZIONALISTA

 

Questa collaborazione deve estendersi alla sinistra internazionale, anche nei poteri imperialisti. Troppa parte di quella sinistra ha tradito la Rivoluzione siriana, rifiutando di estendere la solidarietà alle forze popolari progressiste.

 

Ci sono molte ragioni per questo tradimento, ma forse il più importante è la ritirata della sinistra dal principio socialista di autoemancipazione, l’idea che solo le masse popolari possono liberarsi attraverso la propria lotta per la riforma e la rivoluzione. Invece di questa posizione, che avrebbe portato la sinistra a sostenere solidalmente la rivolta siriana, gran parte della sinistra in nome dell'”antimperialismo” si è schierata con il regime di Assad contro l’imperialismo USA.

 

Ancor peggio, si sono schierati con altre potenze imperiali e regionali apparentemente “mali minori” come la Russia e l’Iran che erano intervenuti per salvare Assad. Nel processo, hanno rivelato che il loro “anti-imperialismo” non era altro che retorica e che la loro pratica politica non era altro che schierarsi con uno stato capitalista o un gruppo di stati capitalisti contro gli altri, ignorando, tradendo o anche peggio diffamando la lotta delle masse per la propria liberazione.

 

Questa posizione ha influenzato anche i movimenti contro la guerra, specialmente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Per la maggior parte si sono rifiutati di estendere la solidarietà alla rivoluzione con il pretesto che “il nemico principale è in casa”. Sebbene sia vero, specialmente nel caso dello stato americano, che rimane il più grande oppositore del progressivo cambiamento sociale nel mondo, ciò non significa che i movimenti contro la guerra contrari ai propri stati dovrebbero essere agnostici rispetto ad altri imperialismi internazionali e regionali o rivoluzioni popolari.

 

Al contrario, avrebbero dovuto opporsi agli Stati Uniti e al Regno Unito, opporsi ad altri imperialismi minori e prolungare la solidarietà con la rivolta siriana. Questo è l’unico modo per la sinistra di costruire un autentico internazionalismo che si oppone a tutti gli imperialismi, collega le lotte popolari per la rivoluzione e la liberazione nazionale e costruisce una lotta globale dal basso per il socialismo.

 

Siamo in un ambiente opportuno per promuovere tale internazionalismo. Nel corso dell’ultimo anno, abbiamo assistito a un’altra ondata di rivolte popolari che ha sfidato il neoliberismo e l’autoritarismo in gran parte del mondo, e sebbene la pandemia e la recessione globale possano temporaneamente arrestarla, esso approfondirà l’interrogatorio del sistema nei prossimi anni e suscitare rivolte ancora più radicali. Dobbiamo forgiare una nuova sinistra internazionalmente dedicata a guidarli alla vittoria.

 

IL PROCESSO RIVOLUZIONARIO

 

La Siria e il MENA non saranno esenti da queste dinamiche. Una nuova tempesta si sta preparando anche in quei paesi che, come la Siria, hanno subito controrivoluzioni catastrofiche.

 

Ecco perché bisogna avere la prospettiva che processi rivoluzionari come quello nella regione MENA siano un’epoca che può attraversare fasi di rivoluzione e sconfitta seguite da nuove rivolte rivoluzionarie. In Siria, le condizioni che hanno portato alle rivolte sono ancora tutte presenti e il regime non solo non è stato in grado di affrontarle, ma le ha effettivamente esacerbate.

Damasco e le altre capitali regionali credono di poter mantenere le loro regole dispotiche attraverso l’uso continuo di violenze di massa contro le loro popolazioni. Questo è destinato a fallire e dovrebbero essere previste nuove esplosioni di proteste popolari proprio come quelle che sono scoppiate di recente in Sudan, Algeria, Iraq e Libano.

 

Nonostante tutto il sostegno dei suoi alleati stranieri, il regime di Assad deve affrontare problemi difficili. La sua incapacità di risolvere le profonde questioni socioeconomiche del paese, unita alla repressione incessante, ha provocato critiche e alcune nuove proteste.

 

A metà gennaio 2020, diverse manifestazioni hanno avuto luogo nella provincia di Sweida per contrastare l’incapacità del regime siriano di porre rimedio alla povertà e alla disoccupazione. Più recentemente, le proteste contro il regime si sono moltiplicate nella provincia di Daraa e nelle aree rurali intorno a Damasco.

 

Tuttavia, queste condizioni non si traducono automaticamente in opportunità politiche, in particolare dopo oltre nove anni di guerra distruttiva e omicida. L’assenza di un’opposizione politica siriana strutturata, indipendente, democratica e inclusiva, che potrebbe fare appello alle classi più povere, ha reso difficile per vari settori della popolazione unire e sfidare il regime di nuovo e su scala nazionale.

 

Questa è la sfida principale. Sebbene in difficili condizioni di repressione, povertà e dislocazione sociale, un’alternativa politica progressiva deve essere organizzata nell’espressione locale della resistenza. E deve assorbire alcune delle lezioni che ho cercato di delineare e che sinispirani alle nuove rivolte nella regione.

 

La sinistra internazionale, quando la Rivoluzione siriana risorge, deve dichiarare l’errore che molti hanno commesso in risposta alla sua prima agitazione – schierandosi con il regime o le forze regionali e internazionali della controrivoluzione. Invece, la bussola politica dei rivoluzionari dovrebbe essere guidata dal principio di solidarietà con le lotte popolari e progressiste dal basso.

 

Come disse Che Guevara, “Se tremi di indignazione per ogni ingiustizia, allora sei uno dei miei compagni”. I nostri destini sono collegati.

 

 

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