
Un Comitato “particolare” composto di persone con un debole (o stretti legami) con il regime siriano o con RT, l’organo di Stato della Russia in lingua inglese, e l’audizione di una gola profonda anonima, possibilmente con recriminazioni del tutto personali contro l’OPCW, sono alcuni degli ingredienti di una nuova “riesame” dell’attacco chimico a Douma che ha tutto il sapore di una campagna mediatica a sostegno del regime, e non una ricerca della verità. Il primo di una serie di reportage in lingua italiana su questo spinoso argomento.
Scritto da Brian Whitaker, Tradotto da Francesca Scalinci
Una gola profonda anonima recentemente emersa all’interno dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha parlato di “grandi litigi interni” riguardanti una delle proprie inchieste sulla Siria.
L’informatore, conosciuto solo come “Alex”, dice di essere un membro della squadra che l’anno scorso ha svolto indagini su un presunto attacco chimico su Douma. Aveva il compito di raccogliere campioni destinati alle analisi di laboratorio. Afferma di essere in possesso di email, messaggi di testo e bozze di rapporti poi “occultati” che mostrano un “comportamento irregolare” durante le indagini da parte del comitato di vigilanza.
Il regime di Assad nega di aver usato armi chimiche a Douma o in altri luoghi e, nel negare, è supportato dal suo alleato principale, la Russia, oltreché dai sostenitori del regime stesso sui social media. La loro tesi di base è che i numerosi presunti attacchi chimici in Siria non hanno mai avuto luogo, cioè che i rapporti che ne parlano sono falsati o che gli attacchi stessi sono stati solo delle “messe in scena” dai ribelli nel tentativo di ingiustamente incriminare il regime.
Gli eventi di Douma si sono dimostrati particolarmente controversi dal momento che i poteri occidentali hanno immediatamente incolpato il regime di Assad, lanciando attacchi aerei punitivi senza attendere indagini ufficiali. Da allora, la FFM (Fact-Finding Mission) della OPCW ha pubblicato due rapporti su Douma, uno in fase intermedia di indagine nel luglio del 2018 e uno finale lo scorso marzo ma, tra coloro che credono nell’innocenza del regime, questi sono visti come un tentativo, in retrospettiva, di giustificare i successivi attacchi aerei.
Le vere conclusioni del FFM, tuttavia, ci sono andate caute con le parole e sono apparse meno propense ad assecondare le ragioni addotte dai governi occidentali. Il rapporto finale ha trovato “motivazioni ragionevoli” per credere che una sostanza chimica tossica sia stata utilizzata come arma e che si sia trattato “probabilmente” di cloro molecolare. Era anche “possibile” che la sostanza si era uscita da due cilindri di colore giallo che furono trovati sul sito.
Il rapporto non faceva affermazioni sui possibili responsabili, dal momento che il mandato del FFM lo proibisce. Ciononostante, emergeva implicitamente – non veniva quindi affermato esplicitamente – che i cilindri fossero stati lanciati dall’alto. Se ciò fosse vero, si indicherebbe come responsabile il regime, dal momento che i combattenti ribelli non erano in possesso di mezzi di aviazione.
Emerge la gola profonda
Lo scorso mese, a Bruxelles, Alex ha presentato le proprie accuse a un comitato nominata dalla Courage Foundation, che sostiene varie informatori, tra cui il fondatore di Wikileaks, Julian Assange. Dopo aver deliberato in una “sessione esecutiva a porte chiuse“, il comitato ha poi pubblicato una dichiarazione di tre pagine in cui si dice convinta dalla testimonianza di Alex. Altri resoconti provengono da due giornalisti che vi hanno preso parte; la giornalista tedesca freelance Karin Leukefeld e Jonathan Steele, in passato giornalista al Guardian.
Questa non è stata la prima volta in cui il dissenso all’interno dello staff del OPCW è venuto alla luce in relazione a Douma. A maggio di quest’anno è trapelata ed è stata pubblicata su internet la bozza di un documento interno, descritto come rapporto ingegneristico. Scritto da un dipendente, Ian Henderson, questo suggeriva che i cilindri fossero stati “posizionati manualmente” e non lanciati dall’alto – affermazione che sembra sottoscrivere le dichiarazioni di coloro che dicono che i ribelli hanno messo in scena un attacco chimico.
La teoria dei cilindri “posizionati manualmente” non viene menzionata in nessun altro rapporto FFM, il che ha portato ad affermare che la prospettiva di Henderson fosse stata occultata. L’OPCW ha in seguito detto che questa era stata omessa perché orientata ad attribuire la colpa, compito al di fuori del mandato del FFM. L’OPCW ha poi aggiunto di aver passato il documento alla propria squadra di Indagini e identificazioni (IIT – Investigation and Identification Team) che invece ha il compito di stabilire le colpe.
In seguito all’emergere di un altro dissidente come Alex, la Courage Foundation sta chiedendo a tutti gli ispettori che hanno preso parte alle indagini su Douma di “farsi avanti e fare rapporto sulle loro osservazioni divergenti all’organismo di governo del OPCW, la Conferenza degli stati parte“. Casualmente, gli stati parte devono tenere la propria conferenza annuale la prossima settimana e, considerando le esperienze del passato, sarebbe strano se la Siria o i suoi alleati non cercassero di sollevare l’argomento in quella sede.
“Irregolari e possibilmente fraudolenti”
Uno dei problemi riguardanti le indiscrezioni di Alex è che finora questi ha fatto affidamento principalmente su altri per diffondere le proprie esternazioni. Non ha diffuso le sue prove direttamente al pubblico e tutto ciò che sappiamo delle sue accuse proviene da terzi i cui racconti differiscono in una certa misura. Ciò rende difficile valutare le sue affermazioni o, in alcuni casi, capire esattamente quali siano.
Da quanto è stato reso pubblico fino ad ora, è chiaro che ci sono state forti divergenze di opinione tra il personale OPCW su come interpretare le prove di Douma. In un articolo di Counterpunch, Jonathan Steele cita Alex dicendo: “La maggior parte del team di Douma ha ritenuto che i due rapporti sull’incidente, il Rapporto intermedio e il Rapporto finale, fossero scientificamente impoveriti, proceduralmente irregolari e forse fraudolenti”. Il suo articolo dice anche “tutti tranne un membro del team” concordano con la conclusione di Henderson “che c’era una maggiore probabilità che i cilindri fossero stati posizionati manualmente”.
Bozze rivali del rapporto
Secondo Alex (come riferito da Steele) sono sorti enormi discussioni nel momento in cui il rapporto intermedio era pronto per la pubblicazione. La prima bozza, scritta da un ispettore che non è stato nominato, ammontava a 105 pagine e affermava che ciò che è accaduto a Douma è stato “un evento non legato a sostanze chimiche”. Questo, ci viene detto, è stato accolto silenziosamente dai superiori dell’ispettore. A ciò è seguito un tentativo di sostituire la sua bozza con “una versione manomessa dai superiori”.
Sono seguite altre discussioni e la versione di 26 pagine pubblicata alla fine è sostanzialmente una relazione sullo stato di avanzamento delle indagini. Questa descrive le attività della FFM, afferma che si continua a lavorare per valutare come i cilindri si siano trovati nelle rispettive posizioni e presenta i risultati del primo batch di test di laboratorio.
In base ai test di laboratorio sono stati presentati due risultati significativi: primo, che non c’erano indizi dell’utilizzo di un agente nervoso (contrariamente ad alcune delle affermazioni al momento del presunto attacco) e, secondo, che erano stati trovati “vari prodotti chimici organici clorurati”. Ha aggiunto: “È in corso il lavoro del team per stabilire il significato di questi risultati”.
Mentre è facile vedere la deriva generale delle obiezioni di Alex sul contenuto dei rapporti FFM, le basi scientifiche delle sue affermazioni sono tutt’altro che chiare e le differenze tra i vari resoconti aumentano la confusione. Due delle sue affermazioni chiave, in particolare, hanno poco senso nella forma in cui sono state riportate.
Nessuna sostanza chimica di rilievo
Una delle lamentele è che, quando è stato pubblicato il rapporto intermedio, questo non includeva l’affermazione dell’ispettore, presente nella bozza originale, che si trattasse di “un evento non collegato ad armi chimiche”. Si dice che abbia concluso che “i segni e i sintomi” delle vittime del presunto attacco chimico “non erano compatibile con l’avvelenamento da cloro”. Secondo l’articolo di Steele, questi ha basato le sue conclusioni su campioni biologici prelevati dalle presunte vittime.
I test di laboratorio condotti sui campioni biologici non avevano trovato “sostanze chimiche di rilievo” ma si trattava di una strana premessa per escludere il cloro. Sebbene questi non mostrassero prove evidenti di un attacco col cloro, non ci si aspettava che lo facessero. Lo scopo principale dei campioni biologici era di cercare la presenza di sarin (non trovata) ma per quanto riguarda il cloro, non c’era un modo affidabile di testarne l’esposizione sulle persone in questione.
Mentre alcune armi chimiche, come il sarin, lasciano la propria “firma” con tracce intercettabili dalle analisi di laboratorio, provare l’utilizzo del cloro come arma è molto più difficile dopo l’evento. Il cloro è una sostanza comune che si trova naturalmente in molti composti e può anche essere introdotto nell’ambiente in varie forme mediante l’attività umana.
Il problema per chi fa le indagini, dunque, è come distinguere il cloro risultante da un attacco chimico dal cloro già presente nell’ambiente per altre ragioni. L’FFM ha affrontato questo problema nel corso di una prima indagine svolta nel 2014 e ha stabilito che campioni biologici sarebbero inutili. “Non esistono biomarcatori prestabiliti in caso di esposizione al cloro”, spiega il rapporto.
Oggi la situazione resta di fatto immutata, sebbene il rapporto finale su Douma faccia menzione di ulteriori sviluppi. Afferma che, mentre gli studi di ricerca hanno aperto a “possibilità promettenti” per rintracciare l’esposizione al cloro, le indicazioni sono che i marcatori di rilievo non potrebbero sopravvivere a lungo. Questo sarebbe stato certamente un lasso di tempo troppo corto per potere essere utili nelle indagini su Douma.
Una spiegazione diversa
Per aggiungere un altro pezzo al puzzle, l’analisi della presentazione di Alex fatta in audizione davanti il comitato di Courage dice anche che “segni e sintomi” non erano “compatibili” con l’esposizione al cloro molecolare ma offre una ragione diversa, non legata ai campioni biologici.
Attribuisce invece questa conclusione ai tossicologi che sostiene furono consultati dal FFM nel giugno del 2018, poco prima della pubblicazione del rapporto intermedio su Douma. Sembra che i tossicologi abbiano basato le proprie conclusioni su prove video e sui racconti dei testimoni ma il comitato non spiega il ragionamento seguito.
Sarebbe sorprendente, tuttavia, se i tossicologi fossero davvero così sicuri che non ci sia stata alcuna esposizione al cloro. Se alcuni dei segni e dei sintomi riportati non possono essere spiegati col cloro ce ne sono altri, come la sensazione di bruciore al petto e dolore agli occhi, che evidentemente possono esserlo.
Lo stesso FFM non si è pronunciata su questo punto nel rapporto finale. “Al momento non è possibile collegare in modo preciso la causa dei segni e dei sintomi ad un agente chimico specifico”, afferma.
“Livelli bassi” nei campioni ambientali
Un’altra delle critiche di Alex è che l’FFM non ha prestato sufficiente attenzione ai livelli degli agenti chimici trovati nei campioni ambientali ma, ancora una volta, i diversi racconti forniscono un’immagine confusa.
Parlando del rapporto finale su Douma del FFM, il comitato del Courage afferma: “Sebbene il rapporto si soffermi sui ‘livelli’ di agenti chimici organici a base di cloro come base per le proprie conclusioni, non fa mai menzioni di quali siano i livelli – alto, basso, traccia, sotto-traccia”. Ciò non è vero in senso stretto. Sebbene il rapporto FFM non parli di routine dei livelli, vi fa riferimento di tanto in tanto. Fa menzione di “tracce” dieci volte e di “ultra-tracce” due volte.
Si dice che raccogliere campioni per le analisi sia il campo di esperienza di Alex e, chiaramente, questi si preoccupa molto dei livelli di composti organici clorurati (COCS) nei campioni ambientali provenienti da Douma. Sfortunatamente, tuttavia, i resoconti pubblicati della sua denuncia non danno cifre.
Steele cita Alex che dice: “Se il ritrovamento di questi agenti chimici nel presunto luogo dell’attacco deve essere utilizzato quale indicatore che il gas cloro era presente nell’atmosfera, sarebbero dovuti essere presenti a livelli significativamente più alti di ciò che è già presente nell’ambiente”.
Allo stesso modo, se a Douma non c’è stato alcun attacco chimico, i livelli lì rilevati avrebbero dovuto essere più o meno gli stessi a quelli presenti in luoghi simili che non erano stati sottoposti ad alcun attacco al gas cloruro. Stranamente, però, sembra che Alex affermi che i livelli presenti sulla scena del presunto attacco non fossero gli stessi ma più bassi, molto più bassi.
Secondo l’articolo di Steele, i livelli rilevati nei due edifici sotto indagine erano “molto più bassi di ciò che si sarebbe aspettato nei campioni ambientali” e la giornalista Karin Leukefeld, anche lei alla presentazione di Alex, scrive che questi erano “di molto inferiori a quelli che si trovano nell’ambiente naturale (per esempio nell’acqua)”.
I lettori potrebbero presumere da ciò che l’FFM abbia messo a confronto i campioni degli edifici del presunto attacco con campioni simili presi da edifici non colpiti. Invece sembra non sia stato così. Dice Leukefeld: “Non sono stati presi dall’ambiente naturale campioni per determinare il contenuto naturale di tali sostanze. Quindi mancano i valori di paragone”.
Quindi, in mancanza di campioni disponibili al paragone, come ha fatto Alex a giungere alla conclusione che i livelli nei due edifici fossero più bassi di quanto ci si potesse aspettare? Steele da una possibile spiegazione quando dice che i livelli di COCs “erano paragonabili, e anche più bassi” dei livelli massimi raccomandati dall’Organizzazione mondiale della salute per l’acqua potabile.
Il rapporto finale della FFM fa un confronto tra i livelli, ma solo all’interno dei due edifici contenenti un “cilindro”. Prende atto dei livelli elevati di alcuni prodotti chimici vicino ai cilindri di gas sospette e afferma che un campione di legno da sotto uno dei cilindri “aveva il più alto contenuto di composti organici clorurati di tutti i campioni di legno prelevati”.
Sostanze rivelatrici
Nel complesso, tuttavia, la FFM era più interessata a identificare composti specifici che potrebbero derivare da un attacco di cloro e quindi a cercare di eliminare altre possibili spiegazioni per la loro presenza.
Una sostanza potenzialmente rivelatrice trovata nei campioni di legno di Douma era il triclorofenolo che può essere prodotto dall’esposizione al cloro gassoso. Tuttavia, può anche essere prodotto dal contatto con ipoclorito di sodio che, come notava il rapporto della FFM, è il componente principale della candeggina a base di cloro.
Il rapporto della FFM prosegue suggerendo che il gas cloro è la possibilità più probabile in quanto “non c’erano segni visibili di un agente candeggiante o di scolorimento a causa del contatto con un agente candeggiante” nelle due sedi investigate a Douma. Tuttavia, il documento de comitato del Courage riprende questa assenza di “segni visibili”. Dice che il comitato è stata informata che “nessuna osservazione di questo tipo è stata registrata durante l’ispezione in loco”. Non sembra suggerire che ci fossero segni di sbiancamento, ma descrive la loro non osservata segnalazione come “tenue e non scientifica”.
Gli intermediari di Alex: la Courage Foundation
Gran parte del problema risiede nel modo in cui Alex ha esposto le sue rimostranze. Avrebbe potuto, ad esempio, rendere pubbliche le sue prove insieme a una spiegazione scritta della sua denuncia. In questo modo, sapremmo più chiaramente cosa sta dicendo e qual è il suo ragionamento. Invece, ha permesso ad intermediari di dare forma alla narrazione, il che solleva interrogativi sulla sua scelta degli intermediari.
La Courage Foundation, che ha organizzato l’incontro con Alex a Bruxelles (e che non deve essere confusa con un’associazione di beneficenza con lo stesso nome che sostiene i bambini in lutto) fa campagne “per la protezione di chi racconta la verità e del diritto del pubblico a conoscere”, ma alcune delle sue figure di spicco hanno anche posizioni esplicite su altre questioni, tra cui la Siria.
Uno dei quattro fiduciari di Courage è il giornalista australiano John Pilger che, in un’intervista con RT dello scorso anno, ha dichiarato che “non ci sono prove reali” di un attacco chimico a Douma e ha rigurgita una falsa affermazione russa secondo cui l’avvelenamento di Sergei e Yulia Skripal a Salisbury non implicava un agente nervoso.
Il primo direttore di Courage è stata l’ex spia britannica Annie Machon. Dopo le dimissioni dal servizio di intelligence, ha continuato a organizzare una “campagna di verità“ sull’11 settembre e a promuovere una varietà di altre teorie cospirative. La Machon è attualmente membro del comitato consultivo di Courage e, in seguito alla presentazione della gola profonda, è apparsa su RT chiedendo una “nuova inchiesta” sugli eventi di Douma.
Un altro membro del comitato consultivo è Ray McGovern, un ex analista della CIA che ha contribuito a istituire la Veteran Intelligence Professionals for Sanity (VIPS) che contesta la responsabilità del regime di Assad per gli attacchi chimici in Siria. Lo stesso McGovern è apparso su RT affermando che il sarin usato nell’attacco del 2013 a Ghouta non proveniva dalle scorte dell’esercito siriano ma era “fatto in casa“.
McGovern ha anche fondato la Sam Adams Associates for Integrity in Intelligence, che presenta un premio annuale per la “verità”. Il premio del 2018 è stato assegnato alla giornalista Seymour Hersh che aveva scritto diversi articoli, screditati, sostenendo che il regime non era responsabile degli attacchi chimici in Siria.
Un comitato “distinto”
Poi c’è il comitato nominata da Courage per incontrare l’informatore. Secondo RT, il canale di propaganda russo, i suoi membri erano “figure di spicco nel loro campo” e “un gruppo molto distinto”, mentre Mint Press News (un sito web con sede negli Stati Uniti in sintonia con il regime di Assad) li descriveva come “esperti internazionali”.
La stessa Courage Foundation descrive il comitato come composta da “persone interessate ai settori del disarmo, del diritto internazionale, del giornalismo, delle operazioni militari, della medicina e dell’intelligence”. Il suo sito web fornisce i loro nomi con dettagli di base, ma uno sguardo più attento tradisce il bagaglio politico che ciascuno porta con se, ed è davvero un bagaglio pesante.
Il “diritto internazionale”, per esempio, era rappresentato da Richard Falk, un professore emerito dell’Università di Princeton che in precedenza aveva dichiarato l’esistenza di “dubbi ben documentati“ sugli attacchi dell’11 settembre.
A rappresentare le “operazioni militari” c’era John Holmes, un ufficiale dell’esercito in pensione e membro del consiglio della British Syrian Society, che è gestito dal suocero del presidente Assad, Fawaz Akhras.
A rappresentare “l’intelligence” c’era Elizabeth Murray, un membro della Veteran Intelligence Professionals for Sanity (VIPS) e della Sam Adams Associates for Integrity in Intelligence (vedi sopra).
A rappresentare il “giornalismo” c’era Kristinn Hrafnsson, caporedattore di Wikileaks.
A rappresentare sia la “medicina” che il “disarmo” c’era il dott. Helmut Lohrer dei Medici Internazionali per la Prevenzione della Guerra Nucleare. Lohrer non sembra aver avuto un precedente coinvolgimento con la Siria ma nel 2015, al culmine della guerra, ha firmato una dichiarazione in cui si chiedeva la revoca delle sanzioni contro il regime. “Mantenere l’embargo”, afferma la dichiarazione, “significa essere complice del genocidio”.
Oltre a questi c’era Günter Meyer, direttore del Center for Research on the Arab World dell’Università di Mainz, che è un sostenitore di lunga data di Assad.
Il settimo e più noto membro del comitato (o forse mezzo membro, poiché non ha partecipato alla presentazione a Bruxelles) è José Bustani, che è stato direttore generale dell’OPCW tra il 1997 e il 2002.
Bustani, un brasiliano di 74 anni, ha chiaramente conoscenza dell’organizzazione, ma il suo mandato come direttore generale è terminato in recriminazioni, quindi non si può presumere automaticamente che abbia una visione spassionata. Fu espulso dal suo posto OPCW per volere degli Stati Uniti e in seguito ha ottenuto un risarcimento per licenziamento ingiusto. Da allora è apparso su RT per aver denunciato il suo licenziamento, e più recentemente ha criticato le indagini della Gran Bretagna sull’affare avvelenamento di Skripal.
Dissidenti sovrastati
Le denunce sul modo in cui è stata gestita l’indagine di Douma hanno un sottotesto: che l’OPCW non è un organo obiettivo, almeno per quanto riguarda la Siria. La solita presunzione tra i suoi critici è che i rapporti di Douma – nonostante le loro caute conclusioni – siano stati manipolati per aiutare a giustificare i bombardamenti guidati dagli USA.
Nell’articolo di Steele, Alex descrive come il personale che ha messo in dubbio le affermazioni di un attacco chimico sia stato messo da parte, tagliato fuori dal giro e sovrastato. Supponendo che ciò sia vero, la domanda è cosa significhi. Ci sono state interferenze esterne all’organizzazione o i dirigenti hanno semplicemente concluso che i dissidenti avevano torto e hanno perso la pazienza con le loro lamentele?
Steele cita due incidenti che indicano possibili interferenze. Uno è stato quando un collega senior ha dichiarato ad Alex: “Il primo piano [management] afferma che per la credibilità dell’OPCW dobbiamo avere una pistola fumante”.
L’altro si è verificato quando Bob Fairweather, capo del gabinetto dell’OPCW, ha invitato diversi membri del team di redazione nel suo ufficio. Steele scrive:
“Lì trovarono tre funzionari statunitensi che furono introdotti in modo sbrigativo senza chiarire quali agenzie statunitensi rappresentavano. Gli americani dissero loro con enfasi che il regime siriano aveva condotto un attacco di gas e che i due cilindri trovati sul tetto e sul piano superiore dell’edificio contenevano 170 chilogrammi di cloro. Gli ispettori lasciarono l’ufficio di Fairweather, ritenendo che l’invito agli americani a rivolgersi a loro fosse una pressione inaccettabile e una violazione dei dichiarati principi di indipendenza e imparzialità dell’OPCW”.
I regolamenti OPCW affermano che il personale “non deve né cercare né accettare istruzioni da alcun governo o da qualsiasi altra autorità esterna all’organizzazione”. Mentre il team di redazione pensava chiaramente che gli americani stessero tentando di impartire loro istruzioni, gli americani avrebbero presumibilmente affermato che stavano semplicemente fornendo informazioni in linea con il loro dovere ai sensi della Convenzione sulle armi chimiche di cooperare con l’OPCW “e in particolare per fornire assistenza alla segreteria tecnica” (di cui la FFM faceva parte).
Affrontare le pressioni
Qualunque cosa gli americani stessero facendo, però, non erano gli unici giocatori in gioco. Proprio mentre stavano iniziando le indagini di Douma, quattro agenti dell’intelligence russa sono stati catturati in un parcheggio vicino al quartier generale dell’OPCW mentre cercavano di hackerare il suo sistema wifi.
Inoltre, mentre la FFM era impegnata nella raccolta di campioni provenienti da Douma, la Russia ha organizzato uno spettacolo che aveva chiaramente lo scopo di fare pressione sugli investigatori. In una conferenza stampa a L’Aia ha fatto sfilare presunti testimoni – tra cui un bambino piccolo – e tutti hanno affermato che non vi è stato alcun attacco chimico. Ciò ha avuto più valore di propaganda che di prova a causa dei sospetti che i “testimoni” non parlassero liberamente.
Le pressioni che gli investigatori di armi chimiche possono affrontare sono state descritte nel 2017 da Edmond Mulet, a capo della sfortunata missione investigativa congiunta delle Nazioni Unite: “Riceviamo – purtroppo – messaggi diretti e indiretti continuamente da molte parti che ci dicono come fare il nostro lavoro. E alcuni di questi messaggi sono molto chiari nel dire che se non facciamo il nostro lavoro secondo loro – queste diverse visioni – allora non accetteranno le conclusioni del nostro lavoro”.
In un’indagine sulle armi chimiche, e in particolare una controversa come Douma, ci si aspettavano pressioni di questo tipo. Ma l’OPCW ha delle garanzie integrate che dovrebbero aiutarlo a resistere loro – quindi il vero problema non è se abbia affrontato tali pressioni ma se vi abbia ceduto. E finora, l’evidenza non prova che lo abbia fatto.