“Il muro scolpito dalle schegge” e dai resti di libri: ricordi di trasferimento ad Idlib.

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Una pila di libri appartenenti a siriani che scappano dal conflitto. Fonte: Ahmad Al-Sabah

Intervista di Alaa Nassar pubblicata il 21 maggio 2019 su Syria Direct 

Traduzione di Giovanna De Luca, revisione di N.El Assouad

Con ogni nuova storia di dislocamento, Ahmed vive, ricorda i dettagli della sua casa, le finestre, i colori delle pareti, i bei ricordi che aveva lì.  Ma proprio mentre inizia ad abituarsi ad ogni nuova casa, deve sopportare un’altro trasferimento.

Ahmed al-Sabah, 44 anni, è stato sfollato così tante volte che lasciare una casa è diventato uno scenario di routine per lui e la sua famiglia.  “Sono stati sfollati quindici volte, senza contare viaggi temporanei in grotte o rifugi vicini per poche ore o giorni” [ha detto Alaa ‘Nassar al corrispondente di Syria Direct in un’intervista].  Dieci volte la sua famiglia è stata sfollata all’interno della città di Kafranbel, ed sono stati infine trasferiti verso la città di Idlib, proprio in seguito  all’escalation militare del governo siriano, nella campagna meridionale di Idlib.

Nelle ultime settimane, nella Siria nord-occidentale c’è stata un’escalation militare senza precedenti, di conseguenza un’ondata di famiglie sono state sfollate verso aree più sicure vicino al confine turco [a nord].  Ahmed e 33 membri della sua numerosa famiglia erano tra le persone in fuga.

Giovedì, aerei da guerra hanno preso di mira la città di Kafranbel in un bombardamento aereo, ferendo un certo numero di civili.  Lo scorso lunedì il bombardamento ha messo fuori servizio un centro dei White Helmets.(La Protezione Civile che opera nelle zone liberate NDT).

Il Response Coordination Group, un gruppo di documentazione locale,  ha riferito che circa 260.000 persone sono state sfollate tra il 15 febbraio e il 13 maggio in seguito alla recente campagna condotta dalle forze del regime siriano nel nord-ovest della Siria.

Anche se la nuova residenza di Ahmed al-Sabah nella città di Idlib non è del tutto sicura, non sta pensando di attraversare il confine con la Turchia.  “Non possiamo andare oltre, almeno fino a quando non ci vedremo obbligati dalle circostanze”ha detto Ahmed [a Nassar], aggiungendo che nella città di Idlib si sente stabile, anche se solo temporaneamente, perché è “più vicino a casa”, riferendosi alla sua città natale, Qamhana, nella campagna settentrionale di Hama.

Oltre ai fardelli nato a tutti gli sfollati nella Siria nordoccidentale, Ahmed porta con sé ciò che resta della sua biblioteca da una casa all’altra, mentre le persone intorno a lui chiedono: “Queste condizioni ci permettono di godere della lettura e della cultura?”

Da quale città vieni?  Quando e perché hai lasciato la tua prima casa?

Vengo dalla città di Qamhana nella campagna settentrionale di Hama.  Penso che questa regione sia diventata nota a tutti per la sua cattiva reputazione durante la rivoluzione, specialmente per il suo ampio numero di sostenitori del regime di Bashar al-Assad.

Nel novembre del 2011 sono stato rilasciato dalla detenzione e sono tornato nella mia città, dove ho proseguito con il mio attivismo mediatico sotto pseudonimi.  All’epoca, all’inizio della rivoluzione, il termine attivista dei media non era ancora utilizzato, ma in seguito il termine si è diffuso.

Alla fine del 2013, ho saputo che la mia famiglia e io eravamo in pericolo.  Certo, questo era a causa di un sito web che stavamo costruendo nel periodo che portava alla rivoluzione, e la mia famiglia era coinvolta nella questione, come lo erano mia moglie e gli amici.  Quando il problema è sorto, ho contattato alcuni dei miei amici nel nord di Idlib, e mi hanno consigliato di andarmene.  Così ho lasciato Qamhana per Kafranbel nella campagna meridionale di Idlib perché la situazione non era più sicura per l’attivismo rivoluzionario, e il livello di pericolo e minacce era cresciuto molto più del previsto.

Questa è la storia della mia prima fuga.  Da lì ho iniziato il mio viaggio di dislocamento nella campagna di Idlib, costretto a trasferirmi all’interno di Idlib più di dieci volte. Sono stato sfollato 15 volte, senza contare i viaggi temporanei in grotte o rifugi vicini per poche ore o giorni fino alla fine del bombardamento.

Dici di aver sperimentato uno spostamento continuo, puoi raccontarci a riguardo?

Ho trascorso quattro anni a Kafranbel, e in un anno mi sono trasferito in dieci case.  In ogni casa in cui ho vissuto, ho vissuto l’esperienza dello spostamento.  Ho vissuto la maggior parte degli attacchi su Kafranbel, e spesso ero vicino ai luoghi presi di mira, soprattutto perché il quartiere in cui vivevo era considerato il centro della città.  Accanto a me c’era un centro dei White Helmets e un centro di ambulanze che sono stati ripetutamente presi di mira mentre risiedevo nella zona.  E le porte e le finestre erano costantemente distrutte dalle mitragliatrici e dai bombardamenti, quelli russi e quelli con i barili bomba del regime di Assad.

Ho vissuto tutte queste storie.  L’area era pericolosa poiché recentemente era presa di mira da aerei russi e siriani, come era stato in precedenza, e questo è quello che è successo.

L’ultimo missile è arrivato vicino a noi, a circa 50 metri di distanza.  Penso che l’obiettivo fosse una fabbrica vicina, in cui una volta c’era il quartier generale di una fazione militare.  Di fronte a noi c’era un centro medico, quindi ci trovavamo tra due obiettivi. La volta successiva i missili hanno colpito l’edificio in cui viviamo. Questo è stato esattamente il motivo del nostro ultimo spostamento, quando siamo passati da Kafranbel a Idlib.

Per quanto riguarda gli spostamenti precedenti, alcuni erano dovuti a ragioni non correlate alla guerra. Per esempio il proprietario dell’edificio voleva che suo figlio andasse a vivere lì, o per un altro motivo, come l’aumento dell’affitto o lo sgombero, oltre al bombardamento che terrorizza donne e bambini.

Dopo la tua ultima esperienza, ritieni che lo spostamento sia diventato normale per te?  In che modo i residenti locali ricevono gli sfollati che arrivano?

Sicuramente, mi sono adattato allo spostamento, per così dire.  Ogni settimana, ogni giorno o ogni mese – non c’è molta differenza.

Ho mobili e le cose necessarie per vivere, ma non è facile spostare tutto da un posto all’altro.  Sono diventato un pò indifferente o convinto che tutto questo faccia parte del piano di Dio per mettere alla prova la nostra pazienza.  Quindi rimarremo così, preservando i principi della rivoluzione per i quali siamo partiti la prima volta.  E questo ci impone di affrontare molte difficoltà.

Il dislocamento è una piccola parte di queste difficoltà.  L’onere degli spostamenti forzati non è nulla in confronto agli altri oneri che devono affrontare coloro che ci circondano: sangue, arresto, essere senzatetto e povertà.  Abbiamo sperimentato tutto questo, quindi lo spostamento è più facile.  Non è la nostra più grande difficoltà, quindi naturalmente dovremmo sopportarlo.

Non sto dicendo che essere sfollati sia facile.  Con ogni nuova storia di sfollamento, comincio a cercare amici intorno a me che mi aiutino a spostare i mobili, e questo allevia molte delle altre difficoltà che si presentano con il dislocamento.

Onestamente, ho stabilito il record dell’essere sfollato.  L’ultima volta è stata la quindicesima, e posso dire che la visione dei residenti locali nei confronti di coloro che sono sfollati è cambiata negli ultimi anni rispetto a come era all’inizio della rivoluzione.  Non voglio generalizzare, ma oggi, secondo me, gli abitanti del nord guardano ai profughi come a una specie di turisti che soddisfano l’avidità del padrone di casa che vuole ottenere ciò che può da loro,  come se non avesse mai affittato a nessun altro!

Otto anni dopo la rivoluzione, i ricchi sono diventati poveri.

Quanto ti è costato il dislocamento, sia materialmente che in termini di morale?

Non c’è dubbio che i costi materiali dello spostamento sono grandi, ma i costi morali sono maggiori.

Sono una persona che ama mantenere le vecchie cose e i ricordi.  E ogni persona che vive in un luogo particolare sviluppa una sorta di familiarità con quel luogo, che gli fa sentire che è il posto giusto in cui vivere, anche se diventa pericoloso con il passare dei giorni.  Col passare del tempo in una casa, una certa familiarità si forma tra te e le porte, le finestre, la forma del soffitto, la vista della casa e i colori delle pareti.

Anche il luogo in cui il muro è inciso con schegge – con questo, il terrore si trasforma in un segno di sicurezza e stabilità e la persona diventa pienamente familiare con il luogo, anche con la sua distruzione.

Circa una settimana dopo ogni spostamento, ogni volta che ci muoviamo, puoi vedere la tristezza negli occhi di ciascuno dei membri della mia famiglia che inizia a rifiutare il nuovo posto, anche se è molto meglio dell’ultimo.  Quando vivi in ​​una nuova casa o in una tenda, è come aver comprato una nuova maglietta e non essersi abituato a indossarla, anche dopo averla lavata molte volte.

Una nuova casa ha bisogno di tempo per far sì che una persona si familiarizzi con essa, ci vuole del tempo per incorporarla nel tuo subconscio, e poi per abituarti ad essa e sentirti stabile lì, per sentire come il nuovo posto diventate parte di te. Ma poi viviamo passiamo attraverso un’altra storia di dislocamento, e continuiamo a vagare nello stesso tipo di sofferenza.

Abbiamo sentito che hai interessi culturali e storici.  Puoi parlarci di questo e della tua biblioteca?

Ero proprietario di una biblioteca privata nella mia prima casa a Qamhana, ma quando me ne sono andato non potevo portarla con me.  Ho portato solo il cinque per cento del totale dei libri.

Ancora più importanti sono i documenti storici che conservavo perché  lavoravo alla ricerca sulle rovine storiche della zona e avevo lavorato su questi documenti per diversi anni.

Avevo anche un archivio di fotografie molto vecchie che ho seppellito prima della mia partenza, e non so cosa gli sia successo.  Per quanto riguarda il patrimonio e i beni culturali che avevo posseduto, come libri e mobili, sono quasi certo che il regime li abbia presi.

Durante il mio spostamento, sono stato in grado di creare una nuova biblioteca privata, ma ha subito molti danni.  Nelle aree liberate non è un problema se si perde un libro, perché i libri non sono ampiamente disponibili, ed i libri che si trovano qui, sono di solito testi specialistici molto costosi.

D’altra parte, sfortunatamente, le persone non trattano i libri con rispetto.  Una volta, in uno dei quartieri generali, trovai ragazzi che bruciavano libri nel camino.  Mi precipitai a salvare ciò che rimaneva, e ora li porto con me quando mi sposto.

E io non li conservo.  Una delle cose più difficili dello spostarsi, sia lontano che vicino, è portare i libri, anche se sono piccoli.  Ma nelle condizioni di vita qui nel nord, la gente dice: “Queste condizioni ci permettono di godere del leggere e della cultura ?!”

Vediamo decine di migliaia di siriani che cercano di entrare in Turchia ogni giorno, eppure tu rimani nell’area di confine.  Perché non stai pensando di andare lì?

Vengo dalla campagna di Hama.  Se rimango nelle campagne di Idlib, sono vicino a casa.  Non ho intenzione di lasciare Idlib.  Sono già andato in Turchia per alcuni giorni, ma mi sono sentito soffocare, quindi sono tornato.  Né io né la mia famiglia siamo stati in grado di rimanere lì.

Un anno fa, uno dei miei amici mi disse,  durante una breve visita a Gaziantep, che ben presto non sarebbero rimasti attivisti in Siria, poiché non sarebbero stati in grado di lavorare nelle attuali condizioni.  Mi ha detto di proteggere me stesso e la mia famiglia e di rimanere in Turchia.  Gli ho detto che questa opzione sarà la mia ultima spiaggia.

Non abbiamo lasciato Kafranbel fino a quando le circostanze non ci hanno costretti a farlo.  È molto rischioso per donne e bambini, e soprattutto per noi, poiché sto portando con me più di una famiglia e alcuni anziani.

Ci sono circa 33 persone nella mia famiglia, tra cui donne, bambini e anziani.  Portarli tutti in Turchia sarebbe molto difficile.  Anche l’idea di portarli nella campagna di Aleppo settentrionale, ad esempio Afrin, è improbabile.  Ci sentiamo stabili, anche se solo per ora, nella provincia di Idlib.  Restiamo insieme come una famiglia e siamo più vicini a casa, più vicini all’area che abbiamo lasciato durante il nostro primo trasferimento .

Non possiamo andare più a nord, almeno finché le circostanze non ci costringeranno a rimanere qui e non sarà altra un’opzione.  E non intendo un’opzione per me, perché mi sono abituato a queste condizioni.  Intendo per i bambini che tremano di paura per ciò che sta accadendo qui.

In realtà donne e bambini non sono mai stati in grado di tollerare gli attentati.  Quando i proiettili arrivano a 50 o 100 metri di distanza, anche noi uomini  siamo tesi e incapaci di lavorare.  La parte più difficile nel momento in cui hanno luogo i bombardamenti è essere circondati da donne e bambini in un corridoio non più grande di un metro e mezzo per tre metri, sentendoli urlare e gemere di paura.  In quel momento stavo parlando con una giornalista tedesca che mi stava chiedendo della situazione e di descrivere la scena davanti a me.  Le ho detto che non avevo parole per descrivere quello che stavo vedendo di fronte a me, la mia lingua non poteva esprimerlo.

Aggiungo che quando una persona lascia la sua patria, o la sua città, le sue opinioni cambiano.  Due anni fa, mentre ero in Turchia, incontrai attivisti  che conosco dall’inizio della rivoluzione.  Hanno vissuto con noi gli eventi in Siria, compresi gli spostamenti, ma poi sono partiti per la Turchia, che ha cambiato il loro modo di pensare riguardo alla Siria.

All’interno della letteratura araba, sentiamo parlare di vari sottogeneri.  Pensi che ciò che sta accadendo con gli sfollamenti abbia generato “letteratura rivoluzionaria?”

La Rivoluzione Siriana ha reso necessario quella che ora viene chiamato “letteratura rivoluzionaria”. E credo anche che ci sia “letteratura sul dislocamento”. Ma se vogliamo parlare realisticamente, questo non è il risultato di otto anni di sacrifici.  Lo scrittore o poeta di oggi si preoccupa molto di più della semplice scrittura.

Scrivevo, ma mi sono fermato.  Le condizioni, la pressione del lavoro e gli oneri della vita e della sopravvivenza non mi consentono di farlo.  Al contrario, troviamo molti esempi di scrittori, in età avanzata e privi di responsabilità, che scrivono e narrano, come il poeta di Kafr Nabudeh che ha scritto sulla sua casa all’inizio della rivoluzione.  Sebbene la sua poesia non fosse potente, la passione nei suoi versi ha dato un grande valore al suo lavoro.

Oggi, il tempo per scrivere sulla rivoluzione e la letteratura sul dislocamento appartiene a coloro che vivono fuori dal paese.  Vedo molti giovani scrivere e seguo il loro lavoro.  È vero, sono in grado di ritrarre una bella immagine, ma non la consegneranno mai con la stessa sensazione di vita.  Un quadro del genere non può essere semplicemente dipinto in alcun modo e ci si può aspettare che produca sensazioni.  È molto difficile trasmettere i sentimenti delle persone.

Stavo scrivendo prima che la rivoluzione iniziasse, ma dopo un pò di tempo dall’inizio dei trasferimenti- e con tutte le contraddizioni in cui viviamo, e la mappa mutevole del controllo, la mancanza di comprensione della realtà e il non sapere cosa accadrà domani, l’incapacità di  analizzare ciò che sta succedendo – mi sono reso conto che scrivere era diventato difficile.  La letteratura richiede all’autore di sbloccare la sua immaginazione e di portarlo lontano dalla realtà, in modo che possa scrivere spiritualmente.

Oggi, sfortunatamente, non possiamo lasciare che il nostro pensiero o la nostra attenzione siano distratti nemmeno per un momento, altrimenti potremmo trascurare un aereo in arrivo o la sopravvivenza della nostra famiglia, o cosa sta accadendo in prima linea o le attività rivoluzionarie.  Dobbiamo essere completamente concentrati e attenti, anche più di quanto avremmo bisogno se decidessimo di scrivere.  All’inizio della rivoluzione ne stavo documentando ogni sviluppo.  Ora non trovo il tempo di fare nulla.

 

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