Perhè le dichiarazioni dei patriarchi siriani sono un problema

di Abdallah Amin Al-Halaq

traduzione di Sami Haddad e Pietro Menghini

Nel Medioevo l’Europa la chiesa esercitava un controllo quasi totale sui vari aspetti della vita pubblica e privata. Senza guerre sanguinose, alcune di natura religiosa, altre politica, che hanno scosso la società europea, non sarebbe stato possibile muovere verso l’orizzonte del Rinascimento europeo fino a dare al vecchio continente la sua forma attuale. Oggi, su guardiamo al Medio Oriente, assistiamo ad un ritorno al Medioevo, cioè ad una situazione in cui le chiese giocano un ruolo importante nella definizione dell’etica e della politica, insieme alle dittature e ai movimenti terroristici trasnazionali che si rifanno a ideologie panarabe.

Le dichiarazioni e le posizioni dei patriarchi:

Tendenzialmente, molte delle chiese siriane e orientali hanno appoggiato Bashar Al-Assad fin dai primi giorni della rivoluzione siriana nel 2011, quando il paese era già sull’orlo di una guerra civile devastante. Nel Medioevo la chiesa aveva il potere di stabilire verità assolute, per esempio ponendo il veto alla teoria eliocentrica di Copernico. Tutti quelli che non credevano che la Terra fosse piatta venivano perseguitati, processati e uccisi. Una storia simile si ripete oggi in Siria. Il processo di rivoluzione nelle menti dei siriani si contrappone alla presa di posizione dei patriarchi, ribadita nella dichiarazione dei Patriarchi cristiani rilasciata il 14 aprile a nome dei Patriarchi di Antiochia e altri Patriarcati orientali ortodossi, tra cui i cattolici melchiti e i siriaci. Questa dichiarazione continua ad alimentare le menzogne sulla situazione in Siria difendendo, Bashar Hafez Al-Assad “campione” degli attacchi cimici. Jean-Clement Jeanbart, durante l’ultimo incontro di preghiera per il Medio Oriente svoltosi a Bari voluto da papa Francesco a cui hanno partecipato i capi delle chiese orientali, allineati al regime, e altri rappresentanti religiosi libanesi, ha dichiarato: “il regime è una cosa e il territorio è un’altra cosa, i cristiani ad Aleppo erano in 170 mila e oggi non sono più di 60 mila” e ha descritto il regime di Assad come “caratterizzato per la sua laicità, il pluralismo e l’uguaglianza tra tutti i cittadini ” avvertendo che “l’unica alternativa è un regime islamico estremista, perché il paese non è pronto ad alla democrazia occidentale”.

Sempre nella stessa dichiarazione, i patriarchi difendono l’esercito del regime contro ciò che chiamano “aggressione tripartita, francese, britannica, americana” ai danni della Siria, rigettano le accuse di genocidio imputate ad Assad, arrivando a negare l’ultimo massacro di Douma perpetrato con armi chimiche, proibite a livello internazionale che hanno ucciso silenziosamente 110 persone tra cui bambini. Questa dichiarazione, in breve, difende un criminale di guerra che massacra il “suo popolo” da sette anni con il pretesto di difendere la laicità, e nasconde sia la politica settaria del regime che si autodefinisce “laico” sia la sua alleanza con milizie settarie venute dal Libano, dall’Iraq, dall’Iran e da altri paesi.

Possiamo entrare nei dettagli delle dichiarazioni e discuterle punto per punto (le dichiarazioni sono reperibili su internet –). Alla dichiarazione dei Patriarchi ha risposto l’organizzazione “Cristiani siriani per la pace”, organizzazione cristiana schierata in difesa dei valori della libertà e per la liberazione dalla dittatura e dal regime di Bashar Al-Assad, che il 15 aprile dichiarava:

L’Organizzazione Cristiani siriani per la pace esprime la sua disapprovazione per la posizione dei patriarchi di Antiochia e degli altri patriarcati orientali ortodossi, siriaci e cattolici melchiti. Rigetta in particolare tre punti:

1) la presunta sovranità siriana: la Siria è un paese occupato dall’Iran e dalla Russia su autorizzazione del regime siriano, che ha barattato queste ingerenze con la sua salvezza;

2) l’assenza di condanna per i barili bomba, delle bombe a grappolo e dei missili, del fosforo o dell’uso del gas sarin, proibiti a livello internazionale, contro i cittadini. Questi patriarchi, rifiutandosi di condannare questi atti, non mostrano alcun segno di umanità o di empatia con i bambini della Ghouta.

3) il fatto che le posizioni espresse siano rappresentative di tutti i siriani. Noi crediamo nel diritto alla vita della Siria e ci adoperiamo per questo, nonostante il regime di Assad goda della fiducia della comunità internazionale e del sostegno del regime iraniano e delle milizie. Questa convergenza di interessi mette in pericolo il popolo siriano; solo con la caduta del regime e l’inizio di una fase di transizione politica, con il ritiro totale delle milizie armate dalla Siria e con la costruzione di uno stato moderno, si potrà mettere fine alle sofferenze dei siriani. Questo dunque è ciò che pretendiamo e chiediamo per la pace, per noi e la nostra patria.

In un altro comunicato diramato un comunicato a luglio 2018 in risposta alle affermazioni espresse dai patriarchi nell’incontro di Bari, la stessa organizzazione afferma:

“I patriarchi delle varie comunità cristiane che hanno partecipato all’incontro internazionale di Bari hanno tentato di abbellire l’immagine del regime siriano che governa da più di 50 anni a Damasco. Questi capi religiosi hanno una posizione attigua al regime e sono in sintonia con le altre guide religiose ufficiali, considerano il regime di Assad laico, quando invece è promotore di un falso pluralismo propagandato in tutto il mondo. I patriarchi si sono alleati ad un regime che conduce una guerra spietata contro il popolo siriano che chiedeva cambiamenti sociali e alternanza politica, l’instaurazione di uno stato di diritto e più libertà d’espressione. Sostenendo Bashar al Asad i patriarchi non esprimono i valori propri della chiesa e dell’umanità.

Con l’attenuante della paura di essere esiliati come minoranza, i Patriarchi hanno dimenticato la più elementare regola della logica e della fede, cercando di offuscare le verità e accecare l’intelletto e fuggire dalla realtà dei fatti.  I patriarchi hanno negato con la loro posizione che il regime di Assad ha distrutto migliaia di moschee e chiese, che ha lacerato il tessuto storico di coesione sociale, hanno dimenticato che ormai nell’era del digitale non è più possibile nascondere che il regime nei decenni ha consolidato una sistema in cui era impossibile creare un’alternativa politica , attraverso  la soppressione di tutte le libertà pubbliche e l’asservimento del potere giudiziario, attraverso apparati mafiosi di sicurezza, attraverso la negazione della dialettica politica nel paese e un controllo egemonico dell’economia siriana.”

Sempre secondo l’Organizzazione “cristiani siriani per la Pace”, i Patriarchi non sono consapevoli dei pericoli e delle conseguenze delle loro posizioni, e mettono i cristiani della Siria in una posizione di scontro con loro concittadini di tutte le altre fedi, invece di servire il popolo e predicare pace e amore, e simbolicamente cacciare i ladri del tempio come ha fatto il Messia.

“Prima o poi ci sarà verità e giustizia nonostante gli interessi delle potenze internazionali. I crimini del regime non possono essere ignorati e i capi della chiesa in Siria non devono contribuire a falsificare la realtà dei fatti a favore del regime dittatoriale di Assad” conclude il comunicato.

Papa Francesco ha espresso il timore che la presenza cristiana in Medio Oriente dissolva, portando inevitabilmente a “distorcere il volto della regione”. Crediamo che la sopravvivenza dei cristiani in Medio Oriente sia legata alla caduta dei regimi autoritari, al ripristino dello Stato di diritto che protegga tutti, alla realizzazione di un principio di cittadinanza basata su diritti e doveri e alla lotta al terrorismo in tutte le sue forme.

Le due dichiarazioni rivelano l’esistenza di due schieramenti di cristiani: uno contro il regime rappresentato da “cristiani siriani per la Pace” che condannano i crimini commessi; un’altra di altri cristiani che sostengono il regime e negano la sua natura fascista e omicida. Questa è la differenza morale tra i siriani che sostengono i barili di Assad che colpiscono altri siriani e i siriani che gli si oppongono e lavorano sul campo, politicamente e culturalmente contro di lui. In una società piena di contraddizioni come quella siriana, sono note da tempo le varie posizioni dei cristiani, ma in questo contesto non c’è spazio per questa analisi. Allo stesso modo, non possiamo dilungarci sulla spinosa questione religiosa e settaria in Siria e di come si sia sviluppata prima e dopo il colpo di stato di Hafez al’Assad.

La tragedia di padre Paolo:

Le dichiarazioni dei Patriarchi cristiani fedeli al macellaio di Damasco arrivano in concomitanza del quinto anniversario del rapimento di padre Paolo Dall’Oglio. Padre Paolo Dall’Oglio è un gesuita italiano che ha trascorso circa 30 anni in Siria, prima che il regime di Bashar Al Assad decidesse di espellerlo nel giugno 2012 per le sue posizioni in favore della rivoluzione siriana, per la sua condanna ad ogni forma di violenza e alle uccisioni in corso nel paese. Il regime ha deciso di espellere Padre Paolo con il pretesto di “aver scavalcato i limiti della sua missione ecclesiastica”. Paolo lascia la Siria in modo forzoso dopo un accordo tra il regime di Assad e il Patriarca di Antiochia e dell’Oriente, il greco melchita Gregorio III Laham, che mette fine alla missione di Padre Paolo in Siria dopo un servizio durato più di 30 anni. Vale la pena ricordare che il Patriarca Laham è tra le gerarchie ecclesiastiche uno dei più accaniti sostenitori del regime e ha ripetutamente giustifica i suoi crimini.

In un’intervista dopo la sua espulsione dalla Siria, Padre Paolo dichiarò: “il popolo siriano ha pagato un prezzo terribile, ma tornare indietro è impossibile, la comunità internazionale si è convinta che questo regime non è in grado di portare a nessun cambiamento democratico. Il cambiamento avverrà ed è atteso da tutti. Il tempo stringe perché le persone stanno morendo nelle strade e c’è prima di tutto un problema umanitario. La comunità internazionale deve agire e compiere il suo dovere. Il popolo siriano ha chiesto libertà, ma è caduto nel caos di una guerra civile”. E aggiunge: “hanno reso la Siria un terreno di scontro tra sunniti e sciiti, ho il timore che la non caduta del regime acuirà la crisi e peggiorerà la guerra civile sul terreno, il che renderebbe impossibile la permanenza dei cristiani in Siria». Padre Paolo è tornato in Siria attraverso il confine settentrionale più di una volta, l’ultima nel 28 luglio 2013, per recarsi nella città di Raqqa nel tentativo di incontrare i «capi dell’Organizzazione Daesh e chiedere la liberazione dei detenuti politici che sono nelle loro mani». Nella città partecipò ad una manifestazione di solidarietà per Homs, il giorno dopo si recò nella sede dell’Organizzazione, da dove non è mai stato visto uscire.

Padre Paolo è considerato un simbolo per il popolo rivoluzionario per gli oppositori al regime di Assad. Oltre al suo carisma personale, come uomo ha pagato per le sue posizioni contro le politiche del regime e dei gruppi estremisti. Padre Paolo si proponeva come mediatore tra musulmani e cristiani in Siria e nella regione e considerava il rapporto fra le due comunità un punto fondamentale per la salvezza dei siriani. Non si è posto in modo diretto come avversario e in contrasto con i rappresentanti della chiesa filo regime, ma era attivo e presente con la sua condotta e la sua partecipazione con i siriani nella mobilitazione e ciò l’ha reso un punto di riferimento che ha stravolto i pregiudizi di alcuni cristiani verso i musulmani e viceversa.

Padre Paolo Dal Oglio prima della sua scomparsa ha scritto su Facebook: «Miei cari amici, sono venuto oggi nella città di Raqqa e sono contento per due motivi: in primo luogo mi trovo sul suolo della Patria Siria, in una città liberata. La seconda ragione della mia felicità è la splendida accoglienza che mi ha riservato questa meravigliosa città. Ho vissuto una notte di Ramadan tra le più belle, la gente era per le strade in libertà e armonia, questa è l’immagine della patria che vogliamo per tutti i siriani, naturalmente non c’è nulla di perfetto, ma il punto di partenza è buono, chiedo a voi di pregare per riuscita nella missione per cui sono venuto, la rivoluzione non è fatta di soli buoni propositi ma di impegno! La pace sia con voi e buon Ramadan per tutti noi. “

Qualsiasi sia la ragione della sparizione di Padre Paolo (l’essere un prete, o un cristiano, oppure le sue posizioni politiche verso il regime e verso il radicalismo islamico, o addirittura una possibile collaborazione tra Daesh e il regime siriano per far sparire attivisti e dissidenti), la sua sparizione rispecchia l’immagine della Siria di oggi, martoriata e lacerata per mano del regime e dei suoi alleati e protettori da un lato e dall’altro dai coltelli e le pallottole del jihadismo.

L’approccio semplicistico alla questione siriana

Dagli inizi del movimento di protesta in Siria nel marzo 2011, passando attraverso la trasformazione verso una vera e propria rivoluzione nelle diverse regioni, città e villaggi siriani, il regime siriano ha affrontato la protesta pacifica e civile su due livelli.

Ad un livello militare, con l’uccisione diretta e indiretta quartiere per quartiere con aerei, carri armati, e poi armi chimiche e ad un livello propagandistico dipingendo i ribelli come salafiti, terroristi e estremisti religiosi. In Siria circa tre quarti della popolazione è sunnita, ed è ovvio che la maggioranza dei ribelli siano sunniti. Assad ha trovato nei ranghi delle minoranze etniche e religiose un elemento sensibile ad una narrazione in cui l’opposizione siriana vuole formare un governo islamico in Siria, che “minaccerebbe la nostra sicurezza come minoranze”.

Questo pone molti interrogativi sulla presunta unità del popolo siriano e sul suo patriottismo prima della rivoluzione durante il regime di Assad padre e poi di suo figlio Bashar. È opinione comune che un cambiamento equivarrebbe a caos del terrorismo e del radicalismo islamico mentre il pugno di ferro militare significa stabilità. Coloro che sono allineati con Al-Assad lo fanno per convenienze etniche, economiche o politiche. Il timore resta l’ascesa dei jihadisti, eppure l’elemento estremista non avrebbe guadagnato terreno se il regime non avesse trascinato il paese in un conflitto disastroso usando il livello di violenza che conosciamo, e se non avesse usato le fazioni islamiste come strumento di propaganda per giustificare la violenza stessa.

La rivoluzione siriana si è trasformata prima in un conflitto armato, poi in un conflitto internazionale per procura attraverso combattenti islamici e i militanti radicali che portano avanti progetti politici sauditi, qatarioti e turchi. Nel frattempo Assad si è trasformato in un banale mercenario, in balia di Russia e dell’Iran, nonostante sia ancora formalmente il Presidente e nonostante il suo potenziale letale sia ancora alto. Molti continuano con ostinazione a descrivere il conflitto come uno scontro fra i terroristi e il regime. L’Europa vede “nel regime laico” il “protettore delle minoranze”. Questi intellettuali, scrittori e giornalisti occidentali non conoscono la Siria più di quanto non conoscano il numero delle rocce su Marte, ma insistono da lontano nel dare a noi siriani lezioni sulla natura del nostro paese e la natura del suo conflitto, lezioni sulla necessità di allinearsi con il criminale, che non ha niente di più di laico che non i barili bomba e le armi chimiche.

Quando queste narrazioni ingenue si scontrano con la realtà sul terreno questi soggetti tacciono. Per loro Il conflitto è solo tra gli islamisti radicali da un lato, e il regime guidato dal suo presidente elegantemente incravattato, dall’altro. I siriani sono schierati in modo chiaro, o con il regime o con la rivoluzione dall’anno 2011 quando non c’erano islamisti e l’assassino era solo il regime. Questo schieramento è chiaro e ha i radici economiche, politiche, sociali e persino settarie a volte, ma ora parliamo di nomi ed esempi.

Come si spiega l’uccisione da parte del regime dell’attivista e del regista “cristiano” Basel Shehade a Homs? E l’arresto, avvenuto 5 anni fa, dell’avvocato “cristiano” Khalil Ma’atuq perchè difendeva i prigionieri (obbiettori di coscienza) nelle prigioni? È probabile che Khalil sia morto, morto in prigione senza nessuna notizia. Come si spiegano gli arresti e le sparizioni di molti cristiani che si sono dichiarati contrari ad Al-Assad? Non si trova nessuna risposta, come pensiamo.

Come si spiega il disinteresse del regime assadista verso tutti i crimini che Daesh ha commesso a danno dei musulmani e cristiani nella città di Raqqa e in tutta la Siria e il fatto che non abbia mai attaccato la sede del governatorato dove si trovava la sede principale di Daesh? Nessuna risposta.

Come si spiega il rilascio da parte del regime nel mese di giugno del 2011 di militanti islamisti come Zahran Allush e Ahmad ‘Isa Alsheikh e Hassan Al Abud, a 3 mesi dall’inizio della rivoluzione, nello stesso periodo in cui venivano arrestati i leader e i simboli dei movimenti democratici e pacifici? Nessuna risposta. I tre militanti menzionati sono poi diventati capi di fazioni islamiste che hanno combattuto sia il regime che l’opposizione e hanno arrestato i siriani e gli attivisti anti-Assad.

Come si spiega la presenza di gruppi di siriani che si rifanno a fascismo e al nazismo, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, gruppi che arrivano a sminuire il valore della vita delle vittime, così come storicamente si faceva con le minoranze nere esposte all’apartheid e a episodi di pulizia etnica. Sembra che in Europa la protezione delle minoranze a tutti i costi valga lo sterminio dei tre quarti dei siriani.

L’islam è il problema! L’islam è la soluzione.

C’è una visione “orientalista” occidentale che non crede che il mondo musulmano non meriti la democrazia e la libertà e che esso sia nella disastrosa situazione attuale per via dell’Islam. I noti fautori di queste teorie fanno il tifo per il principale assassino in Siria, Bashar Hafez al Assad, che viene dipinto come “il presidente laico” o “quello che ha studiato nelle università europee” o come “il protettore delle minoranze” e fanno delle sue vittime la fonte del problema. Secondo loro l’islam è il problema e l’islamofobia prospera oggigiorno in molti circoli occidentali e annovera molti teorici.

L’emergere del terrorismo ha messo è complementare all’opera di distruzione del regime di Assad.

Noi qui, siamo di fronte a due teorie fasciste, che giustificano entrambe pratiche portate avanti dagli assadisti e dagli islamisti. Se “l’islam è il problema” allora genocidio dei musulmani considerati “terroristi” “arretrati e pericolosi perché musulmani” è giustificato. Se “l’islam è la soluzione” allora tutto ciò che non è compatibile con una stretta lettura dell’Islam, compresa l’esistenza stessa dei cristiani e delle altre minoranze religiose in Siria, va eliminato.

Il primo partito trova nell’Islam la “fonte dell’arretratezza” mentre il secondo partito considera l’Islam “la religione corretta”. Dimentichiamo quindi di considerare l’economia, la società, le contraddizioni, la politica, i conflitti sociali, le componenti sociali, i suoi strati sociali e i movimenti storici.

Ciò non significa che non ci siano problemi nell’Islam. Ci sono grandi problemi nel suo insegnamento e nei suoi testi. Possiamo leggere nei testi fondamentali dell’Islam delle origini parole che sollecitano la tolleranza e la giustizia, o altri testi che spingono alla violenza.  La battaglia in campo religioso non è contro i musulmani normali, ma è una battaglia per conciliare l’islam e la modernità. Una battaglia a cui devono partecipare le guide religiose moderate, una battaglia che non considera l’Islam valido per ogni tempo e luogo, e non considera l’islam di 14 secoli fa immune da critiche e da cambiamenti a cui deve essere sottoposto. L’islam oggi più che mai è chiamato ad un processo di riforma simile ai movimenti di riforma religiosa avvenuti in Europa. Questo processo non può iniziare per volontà dalle persone normali che muoiono in detenzione e sotto le armi chimiche in Siria, o che soffrono per la povertà e la disoccupazione e gli abusi o che mancano di una educazione adeguata che non viene fornita in Siria ed altrove nei paesi arabi e musulmani governati da regimi totalitari simili a quello siriano.

La trasformazione delle vittime in criminali e la giustificazione di un assassino, come fanno trai i cristiani i patriarchi di al Assad e gli uomini di religione non cristiani, è immorale e fascista, favoreggia i forti di fronte ai deboli e agli oppressi, mentre il mondo osserva le brutalità di Assad, il progetto imperialistico zarista di Vladimir Putin e la mancanza di strategia politica nella gestione americana del conflitto.

Pensieri personali in conclusione:

Non è facile parlare e scrivere sulla complicata questione confessionale in Siria e nell’oriente arabo. Come scrittori democratici e secolari abbiamo il dovere di non semplificare la questione settaria e confessionale con leggerezza. Ci sono molti scrittori ed intellettuali siriani ed arabi che appartengono a correnti politiche laiche, tanti di noi sono perfino atei nella quotidianità, e non crediamo all’inferno e alla vita al’aldilà. Eppure se dovessi immaginare l’inferno, direi che vivere con Assad e i patriarchi a lui fedeli sullo stesso pianeta sia una buona rappresentazione, e questo ci basta. Abbiamo fondato il nostro pensiero sui libri del pensatore musulmano Nasr Hamid Abu Zayd e non sui libri di pensatori secolari che avversano le religioni e non credono al diritto di ogni individuo a scegliere la sua religione o rifiutarla in modo assoluto. Credo che Papa Francesco, con le sue recenti dichiarazioni sulla Siria, dopo l’attacco chimico a Douma, sia più vicino a me e ai siriani della gente di sinistra, allineata con Al-Assad. Mi sento più vicino di chiunque altro al giornalista francese Alain Geirch con cui mi sono trovato d’accordo sulla questione palestinese.

Se potessimo raggiungere un accordo su un punto, cioè che la vita è più complessa di ogni classificazione e non si può riassumere su posizioni bipolari, allora forse inizieremmo a pensare seriamente al futuro della Siria.

Finirà un giorno la guerra e scriveremo la storia di questi ultimi anni in Siria. Ci vorranno ancora molti anni per metabolizzare processi contemporanei che coinvolgono religione e politica in un paese dove il regime si fonda su basi discriminatorie e settarie. Fino ad allora e fino a quando “l’elegante presidente” con la cravatta non sarà portato davanti a un corte penale internazionale, non possiamo che ripetere ciò che dissero tanti altri prima di noi:

“Scusateci se ci troverete così, con i volti non lavati, ma noi non siamo così in realtà, ma così è la guerra.”

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