Comprendere la situazione disperata di Ghouta

Fouad Roueiha intervista Mohammed Abdullah

Da quasi 48 ore Artino, attivista di The Syria Campaign che vive in Belgio, non dorme e non mangia per monitorare le notizie che arrivano incessanti dalla Ghouta orientale, l’area agricolta e produttiva intorno alla capitale siriana Damasco. In una escalation senza precedenti, gli attivisti contano almeno 110 vittime civili, 97 raid aerei in 48 ore. Nella sola giornata di domenica sono 24 i barili bomba che si sono abbattuti sulla città, un arma priva di sistemi di guida che colpisce indiscriminatamente che nella Ghouta non si vedeva dal 2013. Ad essere prese di mira sono aree lontane dal fronte, dove non si trovano i miliziani di opposizione, ma solo quei 380.000 civili che sono rimasti in quest’area, che prima della guerra contava oltre 2 milioni di abitanti e fino al 2014 ne aveva ancora 1 milione e mezzo. 4 ospedali, altrettante scuole, 5 insegnanti, il principale forno della zona sono stati colpiti dopo che gli aerei da ricognizione russi avevano indicato quelli che evidentemente sono i bersagli per l’aviazione lealista e quella di Mosca. Particolarmente distruttiva la strategia del “double tap”, che prevede un secondo bombardamento pochi minuti dopo il primo sulle stesse aree in modo da colpire i soccorritori ed i civili accorsi a cercare i parenti ed amici sotto le macerie.

La Ghouta è un area sotto assedio parziale da 5 anni, totale da 4, ciononostante si tratta di una delle zone che hanno offerto i migliori esempi di autorganizzazione e democrazia dal basso che si sono visti durante la rivoluzione contro Assad, con le cittadine di Dariya e Douma in testa: consigli locali eletti che gestiscono i servizi pubblici, l’anagrafe, imposte progressive, polizia civile, stato sociale e supporto ai parenti delle vittime. Qui hanno sede molte organizzazioni della società civile siriana, redazioni di riviste e giornali, studi radiofonici. Oggi siamo di fronte ad uno scenario simile a quello visto con l’assedio e poi alla deportazione della popolazione di Aleppo, ma su scala ancor più vasta e nella totale indifferenza della comunità internazionale. Eppure, la Ghouta sarebbe parte delle zone di “de-escalation” secondo gli accordi negoziati tra il garante russo e le milizie presenti in quest’area, cioè Jeish Al Islam (milizia confessionale, legata al regno saudita ma distinta dalle organizzazioni terroristiche attive nel paese) e Failaq Al rahman (brigata legata al laico Esercito Libero Siriano), accordi che sembrano valere meno della carta su cui sono scritti.

 

Tutto questo ce lo spiega nel dettaglio Artino, nella doppia veste di testimone dell’assedio tra il 2013 ed il 2014 e di osservatore per The Syria Campaign.

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