Come la Siria è diventata irrilevante per l’Occidente

Articolo di Karam Shaar, pubblicato il 24 febbraio 2022 su Aljumhuriya (Traduzione di G.De Luca)

Dopo oltre un decennio di guerra brutale e mezzo milione di morti, la stragrande maggioranza dei quali per mano di forze fedeli al regime di Assad, la situazione umanitaria in Siria non è mai stata peggiore, con il rischio imminente di una carestia che si profila all’ orizzonte. Eppure la difficile situazione dei siriani sta diventando sempre più irrilevante per i politici occidentali, come si evince dalla loro dimostrabile mancanza di interesse a spingere per una soluzione politica del conflitto. Anche il numero di volte in cui la parola “Siria” viene cercata su Google, il più grande motore di ricerca del mondo, è diminuito significativamente negli stati occidentali, indicando che il pubblico nel suo insieme, del resto, è diventato insensibile alla sofferenza siriana. La stessa tendenza appare quando si effettua una ricerca su YouTube o Google Images o quando si cerca la stessa parola in francese, spagnolo, tedesco o italiano.

In poche parole, negli stati occidentali, c’è una preponderante perdita di interesse nei confronti della Siria delle persone e i loro funzionari eletti, proprio quando il paese ne ha più bisogno.

Interesse nel tempo: motore di ricerca Google, ricerca del termine “Siria”:

Fonte: illustrazione dell’autore basata su dati di Google Trends

Quando scendemmo per le strade della Siria gridando “Herrieh, herrieh!” (libertà, libertà) nel 2011, non ci aspettavamo nulla dagli alleati di Assad, data la loro miserabile situazione in materia di diritti umani. Avevamo gli occhi puntati sull’Occidente. Nella mia casa nella vecchia Aleppo, litigavo con i miei amici che erano riluttanti a unirsi alle proteste pacifiche che ora stavano entrando in un’altra tappa, quella in cui Assad non poteva bombardarci indiscriminatamente per aver rivendicato i nostri diritti fondamentali, come fece suo padre nei primi anni ’80. Era un momento diverso. Era il nostro momento. Il caricamento di video online, speravamo, avrebbe catturato l’attenzione dell’Occidente e che il mondo lo avrebbe guardato all’istante. Le democrazie occidentali si sarebbero schierate con il cammino siriano come avevano fatto alcuni mesi prima in Egitto e Tunisia. E se il governo di Bashar al-Assad avesse deciso di ricorrere alla violenza, l’Occidente sarebbe intervenuto militarmente per proteggerci dall’urto delle sue forze, come ha fatto in Libia.

Siamo stati ingenui.

Mentre i civili venivano uccisi nelle strade, l’Occidente “condannava” la situazione e imponeva sanzioni economiche, ma nessuna forza obbligava Assad a non usare la forza contro di noi. Quattro mesi dopo – e dopo che la repressione del governo aveva portato a massicce proteste – era stato un supporto psicologico quando l’allora ambasciatore degli Stati Uniti, Robert Ford, aveva visitato le proteste di Hama per chiarire che il suo paese “era dalla parte di quei siriani che stavano esprimendo il loro diritto ad esprimersi per il cambiamento”. I paesi occidentali seguirono l’esempio offrendo simili espressioni di solidarietà, ma rimasero a guardare mentre venivamo sistematicamente massacrati dall’esercito, dalle forze di sicurezza e dalle milizie pro-regime.

L’inerzia del mondo riguardo alla difficile situazione dei siriani era stata così palese che ispirò uno slogan, reso popolare nelle strade siriane, in numerose proteste e canzoni: “Ya Allah, malna gherak ya Allah” (Oh Dio, non abbiamo nessuno tranne te [per salvaci], o Dio). I paesi occidentali, sebbene fortunatamente fornissero gran parte degli aiuti umanitari allora e lo fanno fino ad oggi, non si diedero sufficientemente da fare per fermare il bagno di sangue. La loro inazione militare derivava principalmente da due fattori: la loro mancanza di interesse per la Siria a causa della sua rilevanza economica e politica relativamente leggera e la resistenza russa e cinese a un tale intervento all’interno delle Nazioni Unite.

Il regime continuava la sua violenta repressione sotto la copertura politica sino-russa e il sostegno militare iraniano, costringendo molti siriani a ricorrere alla violenza. Ciò trasformò i disordini civili in guerra civile, dando ad Assad la tanto attesa giustificazione per usare apertamente la violenza su vasta scala con il pretesto che stava lottando contro il terrorismo.

Nell’agosto 2013, filmati di donne e bambini che non potevano respirare a seguito di un attacco di agenti nervini da parte del regime sulla Ghouta, un sobborgo di Damasco controllato dai ribelli, scossero il mondo. L’attacco era e rimane il culmine del conflitto, poiché uccidere persone con armi chimiche è particolarmente sensazionale. Cinque mesi dopo, più di 28.000 foto di orribili torture nei centri di detenzione del regime vennero portate all’attenzione del pubblico. Era ormai evidente che la barbarie del regime non era eguagliata da nessun’altra parte, in nessun conflitto, compresi i gruppi terroristici islamici.

Il livello di violenza e l’abbandono del popolo siriano da parte della comunità internazionale alimentarono ulteriormente l’ascesa di gruppi estremisti, che erano visti da alcuni di coloro che si opponevano ad Assad come le uniche fazioni abbastanza determinate da opporsi al regime. Gruppi estremisti, come lo Stato islamico o IS, hanno controllato vaste aree del paese entro il 2015 dopo molti tentativi occidentali e regionali falliti e mal coordinati di addestrare e unificare l’opposizione moderata

Con l’IS che minacciava l’Occidente, una coalizione guidata dagli Stati Uniti interveniva militarmente nel settembre 2014 per sconfiggere il gruppo terroristico, ma non per fermare le atrocità di Assad, anche se all’inizio dell’intervento militare, 167.158 vittime civili erano state uccise dal suo regime, e 861 dall’ IS. Il gruppo terroristico era responsabile quindi di quasi lo 0,5% del bilancio totale delle vittime. Evidenziando ulteriormente lo smarrimento dell’intervento, le orribili foto di Caesar che documentano l’omicidio di massa dei siriani nelle carceri di Assad sono state rivelate prima dell’arrivo della coalizione.

L’Occidente sapeva che Assad era molto più omicida di IS già prima dell’intervento. Tuttavia, poiché la sua violenza era diretta contro il suo stesso popolo e poiché le sue dimissioni erano considerate politicamente costose dato il sostegno russo e cinese al suo regime, razzi e proiettili occidentali erano puntati contro l’IS mentre Assad doveva affrontare solo l’isolamento politico ed economico.

La Siria durante la rivolta è stata poco più di un ring di pugilato per le potenze regionali e internazionali, tra cui Iran, Russia, Turchia, Stati Uniti e Israele. Nel 2019, sotto l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il rappresentante speciale degli Stati Uniti in Siria, James Jeffery, lo riconosceva inavvertitamente quando ha affermato che “[la Siria] non è un pantano. Il mio compito è renderlo un pantano per i russi .”

Mentre stavano trasformando la Siria in un campo di battaglia per le proprie guerre per procura, i politici occidentali continuavano a dare la colpa della mancanza di progressi militari sui ribelli che, sebbene siano certamente litigiosi, sono stati trascinati in direzioni opposte da sostenitori regionali e internazionali. I civili che vivono nelle aree controllate dall’opposizione sono stati – e rimangono fino ad oggi – bombardati quasi quotidianamente dal regime e dalla Russia mentre il mondo sta a guardare.

In che modo la Siria è caduta nell’indifferenza?

Da quando l’intervento per sconfiggere l’IS più di sette anni fa, è diventato chiaro ai politici occidentali che congelare il conflitto e impedirne l’estensione in altri paesi era politicamente più economico che spingere per una soluzione. Alla luce del sostegno che Assad riceve da Russia, Iran e Cina, oltre alla vera assenza di gruppi di opposizione laici e unificati, i leader occidentali vedevano la Siria come una questione da contenere, da non risolvere.

L’Occidente aveva quattro priorità in Siria, tutte ampiamente raggiunte. In primo luogo, eliminare la minaccia del terrorismo in patria sconfiggendo l’IS e altri gruppi terroristici in Iraq e in Siria. In secondo luogo, arginare il flusso di rifugiati verso l’Europa pagando i paesi vicini per tenere a bada coloro che cercavano una vita migliore in Europa. Terzo, garantire che gli agenti nervini non cadessero nelle mani sbagliate e non potessero essere usati contro i civili, disciplinando il regime con attacchi aerei limitati, anche se teatrali, a seguito di vistosi attacchi chimici. E, infine, per garantire la sicurezza di Israele, concedendogli carta bianca per intervenire sul minimo sospetto di attività che ne pregiudicasse la sicurezza.

La continua miseria dei siriani e la politica di disimpegno dal conflitto hanno alimentato la mancanza di interesse pubblico. Dopotutto, le notizie coprono ciò che è nuovo e rilevante. Il meglio che puoi sperare in questi giorni come siriano che non è ancora riuscito a scappare è un’inclinazione della testa di simpatia e cibo e tende per continuare a vivere.

Karam Shaar è un economista e ricercatore siriano

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