Articolo di Yassin Al Haj Saleh. Pubblicato il 14 febbraio 2022 su Alhumhuriya (Traduzione di G.De Luca)
Questa foto è stata scattata a casa nostra, io e mia moglie Samira Al-Khalil (Samira è la donna che mi appoggia la testa sulla spalla), nel sobborgo di Qudsaya, a ovest di Damasco, verso la fine del 2005. La foto da una misura della storia della Siria dell’ultimo mezzo secolo, senza la storia di persone con potere, denaro o influenza.
Seduta a sinistra nella foto è Razan Zaitouneh, avvocatessa, attivista per i diritti umani e scrittrice, è uno dei simboli più importanti della rivoluzione siriana, di lei si può dire che ne è un aspetto essenziale. Razan è stata la fondatrice più importante dei Comitati di Coordinamento Locale, che hanno un ruolo importante nell’organizzazione delle attività di protesta, nella copertura dei media e nella documentazione dei loro eventi. La giovane avvocatessa (aveva ventotto anni al momento dello scatto) ha vissuto più di due anni nascosta a Damasco quando è cominciata la rivoluzione, prima di riuscire a spostarsi di nascosto con Wael Hamada, suo marito, a Douma il 25 aprile 2013. A Douma, Razan ha lavorato per documentare le violazioni contro il popolo siriano da parte del più grande aggressore, il regime, e poi gradualmente anche da parte degli aspiranti trasgressori, gli islamisti. Razan è stata rapita da un gruppo armato salafita chiamato Jaysh al-Islam a Douma prima della mezzanotte del 9 dicembre 2013.

Seduta vicino a Razan, Randa Baath. È traduttrice di molti libri dal francese all’arabo, tra cui The Misery of the World in Three Volumes di Pierre Bourdieu, Love, A Brief Introduction di Ronald de Sousa, The Search for the Lost Orient di Olivier Roy , e molti altri.
Oltre a Randa, c’era suo marito Imad Shiha, che ha trascorso circa 30 anni nelle carceri del regime, tra il 1975 e il 2004. Imad faceva parte di un’organizzazione comunista araba, che aveva membri in tre paesi: Kuwait, Libano e Siria. Tutti i membri dell’organizzazione sono stati arrestati, ce n’erano a dozzine, e il peggio che hanno sofferto quelli che si trovavano in Kuwait e Libano sono stati tre anni di prigione. L’Organizzazione Comunista Araba ha effettuato un attentato a Damasco contro un obiettivo americano nel 1974, uccidendo un cittadino siriano. In un’intervista a Razan Zaitouneh, settimane dopo i suoi trent’anni di carcere, Imad riassume così il destino dell’organizzazione: “Cinque compagni hanno ricevuto una condanna a morte, eseguita il 2 agosto 1975. Otto membri sono stati condannati a 15 anni di carcere , e cinque sono stati condannati all’ergastolo. Quello che Imad non disse fu che suo fratello, Ghiath, era uno di quelli che furono giustiziati, e che lui e Faris Murad (all’estrema destra dell’magine, seduto) erano tra i condannati all’ergastolo.
Al potere in seguito a un colpo di stato militare meno di cinque anni prima, Hafez al-Assad potrebbe aver trovato in un simile evento l’opportunità di imporre insieme il monopolio della violenza, della legittimità e della giustizia. Ben presto, divenne il criterio per la legittimità del suo regime, dello stato siriano, e della Siria stessa, gettando le basi per il governo dinastico. Hafez al-Assad è assente in questa foto, ed era assente dalla vita in quel momento, dopo essere stato l’intera immagine del paese durante trent’anni di governo. Ma quest’immagine è dell’altra Siria, mista e colorata, non visibile al pubblico in quel momento.
Dopo quasi trent’anni di reclusione, Imad tradusse libri dall’inglese all’arabo e scrisse tre romanzi: Pollen, Death Desired e Remnants of the Time of Babylon. Viveva con Randa a Damasco fino a poco tempo.
Vicino a Imad c’è una ragazza siriana, un’amica di Razan, che vive fuori dal paese ma era in visita in Siria in quel momento. Il suo nome è conosciuto tra gli scrittori e gli attivisti che si occupano della causa siriana.Accanto ai ragazzi siede Fares Murad, un palestinese-siriano, nato nel campo di Neirab ad Aleppo, amico di Imad e membro dell’organizzazione, visse con lui gli eventi dell’organizzazione e della prigione. Fares è stato rilasciato nel febbraio 2004, circa sei mesi prima di Imad. Durante i lunghi anni di reclusione aveva sviluppato una spondilite anchilosante, in cui le vertebre della colonna vertebrale si uniscono, facendo piegare la schiena e comprimendo il collo, quindi faceva fatica a guardare il suo interlocutore. Anche i polmoni si comprimono tra la colonna vertebrale curva e rigida e le costole, causando mancanza di respirazione e infezioni respiratorie. Questo alla fine ha ucciso Fares, a cui è stato vietato di viaggiare e ricevere cure fuori dal paese. Fares è morto all’età di cinquantanove anni nel 2009 ed è stato sepolto a Damasco.
Per ulteriori informazioni su Fares Mourad, a questo link si può vedere l’intervista che gli fece Razan Zaitouneh.

Quello barbuto in piedi a sinistra è Shadi Kurdiya, amico di tutto il gruppo, è nato a Salamiyah, nella Siria centrale, e lì ha vissuto. Shadi, uno dei più giovani di noi, aveva circa trentacinque anni quando è stata scattata la foto. Non era un ex prigioniero politico, né un attivista politico in particolare. Ma faceva parte della comunità degli ex detenuti politici di sinistra in Siria per motivi di fiducia ed amicizia. Shadi venne arrestato due volte durante la rivoluzione siriana e torturato. Morì poco dopo il suo rilascio dalla seconda detenzione. Aveva quarantatré anni al momento della sua morte.

Al fianco di Shadi c’è Nazim Hammadi, è un avvocato, poeta e attivista per i diritti umani. Nazim è uno dei fondatori dei Comitati di Coordinamento Locale, insieme a Razan. Ha vissuto anche lui nascosto dall’inizio della rivoluzione fino a quando è stato portato di nascosto (con Wael Hamadeh) a Douma nel settembre 2013, settimane dopo il massacro chimico nella Ghouta orientale. Nazim era a Douma da appena tre mesi prima che l’esercito dell’Islam lo rapisse insieme a Razan. Dopo il suo rapimento, fu pubblicata un’opera poetica di Nazem intitolata Contro. Prima del suo sequestro, Nazem scrisse un altro libro di poesie intitolato: Le misteriose foglie di gelso.

Vicino a Nazim si trova Samira Khalil, la moglie di questo scrittore. Samira era un’attivista all’interno di un’organizzazione di sinistra contraria al regime,chiamata Partito d’azione comunista, e tra il 1987 e il 1991 ha trascorso più di quattro anni in caecere. È stata rapita con Nazim e Razan e il suo destino è sconosciuto dalla notte del 9 dicembre 2013. Dopo il suo rapimento, è stato pubblicato un libro contenente i suoi diari manoscritti sulle condizioni di vita a Douma, assediata ed esposta ai bombardamenti del regime. Il libro include anche alcuni dei “post” che Samira ha pubblicato sulla sua pagina Facebook. The Siege Diaries in Douma 2013, questo è il titolo del libro, tradotto in spagnolo, italiano e francese e la traduzione in inglese è completa, ma non è stata ancora pubblicata.

Accanto a Samira, suo marito; sono stato anche io un prigioniero politico di sinistra per circa 16 anni, tra il 1980 e il 1996, perché appartenevo a un’altra organizzazione di opposizione comunista chiamata Partito Comunista Siriano – il Politburo. Dopo il carcere, ho conosciuto Samira, e la nostra relazione e poi il nostro matrimonio hanno segnato l’inizio del mio lavoro di scrittore. Vivo fuori dalla Siria dall’ ottobre 2013, prima in Turchia, e da settembre 2017 mi trovo in Germania.
Dietro la fotocamera c’è Wael Hamada, il marito di Razan. È anche lui un attivista per i diritti umani e politici dell’opposizione, e uno dei fondatori dei Comitati di Coordinamento Locale. Wael è stato arrestato due volte dal regime e l’ultima volta è stato all’aeroporto di Mezzeh, controllato dalla Quarta Divisione, la formazione militare fascista guidata da Maher al-Assad, fratello di Bashar, dove alcuni hangar sono stati trasformati in un campo di tortura . Wael è andato a Douma per la prima volta di nascisto con Razan il 25 aprile 2013, ma l’uomo, coraggioso, è tornato a Damasco, riprendendo la sua attività rivoluzionaria, prima di tornare a Douma e stabilirsi lì nel settembre 2013. Wael è stato rapito con Razan, Nazim e Samira la sera del 9 dicembre 2013.

Faris e Shadi se ne sono andati prematuramente. Razan, Nazim, Samira e il nostro fotografo, Wael, sono scomparsi da più di otto anni. Imad e Randa perseverano in una vita di resistenza alla morte e recentemente sono stati costretti a lasciare la Siria per motivi medici. La giovane donna che ha vissuto gran parte della sua vita fuori dalla Siria continua a lavorare in modi diversi.
Ci sono due dettagli molto importanti nell’immagine sopra. La prima è una foto in rosso e nero a destra della mia testa di Samir Kassir. Samir, giornalista, storico e attivista libanese, è stato assassinato a Beirut nel giugno 2005, poco dopo il ritiro forzato delle forze del regime di Assad da Beirut nell’aprile 2005, aveva quarantacinque anni. Samir ha avuto un ruolo importante sul campo della rivolta libanese che ha preceduto questo ritiro, e molto probabilmente è stato assassinato da un ordigno esplosivo posto sotto la sua auto a causa di questo suo ruolo. L’assassinio di Samir faceva parte della reazione del regime di sicurezza siro-libanese per il ritiro, ed è noto che faceva parte di una serie di omicidi iniziati con l’assassinio di Rafik Hariri, l’ex primo ministro libanese, nel febbraio dello stesso anno , omicidi che inclisero altri politici e professionisti dei media libanesi. Samir è il primo intellettuale libanese (e siriano), con radici familiari palestinesi e siriane, a collegare l’indipendenza del Libano con la democrazia della Siria. Aveva pubblicato un libro con quel titolo. Circa un anno prima del suo assassinio, Samira ed io eravamo a Beirut, e lì abbiamo incontrato Samir, abbiamo girato un po’ e ci siamo fatti delle foto. Samir ha firmato per noi due libri appena pubblicati: Democrazia siriana e Indipendenza del Libano, e Di chi è l’esercito? Dopo questo viaggio a Beirut, mi è stato impedito di viaggiare, quindi non ho potuto partecipare al suo addio.
Un altro dettaglio sono i libri sullo sfondo della foto. Questa è la nostra biblioteca, di Samira e mia, nella nostra casa in affitto a Dahiyat Qudsaya. I libri vennero posti in scatole di cartone, che a loro volta vennero depositate in un altro luogo a Damasco. Samira era assente qualche settimana fa quando la casa è stata evacuata, e alcuni dei nostri cari si sono presi cura dei libri rimasti, io ero già fuori dalla Siria in quel momento.
Ne I resti di Auschwitz , Giorgio Agamben, pensando ai campi di concentramento nazisti, parla del paradosso del testimone: chi ha visto tutto non testimonia perché non è un sopravvissuto, e chi è sopravvissuto non ha visto tutto e la sua testimonianza è incompleta. La testimonianza non è quindi possibile, e non ci sono testimoni di ciò che è più necessario: eventi del destino umano dall’arresto, dalla tortura e dallo stupro, seguiti dall’omicidio o dalla scomparsa. Chi pensi abbia assistito a tutto? Samir? Faris? Samira, Razan, Wael e Nazim? Testimoni completi, nessuno di loro è tornato a testimoniare. Sono testimoni senza testimonianze registrate. Le loro testimonianze sono loro stessi, la loro assenza o la loro partenza.
In arabo c’è un rapporto etimologico tra il martire e il testimone, su cui possiamo basarci e sul paradosso di Agamben secondo cui il martire (e la parola è una forma esagerata del nome del soggetto testimone) è il vero testimone; la testimonianza di uno di noi non è completa senza il suo martirio, perché solo arrivato a quel punto ha assistito a tutto. Ma i martiri non tornano dalla morte per raccontarci tutto quello che gli è successo. Quelli che raccontiamo siamo noi che non siamo stati martirizzati e non testimoniamo tutto. Ma stiamo vedendo. Testimoniamo che siamo sopravvissuti e non siamo sopravvissuti allo stesso tempo. La nostra sopravvivenza a ciò che è successo ai nostri cari e amici è un’opportunità per presentare una testimonianza, inoltre non siamo sopravvissuti all’esperienza perché portiamo con noi coloro che sono partiti e coloro che sono assenti, perché non siamo più, dopo la loro assenza, come eravamo prima. Perché noi, come attivisti dell’assenza, siamo in qualche modo assenti, e quindi la nostra stessa sopravvivenza è una continua testimonianza per coloro che sono assenti. Forse è questo che rende più probabile la nostra testimonianza, anche se incompleta. Noi, il resto dei sopravvissuti, testimoniamo ciò che è dopo, mentre l’immagine testimonia ciò che era prima: su uno o due paesi, uno o due regimi, quattro donne e sei uomini, e un martire.

Forse Samira, Razan, Wael e Nazim, come scomparsi, sono in un rango esistenziale diverso dalla vita, anche se le vite degli scomparsi sono sospese, è una condizione differente da quella della morte perché manca la certezza sul loro destino (la certezza è una metafora della morte in arabo). Forse sono prigionieri dell’assenza e della smentita da parte dei colpevoli e dell’occultamento dei cadaveri (se sono stati uccisi) affinché non testimonino, in modo che non possano puntare il dito contro i malviventi o dire loro: Voi siete coloro che hanno fatto questo! Nel loro stesso ordine esistenziale, velato sia dalla vita che dalla morte, gli scomparsi hanno assistito a tutto e possono aver perso la vita per non testimoniare tutto ciò a cui hanno assistito. È esatto dunque quando si dice che i criminali sanno di essere criminali, e che gli assenti sono i testimoni perfetti.
Nella foto oltre 24 anni di violazioni, oltre 80 anni di reclusione, un omicidio randagio, due morti premature, anni di vita in sospeso. Queste esperienze hanno costituito l’identità della Siria e non solo l’identità del Libano per quasi cinquant’anni.

Ma in essa c’è la vita, le nostre vite, gli amici, le donne e gli uomini, ci incontriamo di tanto in tanto durante una cena prendendo un bicchiere di arak o di vino in una delle nostre case. Durante questi incontri discutiamo dei nostri affari privati e pubblici, ci scambiamo informazioni e assistenza, e alle volte cantiamo e balliamo. Questa era una forma di incontro e politica nella “Siria di Assad”, dove non ci sono organizzazioni politiche o sociali indipendenti e non ci si può dunque riunire nelle varie sedi e discutere di affari pubblici, dei quali non si puoi parlare nemmeno nei caffè o nei ristoranti, essendoci probabilmente qualche infiltrato ad ascoltare le conversazioni.
Abbiamo lavorato per vivere una vita normale nelle nostre case e alla fine è stato dimostrato che questo è impossibile. La vita ordinaria ha bisogno di una vita pubblica ordinaria, cioè di una vita ordinaria per tutti. La vita ordinaria è molto politica. E in Siria consentita dalla sovranità, dall’eccezione e dalla rottura dell’abito, nessuno vive una vita normale, né chi viene arrestato, rapito torturato e ucciso.