A Samira al-Khalil: una pianta che fiorisce nel cuore dell’inverno

il

Pubblicato il 9 dicembre 2021 su Alhumhuriya

Di Mohammad al-Attar
Traduttrice dall’:arabo all’inglese: Julia Choucair Vizoso
[Nota dell’editore: questo articolo è stato pubblicato in arabo come parte di “About Samira and for her” un dossier di testi su Samira al-Khalil e lettere indirizzate a lei da amici, pubblicato il 9 dicembre 2021, otto anni dopo il rapimento degli attivisti di Doma 4: Razan Zaitouneh, Samira al-Khalil, Wael Hamada e Nazem Hammadi da parte di Jaish Al-Islam.]

Traduzione all’italiano di G.De Luca.


Ho esitato a scrivere di Samira al-Khalil, o a scriverle.

La storia di Samira è una ferita aperta condivisa per i siriani, un simbolo della nostra rivoluzione schiacciata. Per me, è anche una fonte di profondo dolore e lutto personale. Porto ricordi di 15 anni di incontri intermittenti con Samira. Incontri avvenuti durante momenti formativi critici per me, momenti che sono venuti a definire i percorsi che avrei seguito, o i percorsi che mi sono stati imposti.

Per riassumere la storia, ho selezionato tre incontri, distanti nel tempo e nelle circostanze.

Il Germoglio

All’inizio degli anni 2000, mi sono trovato spinto dallo zelo sinistra ad approfondire le questioni della libertà e della giustizia sociale in Siria. Sono stato stimolato dal breve momento di speranza che abbiamo soprannominato la “primavera di Damasco”, prima che fosse abortita dal regime di Bashar al-Assad. Il mio impulso era libero dal bagaglio ideologico che incontravo in riunioni piene di uomini con facce imbronciate, riunioni che mi lasciavano riluttante ad aderire a qualsiasi organizzazione politica dell’epoca.

La lettura era diventata il modo più efficace per conoscere l’opposizione siriana e mi ha portato agli scritti di Yassin al-Haj Saleh. Chi era questo Yassin che aveva scritto con tanta chiarezza, tanta audacia dal cuore della Siria? Affascinato da tanto coraggio, volevo incontrarlo. Amici in comune mi hanno raccontato della storia di Yassin e Samira, della coppia di innamorati che erano stati prigionieri politici. Accusata di appartenere a organizzazioni di sinistra, Samira ha trascorso quattro anni in carcere, mentre Yassin è stato condannato a sedici. Grazie alla mediazione dei nostri amici, è stato deciso che avrei incontrato Yassin e Samira nella loro casa nel sobborgo di Qudssaya. Era la primavera del 2003.

Nervoso per l’incontro, non volevo presentarmi a mani vuote. Ho comprai una pianta di Monstera in un piccolo vaso. Per me è stata una decisione strana e inaspettata. All’epoca non avevo alcuna conoscenza o interesse per le piante.

Passai l’intera giornata prima del nostro incontro a ricordarmi di non fare domande sulla loro permanenza in prigione. Fallì miseramente. Eppure la mia eccitazione e la mia sfida erano solo in parte da biasimare. Il calore in cui mi avvolsero Samira e Yassin mi fece sentire non il ragazzo che ero ancora, ma come un vecchio amico che si ricongiungeva con loro dopo una lunga separazione. L’ospitalità di Samira è stata eguagliata solo dalla sua natura gentile e da un sorriso timido la cui gentilezza mi ha sopraffatto.

Quel giorno ho lasciato quella piccola casa con grandi idee. Più tardi, avrei appreso da Yassin quanta buona impressione avesse fatto la piccola pianta su Samira e come le avrebbe ricordato per sempre me. Ogni volta che lo ricordo, sono pieno di una gioia indescrivibile.

Come un angelo custode

Il 13 giugno 2011, vicino alla moschea al-Hassan nel quartiere al-Midan di Damasco, le forze di sicurezza dispersero con la violenza la “manifestazione degli intellettuali” come quella protesta fu stata chiamata – un nome che non mi è mai piaciuto.

Ci sparpaqliammo lungo le strade laterali. Mentre riprendevo fiato, cercando di capire quali amici erano stati arrestati e quali se ne erano andati, Samira apparve con due dei nostri amici. Era sorridente e calma, come un angelo custode. Fu allora che mi resi conto che anche lei era stata alla protesta e ora stava cercando di controllare tutti. Parlammo brevemente e lei se ne andò, solo dopo averle assicurato che avrei lasciato il quartiere immediatamente. Quello è stato il mio ultimo incontro con Samira.

Una ninna nanna

Era una sera di metà agosto del 2013 nella casa della famiglia di Yassin a Raqqa, dove viveva nascosto. Andavo a trovarlo lì dopo le tante ore trascorse al laboratorio teatrale che stavo creando in città con un gruppo di ragazzi e ragazze. Alcuni di questi giovani sarebbero poi stati uccisi dai raid aerei del regime. Altri sarebbero stati rapiti dalle forze dell’ISIS, il loro destino è ancora sconosciuto. Coloro che sono sopravvissuti sono ora dispersi nella diaspora.

Ero seduto a un’estremità del soggiorno, che era composto da due stanze che si aprivano l’una sull’altra. Dall’altra parte, Yassin stava concludendo una chiamata Skype con Samira, che si trovava nella Ghouta orientale assediata. Ero esausto. Era stata una giornata torrida e avevo appena divorato un’abbondante porzione di Deiri Kabab per completare il tutto. Mentre sorseggiavo del tè aspettando Yassin, chiusi gli occhi. Potevo sentire Yassin e “Sammur”, come gli piaceva chiamarla, salutarsi mentre rideva. Avrei davvero voluto che quella chiamata non finisse mai. Era difficile restare svegli su quel comodo divano, e la voce di Yassin e la risata di Sammur cantavano come una ninna nanna lontana.

Quella è stata l’ultima volta che ho sentito la voce di Samira. Ho lasciato Raqqa due giorni dopo non sapendo che sarebbe stata l’ultima volta che avrei messo piede in Siria. Desidero rivivere quella sera, quella ninna nanna.

Samira

La storia di Samira – prima, durante e dopo la rivoluzione – incarna la storia della Siria. Il suo partner Yassin lo ha detto lui stesso spesso, nei suoi scritti a Samira 1, come in “Samira and Syria”, un capitolo di Samira al-Khalil: Diaries of the 2013 Douma Siege.2

Poiché ci viene negata la verità su quello che è successo a Samira e ai suoi amici dopo che sono stati rapiti, perché ci viene negata la giustizia ovunque in Siria, ondate di dubbio e disperazione ci assalgono ogni giorno. L’amarezza minaccia di diventare il nostro pane quotidiano. Eppure ricordiamo la storia di Samira e di suoi compagni. Ricordiamo le storie di altri siriani scomparsi, di chi è morto nelle carceri o sotto le macerie. Ricordiamo tutta la generosità, il coraggio e la nobiltà di queste storie. E sappiamo che siamo sconfitti solo se diventiamo vittime amareggiate.

Siamo ancora in grado di ricordare e di raccontare. Siamo ancora in grado di pensare e di ricorrere anche all’immaginazione, di immaginare condizioni che preservino la dignità di quelli di noi ancora in vita e di quelli di noi che sono scomparsi e defunti.

È quello che Samira è sempre stata in grado di fare. In uno dei suoi post dal cuore dell’assediata Douma, scrive: “Mi chiedo se il jet da combattimento potrebbe volare più in alto in una forza magnetica tra le nuvole che lo inghiottirebbe prima che possa inghiottire la vita di quelli sotto”. Nonostante la sua determinazione a documentare gli orrori dell’assedio e dei massacri di Ghouta, Samira si rifiutò di cedere a un linguaggio amaro e risentito. Ha insistito sull’ottimismo, ha fatto ricorso al sarcasmo e l’arguzia, dando libero sfogo al pensiero e all’immaginazione capaci di sfidare l’assedio più duro.

Circa due anni fa, ho sviluppato un’abitudine insolita di prendermi cura con molta attenzione delle piante d’appartamento. Questa trasformazione era un mistero per me. Un caro amico ha scherzato sul fatto che fosse un sintomo di un uomo single che compiva quarant’anni. Potrebbe aver avuto ragione! Ma non conosceva tutta la storia. Non gli ho detto che, dopo mesi di convivenza, do un nome a ogni pianta… né che a volte, quando innaffio le piante, parlo con loro, seguendo i consigli che avevo letto su qualche sito specializzato. Quando a Berlino arriva il lungo e cupo inverno, arriva anche la mia ansia per il benessere delle piante. Uno di questi è simile al Monstera che ho regalato a Samira e Yassin quasi vent’anni fa. Delle sue sorelle, questa è la pianta che mi sembra abbia la possibilità di sopravvivere alla lunga oscurità invernale. Non è un caso che l’abbia chiamata Samira.

[1. Tra luglio 2017 e dicembre 2019, Yassin al-Haj Saleh ha inviato 15 lettere a sua moglie Samira al-Khalil descrivendo cosa è successo da quando è stata rapita. Le lettere sono disponibili qui in inglese. (ed.)

2. I diari sono stati raccolti da Yassin al-Haj Saleh, il marito di Samira; includono esperienze quotidiane annotate da Samira su fogli e sul suo account sui social media durante l’assedio di Doma, comprende oltre a testi su Samira e il suo rapimento. Il libro è stato pubblicato in arabo e tradotto in spagnolo (da Naomí Ramírez Díaz) e italiano (di Giovanna de Luca e Sami Haddad), e sarà presto pubblicato in francese e inglese. (ed.) ]

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