Di Yassin Al Haj Saleh
Pubblicato il 19 agosto 2020 su Al- Jumhuriya
Traduzione di Giovanna De Luca
La carestia che incombe oggi sulla Siria non è causata dalla mancanza di cibo, ma dalle politiche consapevolmente adottate dal regime di Assad durante molti anni, secondo quanto sostiene Yassin al-Haj Saleh.
[Nota del redattore: ció che leggerete di seguito è una versione modificata di un webinar in cui l’autore era uno dei protagonisti, nel luglio 2020, il titolo della serie di webinar era “The Syrian Revolution: A History from Below.”]
Secondo recenti stime delle Nazioni Unite, circa il 90% della popolazione siriana vive al di sotto della soglia di povertà di 2 dollari al giorno. 9,3 milioni di siriani hanno bisogno di assistenza alimentare, mentre 1,4 milioni soffrono di carenze nutrizionali di base. In questo momento, non è esagerato parlare di una minaccia imminente di carestia; potrebbe anche essere imperativo suonare il campanello d’allarme. A mio avviso, questa carestia imminente equivale alla fame pubblica e all’estensione con altri mezzi del democidio – per usare il termine di R. J. Rummel – che è in corso in Siria da quasi un decennio.
La grave povertà non è affatto una nuova condizione in Siria. Il processo di impoverimento era già in atto prima della rivoluzione, sebbene si sia intensificato nell’ultimo decennio. Il regime ed i suoi alleati attribuiscono le difficoltà sociali alle sanzioni occidentali, l’ultima delle quali è arrivata con il nuovo Caesar Act degli Stati Uniti, lo scorso giugno. Ciò può essere circostanzialmente vero, sebbene le sanzioni si limitino ad aggravare una dinamica di impoverimento globale già esistente. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2007, circa il 37% della popolazione era sotto la soglia di povertà . Questa percentuale è aumentata notevolmente dopo la rivoluzione, raggiungendo l’80% entro il 2018.
Molti tendono a collegare questo impoverimento alla neoliberalizzazione dell’economia siriana nei primi anni del governo di Bashar al-Assad, soprattutto nel 2005 e dopo. Direi che si puó fare riferimento invece a quella che dovrebbe essere chiamata privatizzazione statale; un processo identico alla storia politica della Siria sotto il governo del padre di Bashar, Hafez, processo andato avanti duranti 30 anni. Il fatto che Hafez abbia lasciato il potere a suo figlio nel 2000 è stato solo il culmine della privatizzazione dello stato, sorvegliato da un apparato di sicurezza altamente settarizzato, supportato a sua volta da formazioni militari d’élite ugualmente settarizzate. La neoliberalizzazione dell’economia nel primo decennio del governo di Bashar era solo un aspetto del più ampio processo di privatizzazione dello Stato. La controparte indispensabile della privatizzazione dello Stato è l’assoluto impoverimento politico della popolazione. Per povertà politica intendo negare alle persone il diritto di parlare di questioni pubbliche e di riunirsi in spazi pubblici, o anche in spazi privati, come si è visto pero la Primavera di Damasco all’inizio degli anni 2000. Nei decenni precedenti, molte organizzazioni politiche indipendenti e di opposizione sono state distrutte; la stragrande maggioranza dei loro membri è stata arrestata, torturata e incarcerata per molti anni. Nel 1980, i sindacati di avvocati, medici, ingegneri e altri professionisti sono stati smantellati, e molti dei loro membri di spicco arrestati e incarcerati per anni. Furono ristabiliti solo nel 1981 dopo che il regime ne prese il controllo.
In assenza di organizzazioni popolari, sindacati indipendenti e libertà di espressione, i compari del regime sono stati in grado di accumulare grandi fortune. Sono stati coloro che sono conosciuti come abna ’al-mas’uleen (” i figli degli alti funzionari “) che hanno guidato la” liberalizzazione” dell’economia siriana nel primo decennio di questo secolo. Lo stesso Bashar è uno di loro. Suo cugino Rami Makhlouf è, o forse era uno di loro, uno, così come i figli di Mustafa Tlass e Abd al-Halim Khaddam.
La povertà in Siria non è affatto una questione di mancanza di risorse; si tratta precisamente di monopolizzare le risorse pubbliche a vantaggio di una nuova borghesia statale. Questo è il modello strutturale rispetto al quale deve essere compresa la situazione attuale. Il fatto che la lotta sociale abbia assunto forme estremamente violente nel paese è una cosa fortemente connessa all’emergere di una classe privilegiata; una sorta di aristocratica borghesia statale che si concepisce superiore a coloro che governa, a cui è attribuito uno status subalterno. Questa classe immagina persino di avere una missione civilisatrice, che alle volte ha chiamato “modernizzazione” e “laicità” durante la rivoluzione siriana (sperando di vendere questa missione al pubblico islamofobo in Occidente).
La rivoluzione è scoppiata contro l’appropriazione delle risorse pubbliche, da parte dello Stato stesso. Qui, intendo dal punto di vista dello Stato come risorsa pubblica, anzi, la risorsa pubblica, la povertà politica e la povertà economica convergono. Era istintivamente chiaro a molti siriani che appropriarsi della politica, dell’assemblea e della parola sarebbe stata una condizione importante per “espropriare gli espropriatori”. Le manifestazioni erano, appunto, sforzi popolari per possedere la politica. Gli espropriatori hanno fatto ricorso alla guerra per proteggere i loro estremi privilegi. Prima della rivoluzione, la Siria di Assad era uno stato di tortura, e ora la sua guerra non è che una continuazione della sua tortura sistematica.
Due esempi dimostrano l’utilizzo dei bisogni fondamentali come armi – cibo e medicine in particolare – nella guerra tortuosa del regime. Nel 2012, gli aerei da guerra del regime hanno preso di mira le persone che facevano la fila davanti alle panetterie nei distretti di Hama e Aleppo. Il massacro di Halfaya, nel quale sono state uccise almeno 93 persone, è stato il più famigerato di questi attacchi dal cielo. Eppure ancora più significativi sono stati gli assedi imposti a molte regioni: Madaya, Zabadani, il campo profughi di Yarmouk, la Ghouta orientale, Aleppo orientale e l’elenco potrebbe continuare. Queste aree sono state assediate, martellate da barili bomba e altre armi ed i loro abitanti affamati . C’era anche uno slogan in rima per riassumere la missione nichilista dell’assedio: al-joo` aw al-rukoo`! (“Mangi solo quando ti arrendi!”)
Quello che vorrei dire è che la carestia che incombe oggi equivale a una fame imposta deliberatamente e dovrebbe essere vista come una pratica estrema della guerra sociale che il Primo Mondo interno della Siria ha condotto contro il suo Terzo Mondo interno ribelle.
Bombe a cilindro, massacri chimici, stupri, torture e omicidi nelle prigioni sotterranee dovrebbero essere percepiti come modalità di lotta sociale adottate da una classe estremista la cui ideologia è lo Stato; più precisamente lo stato superficiale o apparente, che è pan-siriano e completamente privo di potere, che agisce come un pesante hijab istituzionale di fronte al complesso di sicurezza familiare che governa il paese da mezzo secolo: lo stato interno, o stato profondo.
Per concludere, la minaccia della carestia è una continuazione della fame come metodo di guerra sociale. Ciò a cui mira quest’ultima è la perpetuazione del sistema di povertà politica assoluta. Il punto di partenza analitico dovrebbe quindi essere il processo di fame politica come ambiente ideale per “l’accumulazione primitiva”, da cui si passa alla fame come arma di guerra, quindi all’attuale minaccia di carestia. Politicamente, da questo si dovrebbe dedurre che “espropriare lo stato dai suoi espropriatori” è il primo passo verso il possesso della politica, che è una precondizione per evitare le carestie, secondo Amartya Sen. Questo è l’opposto dell’approccio adottato dagli studi sullo sviluppo liberale, dove si postula che lo sviluppo economico porti all’apertura politica. Ma non dovrebbe essere pensata come una teoria politicista da applicare dogmaticamente ovunque. Invece, riflette semplicemente una struttura di negazione attiva e globale dell’organizzazione e dei diritti politici.
Dati recenti mostrano un aumento dei tassi di criminalità e suicidio, anche tra i bambini. Il clientelismo e il mercenarismo, compreso l’invio di siriani a combattere in Libia da parte dei russi e dei turchi, sono in parte motivati dalla povertà e dalla disperazione di un numero crescente di siriani, in particolare quelli che nel 2011 hanno cercato di prendere il loro paese, e sono stati puniti crudelmente durante questo lungo decennio. È la tragica storia di una rivoluzione schiacciata in modo impossibile.