Articolo originale di Marcelle Shehwaro
Traduzione di Francesca Scalinci, revisione di Francesco Petronella
(26/12/2016)
Questi dovrebbero essere giorni di gloria, i giorni della nascita di Gesù Cristo, il Dio d’amore, giustizia e pace. Ma che tipo di Cristo sta nascendo oggi nel nostro mondo?
Se Gesù Cristo venisse a noi oggi, passeremmo un bel po’ di tempo a porci domande sulla sciarpa che ricopre il capo di Maria; chiuderemmo la porta in faccia al pover’uomo (Giuseppe, ndt) e a sua moglie, incinta. È proprio dalle nostre case che Gesù verrebbe cacciato e siamo noi quelli che lo obbligherebbero a nascere in una grotta.
Se Gesù Cristo venisse a noi oggi, passeremmo tanto tempo a mettere in discussione la sua professione. Solo un falegname proveniente dal Medio Oriente! Praticamente un signor nessuno, incapace di parlare lingue straniere. E vuole cambiare il mondo? Che ingenuo.
Se Gesù venisse a noi oggi, accuseremmo i Re Magi di essere di parte e i pastori verrebbero arrestati prima di poter diffondere la buona novella. Forse avreste mostrato loro solidarietà, o forse no.
Se Gesù venisse a noi oggi, in fuga da Erode, crederemmo alla versione della storia di Erode. Oppure discuteremmo e scriveremmo articoli chiedendoci: “E se Erode avesse ragione nel voler uccidere Gesù? E se Gesù un giorno diventasse una minaccia?” Oppure parleremmo semplicemente per luoghi comuni e ci adageremmo su frasi familiari come “Le cose sono complicate laggiù”.
Eppure festeggiamo ancora. Oggi i nostri alberi di Natale sono più grandi e ancora più grandi sono le statue della Vergine Maria dinanzi alle quali preghiamo, piangiamo e imploriamo perdono per esserci dimenticati di un’altra Maria, rannicchiata in un campo profughi a pochi metri da noi.
Eppure festeggiamo. Le nostre strade sono piene di luci scintillanti che ci aiutano a dimenticare che il Buon Samaritano di oggi è un’organizzazione no profit ossessionata dal riportare la storia di successo di un uomo ferito appena salvato, in modo da accrescere il proprio successo e aumentare il numero di beneficiari. Ciononostante non abbiamo tempo per un sorriso.
Sì, siamo cristiani, ma non vogliamo un Cristo che non ci assomigli. Il Cristo che vogliamo è alla moda, non uno che porta i vestiti in una busta o che va in giro con sandali consumati. Uno che parli bene l’inglese e che – prima di predicare amore – possa fornire garanzie per difendersi dall’accusa di terrorismo.
Sì, siamo cristiani, ma abbiamo paura di ebrei, musulmani, arabi, afghani e di tutti coloro che non sono “noi”. L’amore è selettivo e si basa sulla classe e l’affiliazione religiosa. Tuttavia, per qualche ragione, Gesù Cristo si è scordato di fare menzione di queste cose e ha parlato di amore per tutti.
Sì, siamo cristiani ma se oggi i profeti viaggiassero per il mondo per portarci il loro messaggio, annegherebbero in mare o si prenderebbero una pallottola alla frontiera, perché – naturalmente – sarebbero sospetti.
Quale Cristo nasce oggi tra noi, quando tutti i “fratelli” su cui ci farebbe domande il giorno del giudizio sono sotto assedio, intrappolati e uccisi nei campi?
Accumuliamo i nostri talenti in banca così che un giorno possiamo andare in vacanza e fare tante foto da postare sui social media, per raccontare ad amici, che di solito non abbiamo tempo di amare, quanto siamo felici.
Quale Cristo nasce tra noi oggi, quando vogliamo “seguire” qualunque cosa eccetto la stella che porta alla mangiatoia? Se l’albero di Natale che ergiamo ogni anno nelle nostre case è simbolo di nuova vita, in quale vita noi, addolorati, riponiamo speranza nella nostra morte quotidiana?
Oggi sono una rifugiata che non ha un luogo da considerare abbastanza casa da poterci festeggiare, fare l’albero e aspettare i regali. E tra pochi giorni la mia città natale sarà perduta per sempre.
Una volta introdussi clandestinamente un albero di Natale ad Aleppo Est. Per me era un simbolo, un modo di difendere la mia identità di fronte all’Isis. L’amico che mi aiutò era musulmano. Oggi vive sotto le bombe. Erano tutti musulmani, gli amici che mi aiutarono a decorare l’albero. Oggi sono tutti sotto assedio e sotto minaccia di esecuzioni sommarie.
Avevo un albero di Natale che mi piaceva pensare fosse un simbolo di Annunciazione nel cuore della Distruzione. Oggi è diventato, come tutto in Siria, il simbolo della tomba.
È doloroso anche solo cercare di sperare e scrivere propositi per il nuovo anno. È doloroso che il tuo desiderio più grande per Natale sia la deportazione forzata di coloro che, credi, si battano per una giusta causa. Se costoro sono assediati, bombardati e uccisi, come farà la terra ad avere nuovamente il suo sale?