Scritto da Giovanna De Luca
“…Legge i miei libri
Mi racconta fiabe
Di viaggi…
Volando sulle parole…”
Questi versi sono un inciso di una poesia di Nazem Hamadi, poeta, avvocato, attivista, rapito a Douma (Al-Ghouta orientale, zona rurale che circonda Damasco) la sera del 9 dicembre 2013 mentre era nell’ufficio del VDC (Violation Documentation Center), dove stava lavorando insieme ad altri colleghi attivisti: Samira Khalil, Wael Hamada e l’avvocatessa Razan Zaitouneh.
Un gruppo di uomini incappucciati entrarono nell’ufficio e li portarono via, da allora non si sa dove siano.
Molti indizi lasciano intendere che a rapirli fu il gruppo Jaish Al Islam, gruppo jihadista che faceva la voce grossa a Douma (una mafia in stile assadista, però con barba che cercava di imporre la proprie regole e leggi di carattere settario agli abitanti del posto). I quattro attivisti avevano preso parte alla rivoluzione e alle proteste contro il sanguinario regime di Assad (che li conosceva bene e voleva zittirli) del quale denunciavano i crimini, ma non stavano zitti nemmeno davanti a comportamenti scorretti del Free Syrian Army o alle angherie commesse da gruppi islamisti come Jaish al Islam. Nel 2013 la Ghouta orientale fu messa sotto assedio dal regime di Damasco (la popolazione era vessata da fame, freddo, mancanza di beni di prima necessità e bombardamenti quotidiani); è stata poi ripresa dalle truppe del regime siriano lo scorso aprile e Jaish al Islam ha dovuto abbandonare la zona ma non ha fornito nessuna indicazione su dove si trovassero i quattro attivisti rapiti.
Ma chi sono Nazim, Wael, Samira e Razan?
E cosa ci facevano a Douma?
Nazem Hamadi è un avvocato (si occupava di prigionieri politici) un attivista, un poeta.
Già ricercato da Assad viveva da tempo in clandestinità.
A Douma, oltre a collaborare con il VDC, fondato da Razan Zaitouneh, e a documentare i crimini commessi dalle varie parti in lotta nel paese, si occupava di portare beni di prima necessità alla popolazione vessata dall’assedio e dalla morte lanciata sotto forma di bombe dagli aerei del regime.
Nazim, anima gentile, ha scitto una raccolta di poesie intitolata “Le oscure foglie del gelso” e la poesia che segue è stata scritta da lui.
Viaggio*
Non varcare l’estate dimenticando…
Dice:
Precedendomi come un bambino
al mio letto
legge i miei libri
mi racconta fiabe
di viaggi…
Volando sulle parole
ci sorprendiamo scalzi
su di un marciapiede che la pioggia non bagna
L’amore più bello…
un cervo irrequieto, ossessionato
si ripara nelle canzoni all’ombra dell’erba
Le chiede:
Qui, sono spuntate le ali al mio nome ed è scomparso
Riconoscerò me stesso
Dopo questo luogo e questo viaggio…?
Viaggio…
Come un sogno che si specchia nell’acqua
Ondeggiante
Ostile
Sussurra alla sua immagine:
Ti ho voluto abbastanza bene?
Che sia benedetta la tua anima
Che sia benedetta la tua anima
Viaggio
Ti domando:
Perché le rose vanno in giardino
Senza sangue..?!
…
Mi chiedi:
Perché temo i fiori del sole…?!
Abbiamo lasciato così un posto ambiguo
Tenendoci mano per mano
Percorrendo due strade differenti
Un viaggio
Adesso a casa mia non rimane
Che l’aria
Carica dei tuoi ultimi respiri.
Ieri…
Gli ho comprato una bambola
Perché come me
Ha bisogno di ridere”
Wael Hamada collaborava con il VDC e si occupava di aiutare la popolazione di Douma in difficoltà. Wael è marito di Razan Zaitouneh; si conobbero all’epoca delle proteste contro la guerra in Iraq. Il fatto che partecipasse alle manifestazioni contro il governo siriano e che fosse sposato con Razan Zaitouneh, ferma oppositrice al regime degli Assad, costò a Wael vari mesi di torture nelle carceri del regime.
Anche Samira Khalil era stata in carcere, dal 1987 al 1991; dissidente politica, faceva parte del Partito Comunista dei Lavoratori, inviso al regime.
Samira aveva sposato Yassin Al Haj Saleh, che aveva passato 16 anni nelle carceri siriane anch’egli per la sua militanza in un partito che andava contro l’ideologia del governo.
Quando cominciò la rivoluzione i due si unirono alle proteste e quando Samira venne a sapere che era ricercata dalla polizia siriana decise di trasferirsi a Douma, città liberata dove già risiedeva l’amica Razan. Era l’iniziò dell’estate del 2013.
Samira ha scritto delle note, dei testi, nei quali narra le circostanze dell’assedio. Insieme a Razan riuniscono un gruppo di donne e promuovono attività affinchè queste ultime potessero imparare ad avere un minimo di indipendenza economica nel mezzo della dura condizione che stavano vivendo. Samira si sentì subito come se fosse stata del posto, la sua empatia con le persone che vivevano a Douma ha fatto si che riuscisse a raccogliere molte testimonianze di quell’orrore.
In uno dei suoi scritti (pubblicato in un libro disponibile in arabo e in spagnolo: Diario dell’Assedio a Douma**) si legge:
“… É una guerra superiore alle altre nell immoralità con la quale il mondo la guarda.
Non é un gioco. Sono persone in carne e ossa che muoiono tutti i giorni: di malattia, fame, brutale repressione. Muoiono a causa dei proiettili che attraversano le loro case, muoiono mentre preparano il pranzo per i loro figli e pensano a cosa preparare per la cena. Il proiettile arriva per alleviarli dalla sofferenza quotidiana.
Se volessi paragonare il tempo passato in carcere con quello che sto vivendo sotto assedio; direi che quest’ultimo supera in tutto quello della carcere. Il carcere sembrava un esilio ma con un certo lusso: il cibo arrivava ogni giorno, anche se non era abbondante…Ma la sola cosa che abbonda qui sono proiettili e missili portatori di morte…La morte qui ci tocca tutti. Il proiettile non sceglie le persone: attacca un luogo, e noi, i vivi, contiamo il numero di martiri, mentre gli ospedali che restano in piedi cercano di accogliere chi é sopravvissuto o può essere salvato…Alle volte perdono una parte del corpo – un occhio, una mano, una gamba – ma in cambio, sopravvivono…
Ricordo il carcere, e la vita sotto assedio è ancora peggio. Si tratta di una brutalità che raggiunge tutti coloro che si trovano sotto assedio: bambini, donne, anziani… Le case che ho visitato e le persone che ho ascoltato, hanno raccontato le loro storie sui propi esseri amati; come arrivò il missile e come saltò in aria in mille pezzi il corpo. Mi disse: “Mio zio rimase tre giorni per terra quando il missile raggiunse la zona. Non potemmo ritirare il suo corpo fino a tre giorni dopo. Lo riconoscemmo dalla camicia e dal gomitolo di lana che stava portando a sua figlia”.
Ogni giorno ascoltiamo storie di questo genere….”
L’11 novembre scriveva:
“…Da mesi vivo ad Al-Ghouta, con “le bande armate”. I bambini, le donne e tutti coloro che si trovano qui appartengono a questa banda. Ed io sono una in più di loro.
Un giorno mi fermai sull’uscio di casa, i bambini si avvicinarono ed iniziammo a parlare fino a diventare amici. Arrivato l’Eid, vennero a farci gli auguri. Da non molto, le loro madri sono diventate nostre amiche e vengono a trovarci con loro. Queste sono “le bande armate”, che ci mandano dolci e makdus che loro stesse hanno fatto. Ci fanno visita una dopo l’altra. La madre di Mustafa mi ha detto: “Se hai bisogno di qualcosa del mercato, manda mio figlio”. Le ho risposto: “Ho paura che nel tragitto lo colpiscano i proiettili”. “Sarà fatta la volontá di Dio”. Mustafa viene tutti i giorni, si affaccia alla porta con un sorriso che rallegra il cuore, e dice: “Avete bisogno di qualcosa?”. “Solo di vedere il tuo sorriso.” Queste sono le persone che gli aerei bombardano ogni giorno, aerei che distruggono le case di coloro con i quali vivo, con i quali condivido la durezza della situazione e le interminabili conversazioni sulla morte e le sue atrocità…”
Razan, Razan Zaitouneh condivideva tutto questo con Samira.
Avvocatessa, difendeva i progionieri politici, attivista, a detta di molti Razan è un’icona della rivoluzione siriana. Sostenitrice dell’universalità dei diritti umani, che dovevano cominciare ad essere applicati nel paese. Già prima di questi eventi aveva espresso il suo dissenso e denunciato i crimini del regime di Assad; Razan ha vissuto gli anni anteriori al sequestro in clandestinità. All’inizio della rivolta ha formato i Comitati di Coordinamento Locali, attraverso i quali si organizzavano le manifestazioni di protesta, e il VDC.
Razan era anche molto vicina alla lotta pacifica dei giovani di Daraya e alla loro esperienza si lotta non violenta.
A tal proposito potete leggere questo suo articolo
UNA RIVOLUZIONE NON È ABBASTANZA
Ha vinto vari premi per il suo impegno a favore dei diritti umani.
Nel 2011 vinse il premio Anna Politovskaya, qui la lettera scritta per l’occasione.
I siriani vogliono libertà
Una donna magra, capelli biondi e occhi blu… lei e Samira non avevano il capo coperto e questo al nuovo fascismo di gruppi come Jaish al Islam non andava a genio, e nemmeno alla società conservatrice dove vivevano… ma per loro essere siriane non voleva dire uniformarsi ad un modello, sia esso culturale, politico o religioso.
Razan apparve in video (che pubblichiamo) l’ultima volta il 5 dicembre 2013, quattro giorni prima che lei ed i suoi compagni venissero rapiti.
*La poesia “Viaggio” di Nazem Hamadi ci è stata gentilmente concessa è stata gentilmente concessa da Yassin Al Haj Saleh e tradotta da N. El Assouad
**I testi scritti da Samira Khalil sono stati liberamente tradotti dall’autrice dell’articolo.