di Yassin Al-Haj Saleh
Questa è la decima delle lettere scritte da Yassin Al Haj Saleh a sua moglie, Samira Al Khalil, rapita a Douma la sera del 09/12/2013, le spiega cosa è accaduto durante la sua assenza.
Testo originale su Aljumhuriya
Traduzione N.El Assouad
27 anni fa, uscivi oggi di prigione dopo quattro anni, un mese e undici giorni dalla tua assenza minore. In questa stessa data compi oggi quattro anni, undici mesi e diciassette giorni dalla tua assenza maggiore, senza che sappia nulla di te, come le tante persone che ti vogliono bene.
In passato hai vissuto ed ho vissuto una vita simile, sospesa, gli anni della tua prigionia e gli anni della mia, non sapevamo allora quando sarebbe finito questo stato di sospensione, ma quella di oggi è più dura e buia, non si può paragonare alle tue due assenze Sammour, questa è più lunga, più dura e fa più male al cuore.
Durante la mia assenza c’era ad aspettarmi una donna che aveva la tua età quando ti sei assentata, mi ha aspettato una seconda volta e anche una terza poi è andata via con il cuore rotto ed è rimasta l’attesa. Oggi, ai due lati del muro o dei due muri dell’ignoto, attendo quella donna assente che da 1813 giorni vive nell’oscurità dopo averne vissuti altri 1482 in passato nella stessa situazione.
Tra le due assenze vi è la storia semplice e ricca di una donna forte.
Dopo gli anni di prigione hai deciso di riprendere in mano la tua vita, di cercare indipendentemente l’amore, il lavoro e la libertà. Hai lasciato Homs per recarti a Damasco, non hai girato le spalle a tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli e sorelle che amavi tanto; hai voluto trovare la tua propria strada ed avere una vita autonoma. Hai vissuto con Nahed, la tua amica ex detenuta, anch’essa come te aspettava un innamorato detenuto. A proposito, mi dispiace informarti della morte di Salama, un pò più di due mesi fa, la malattia è tornata e lei è andata via, nessuno se l’aspettava.
Hai vissuto dopo in modo indipendente in una casa vicina, lavorando al computer nello studio di un giornale del Golfo, scrivendo libri e materiale giornalistico, questo lavoro ti dava guadagni modesti, ma la vita dignitosa non è condizionata dai guadagni, e tu, Sammour, hai vissuto con dignità.
In questa casa formata da un’unica stanza che usavi come soggiorno, per lavorare e per dormire, hai cominciato una relazione con un uomo detenuto, proprio come te. Eri circondata da ex detenute e detenuti alla fine degli anni novanta, o da persone non estranee a questo mondo. La vita è difficile nel nostro paese per una trentenne indipendente, ma a te bastava poco: un piccolo spazio che ti appartenesse e che preservasse il tuo privato, un lavoro di cui vivere, e soprattutto un uomo da amare. Non era tanto, e non era neanche sicuro, la casa infatti era in affitto e il lavoro era momentaneo e bastava appena per pagare l’affitto e i viveri, e la situazione degli uomini intorno a te non era differente dalla tua, anche loro in cerca di una vita da vivere.
Ricordarmi di te che nelle nostre prime settimane mi dicesti che avevi due cose da accudire: il tuo lavoro e la nostra relazione, è una carezza sul cuore. Due punti fermi nella vita instabile di una donna indipendente.
Per due anni hai avuto due case, la tua stanza nelle abitazioni di Barze, dietro l’ospedale Hamish, e la nostra casa a Mansoura, un pò prima di Qadissiyah, a volte dormivi da me nei fine settimana, oppure venivo io a trovarti nella tua stanza, la maggior parte delle volte uscivamo per prendere un caffè o per recarci a un ristorante o al cinema. Non potevo rimanere con te nell’abitazione che affittava una famiglia ad una ragazza nubile.
Nel mio appartamento hai conosciuto mio fratello Khalil che viveva con me, ed Ali che ci ha sposati, hai conosciuto diversi amici, sei diventata una di casa sin dall’inizio. La famiglia del tuo innamorato ti ha amato, non eri un’estranea per loro, né loro lo erano per te. La famiglia è sempre la famiglia e una storia è sempre una storia anche quando l’innamorato non è generoso con le parole, è poco romantico e non scrive poesie.
Ma cucinava per te dai primi giorni del nostro amore.
Ti ricordi come era buono il “maqloubeh” che ti cucinai? Senza frutta secca, ma comunque buono. Quando riprovai a cucinarlo di nuovo dopo varie settimane, dato che ti era piaciuto tanto il risultato fu mediocre, ma tu hai continuato a ricordare l’insolito successo della prima volta, quando sarebbe stato più appropriato ricordare il fallimento successivo, per far sì che il tuo lavoro in cucina non diventasse una divisione tradizionale dei compiti. Non eri bravissima in cucina i primi tempi, bisogna ammetterlo, ti ricordi il “moutabbaq” che stavi preparando quando sono venuto da te senza un appuntamento? Ti ho distratta con le mie parole d’amore e mi hai detto:” Il “moutabbaq” brucerà”! Ti ho risposto con astuzia insolita:” Non è il solo a bruciare!”, eri compiaciuta da questa frase e anche a me piace ancora tanto questo gioco di parole, giustissimo in quel momento. Non dirmi che è una cosa rara, non è una cosa rara, sicuramente raro è il mio successo in cucina.
Quello che mi rende felice Sammour è che tu amavi la nostra vita insieme, non era spensierata ma l’abbiamo vissuta con dignità. Tu hai fatto di quell’alloggio la nostra casa, sempre piena di amiche e amici, di coppie di giovani innamorati, di ospiti che a volte non conoscevamo abbastanza, e di coloro che erano compagni di vita anche prima della nostra storia e prima del matrimonio.
Poi, abbiamo ricucito le relazioni con la famiglia che il nostro rapporto aveva rotto, relazioni a me care perché tanto care a te.
Così come la tua vita in prigione era la continuazione della tua lotta, anche la nostra vita era la continuazione diversa delle nostre vite prima della prigione e dopo di questa, non ci siamo buttati nulla alle nostre spalle, ci siamo portati tutto, e soprattutto non abbiamo lasciato frammenti della nostra vita in carcere ai nostri carcerieri.
Le tue compagne di carcere sono sparse in vari paesi, in Francia, in Germania, in Turchia e negli Emirati ed anche in esilio all’interno della Siria.
In questi anni non si sono riunite in questa ricorrenza come usavano fare negli anni precedenti quando eri con loro, si sono separate come tanti altri dei tuoi amici e dei tuoi cari prima della tua scomparsa e dopo.
La situazione è difficile e le persone lavorano duro per ricostruirsi una vita con quello che possono.
La nostra vecchia generazione non è nelle migliori condizioni per continuare a vivere, ma noi siamo abituati alla sofferenza. Ma devo dirtelo veramente? Tu conosci bene le difficoltà e le hai sempre sormontate.
Oggi le tue compagne si riuniscono virtualmente, per continuare quello che avevano interrotto, ti scrivono, ricordano l’assente che le riuniva e la compagna sempre presente della veglia annuale.
Volevi che rimanessimo in Turchia dopo il nostro incontro che sarebbe dovuto avvenire di li a poco, dopo essere uscito di prigione cinque anni e un mese e mezzo fa, avevi paura della lontananza dal paese, volevi un ambiente siriano dove parlare l’arabo, ma siamo rimasti qui, come avevamo sperato. Sono uscito da lì da un anno e mezzo solamente, ma sono tornato in estate per essere più vicino a te dopo le evacuazioni di Douma nella primavera scorsa. Sono stati mesi duri, faticosi e deprimenti, alleggeriti dall’incontro con Beker e Tahahma a Antab, la loro generosità e la bontà del loro cibo, il giocare con loro a “Tawila*” aiutato dalla ragazza Diana, l’ ho soprannominata (La ragazza) perché insisteva a non ricordare il mio nome e a chiamarmi (l’uomo) e a stuzzicarmi senza parlare e senza che sentissi la sua voce.
Solo, con i tuoi sei ritratti nel giorno della tua prima liberazione, il mio sogno è che arrivi la tua seconda liberazione Sammour, e di festeggiarlo al più presto con i nostri cari.
Fino a quel felice giorno (i due occhi) ** segue il tuo cammino, non ne ha un altro.
Fino a quando saremo insieme, per sempre, qui, là o altrove.
*Tawila: Backgammon o tavola reale in italiano.
**I due occhi( العينتين) nomignolo affettuoso.