Il dolore per la morte di quest’attivista molto amato non svanirà rapidamente. Né svaniranno i ricordi di altri migliaia.
SCRITTO DA MINA AL-ORAIBI, tradotto da Mary Rizzo
Ancora una tragica perdita. Da tre giorni i siriani e tutti coloro che amano la Siria sono a lutto per la scomparsa del giornalista ed attivista siriano Raed Fares e per tutto ciò che ha rappresentato: coraggio, patriottismo e protesta pacifica.
Abbiamo conosciuto Raed tramite gli irresistibili banner con in quali comunicava con milioni di persone in tutto il mondo dalla sua città natale Kafranbel.
Mentre la gente intorno a lui resisteva coraggiosamente al regime del presidente siriano Bashar Al-Assad, Raed creava messaggi che esaltavano l’umanità della gente comune in cerca di un futuro migliore, sperando in tal modo di creare empatia e dare una spinta internazionale alla questione del suo popolo. Il suo lavoro è stato ampiamente condiviso online, toccando la vita di persone in tutto il mondo, ma non è stato sufficiente per stimolare un’azione e per proteggere Kafranbel e le altre città.
Dopo due tentativi di omicidio, lo scorso venerdì i nemici di Raed sono riusciti a ucciderlo, insieme al suo fedele amico Hammud Al Junayd. I due si uniscono così a centinaia di attivisti, tra i quali molti giornalisti, che sono stati uccisi in Siria. Al-Assad e gli estremisti islamici che operano in Siria hanno diverse cose in comune, ma soprattutto un totale rifiuto per gli oppositori pacifici e laici, che rappresentano i pensieri di molti dei loro connazionali.
Le prime notizie giunte dicono che proprio questi estremisti sono dietro l’uccisione di Raed e Hammud. Questi stessi militanti dominano Idlib – l’ultima provincia siriana rimasta sotto il controllo dei ribelli e sulla quale il regime ora mira prendere il controllo. Parte della tattica di assedio e resa di aree come Homs e Ghouta prevedeva infatti permettere ad alcuni gruppi armati un passaggio sicuro dal regime. I membri dell’opposizione non armati sono fuggiti dal Paese o sono stati uccisi.
Il numero di volte negli ultimi anni in cui analisti e diplomatici hanno detto “Non ci sono ‘i buoni’ in Siria” è sbalorditivo. È un insulto alle figure dell’opposizione pacifica che hanno aspettato e lavorato a lungo e assiduamente per porre un fine al conflitto. Ciò che volevano dire era: “Non ci sono ‘i buoni’ con cui vogliamo lavorare”. Ma ‘i buoni’ in Siria ci sono sempre stati: persone che vogliono proteggere il loro Paese e che rifiutano di venderlo. Troppi di loro, come Raed, hanno pagato le loro convinzioni con le loro vite.
Gli attivisti pacifici in Siria sono spesso cinici riguardo agli sforzi delle Nazioni Unite per porre fine alla guerra. I complicati tentativi dell’Onu per ottenere una transizione programmata e non violenta sono destinati a ricominciare presto. Il lodato comitato costituzionale, considerato la risposta ai problemi di questa nazione distrutta, ora sembra improbabile. Nel suo penultimo briefing al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, prima di andare in pensione, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria Staffan de Mistura ha affermato che equilibrio, inclusione e legittimità internazionale sono “la cartina al tornasole” per il comitato.
Nella sua dichiarazione della scorsa settimana, il sig. De Mistura ha detto: “Potremmo dover dedurre che potrebbe non essere possibile formare una commissione costituzionale credibile e inclusiva in questa fase.” È evidente che l’Onu sta esaurendo i suoi tentativi di convocare questa commissione. Nulla di ciò che è stato detto in questa fase critica fa sperare che questi sforzi si dimostreranno utili.
Il diplomatico norvegese Geir Pedersen, che assumerà il suo incarico come nuovo inviato delle Nazioni Unite per la Siria all’inizio del prossimo anno, si troverà davanti un compito apparentemente insormontabile e una nazione devastata. A differenza dei suoi predecessori, non avrà il beneficio dell’avere un gruppo di siriani con cui lavorare per perseguire una transizione stabile e per evitare altre morti, come quella di Raed e di tanti altri, dovrà lavorare con quello che avrà a disposizione.
I colloqui di pace sono, per natura, difficili e capricciosi. Chiunque sia mai stato coinvolto in essi lo può dire. Tuttavia, c’è fattore immutabile: le parti devono essere disposte a negoziare e questo manca ancora in Siria.
Di conseguenza, la popolazione civile continua a soffrire e le ultime notizie di un attacco chimico ad Aleppo dimostrano ancora una volta l’incapacità del governo di proteggere i suoi cittadini – considerando che è spesso quello che li sta attaccando. Questa settimana, il direttore regionale per il Comitato Internazionale della Croce Rossa era ad Aleppo. Lì, ha fatto una dichiarazione in cui ha descritto la scala della distruzione come “incredibile”.
Come per la devastazione di Aleppo, il dolore per avere perso Raed non sarà cancellato presto. Raed, Hammud, l’attivista di Damasco Hani Abdullah, i 200 coraggiosi soccorritori dei White Helmets che hanno perso la vita. La lista è lunga, i nomi sono diversi migliaia. Tra loro ci sono alcuni dei migliori cervelli che la Siria e il più ampio mondo arabo abbino mai avuto. E ora li abbiamo persi per sempre.
Ma non abbiamo perso tutto. Durante le rivolte arabe del 2011, i giovani patrioti si sono fatti vivi in numerosi Paesi. C’erano quelli che non erano né militanti né islamisti radicali, che avevano una semplice visione di uno Stato nazionale che serviva il suo popolo. I loro richiami tonanti alla dignità sono stati ascoltati in tutto il mondo. E anche se senza armi e denaro, e con autocrati ed estremisti che hanno fatto di tutto per mettere a tacere le loro voci, le loro idee rimarranno vive.
Originale: Like Raed Fares, too many have died for their dream of peace in Syria