Quali opportunità per una transizione democratica in Siria?

Articolo della redazione di Enab Baladi
Traduzione di Filomena Annunzita e Sara di Iorio

Sono trascorsi sette anni dal primo grido di libertà in Siria, che ha assunto la forma di una protesta popolare che mirava a voltare pagina rispetto ai decenni di repressione e censura. Oggi, i siriani si trovano di fronte a un dilemma economico, politico e militare che rende il futuro del paese difficilmente prevedibile.

 

 

Nonostante la drammatica situazione nel paese, la rivoluzione siriana ha indirizzato il suo sguardo verso nuovi orizzonti di libertà. Un incontenibile desiderio di cambiamento ha reso impossibile riportare la Siria allo status politico e sociale precedente la sollevazione popolare del 2011. I siriani hanno superato il concetto del  governo di “solo leader, un solo partito, un solo discorso mediatico”, spezzando il monopolio che il partito Baath esercitava nel panorama politico. L’influsso delle organizzazioni della società civile ha frenato il timore generale rispetto alle linee rosse e alla burocrazia governativa e ha creato un senso di comune responsabilità.

Ad un livello sociale, possiamo dire che per i siriani il diventare parte attiva all’interno degli organi civili e politici ha spazzato via il timore di “immischiarsi” in questioni politiche e delle conseguenti azioni penali, creando uno stato di “liberazione” psicologica che non può che non può essere sottovalutato. Questo cambiamento si riflette nell’esplicito rifiuto dei cittadini verso qualsiasi forma non gradita di controllo civile o militare nel mezzo delle città liberate o nelle aree sottoposte al controllo dell’opposizione. In aggiunta al fatto che il pubblico si è trasformato in un osservatore che ritiene responsabile l‘opposizione politica dei suoi errori e fallimenti.

Tutto ciò, probabilmente, rende evidente la breccia che la rivoluzione siriana è riuscita a creare nel muro di terrore innalzato dal regime degli Al-Assad nei precedenti 40 anni, attraverso sotterfugi sociali, un controllo militare serrato, e forzature politiche che hanno reso il sistema politico monopartitico.

I siriani possono utilizzare queste brecce per aprire la strada a un periodo di transizione democratica basata su un bilanciamento dei poteri delle future istituzioni politiche che consenta alla popolazione una maggiore condivisione con il governo degli gli oneri amministrativi.

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Una foto dalla sommità della Moschea Grande di Douma, sobborghi di Damasco 17 Aprile 2015

Società civile e potere decentrato

La cultura dell’impegno civile non era diffusa in Siria prima dell’inizio del ventunesimo secolo, ed era limitata ad alcuni enti di beneficenza e orfanotrofi privati che lavoravano in contesti limitati e sotto lo stretto controllo dell’apparato di sicurezza.

La situazione ha visto un cambiamento significativo dopo l’inizio della rivoluzione siriana. A partire dal 2011 sono state fondate più di 800 organizzazioni, secondo il rapporto “Establishing the Map of Civil Service in Syria” pubblicato dall’organizzazione Citizens for Syria nel 2016.

Queste organizzazioni si sono specializzate in una gamma di settori che vanno dal sostegno alla popolazione, all’educazione, alla diffusione di informazioni, allo sviluppo locale, all’emergenza abitativa, e all’emancipazione politica.

L’attivista Motaz Mourad sostiene che la rivoluzione pacifica abbia aperto ai siriani la strada di un attivismo al indipendente dal controllo statale e che nonostante queste istituzioni siano fragili e limitate in termini di potenziale, stanno cercando di influenzare positivamente e avere un impatto significativo sulle vite dei siriani.

L’impegno civile può assumere molte forme, tra cui il sopperire alla carenza di servizi nelle province siriane, fornendo rilevanti alternative agli organi statali e migliorando la coesione sociale, oltre a sensibilizzare e responsabilizzare la popolazione in settori come l’amministrazione pubblica e tecnica. Le attività della società civile includono anche i tentativi di rafforzare e migliorare la condizione delle donne in vari settori, modificando la percezione del ruolo femminile nella società rispetto a come era concepito in precedenza.

Inoltre, le organizzazioni siriane per i diritti umani, ormai più di dieci, si sono attivate nel monitoraggio e nella documentazione delle violazioni perpetrate contro i civili nel paese, visto il loro elevato numero. Queste organizzazioni si sono sviluppate sotto varie sigle come il Syrian Network for Human Rights, Syrians for Truth and Justice, e il Syrian Centre for Human Rights Studies.

Nonostante le risorse limitate e i vincoli imposti, l’iniziale mancanza di competenze, e l’instabilità del supporto materiale, queste organizzazioni sono riuscite a avere un impatto nel mondo dei diritti umani, parlando e partecipando ai vari forum internazionali a nome delle vittime di guerra siriane.

Per quanto riguarda il tema della sicurezza pubblica, i gruppi della Syrian Civil Defence e Free Police hanno fornito un’alternativa al servizio offerto dal regime e dagli organi di polizia e sono riuscite a cambiare l’idea di ufficiale di sicurezza o poliziotto radicato nella mente dei siriani.

Si può affermare che queste organizzazioni hanno gettato le basi per un processo di democratizzazione, definito accademicamente come una “distribuzione del potere così che l’accentramento statale diminuisce in favore delle istituzioni civili assicurando un bilanciamento tra lo stato e la società civile”.

 

Libertà di espressione, un’informazione promettente

Le pagine Facebook dei Comitati di Coordinamento Locale hanno messo a dura prova il regime siriano fin da subito, diventando uno strumento in grado di ostacolare la soppressione della rivolta popolare, rappresentata a quel tempo dalle proteste pacifiche.

Nonostante il regime sia riuscito a frenare le dimostrazioni due anni dopo la rivoluzione, queste pagine si sono trasformate in fonti multimediali, che a loro volta sono cresciute e si sono moltiplicate diventando secondo alcune statistiche locali e internazionali circa 400 nel 2014 , e fra queste dozzine stanno ancora lavorando ad un ritmo regolare e ad un alto livello di efficienza.

Nonostante la scarsa dimestichezza con i media dovuta al monopolio statale nel settore nei quattro decenni precedenti, le varie reti, le stazioni radio, i giornali e i siti internet fondati dagli attivisti hanno raggiunto un livello di professionalità che difficilmente gli organi di stampa del regime possono emulare. Oltre alla professionalità, il valore aggiunto risiede nella libertà di espressione di cui prima gli attivisti non godevano.

Sebbene questi media affrontino diverse sfide e ostacoli, come un impatto limitato e la mancanza di risorse finanziarie, questi tentativi rappresentano una fase di addestramento e di prova per quei siriani le cui competenze possono essere investite nell’eventualità di una transizione democratica.

Questa opportunità può essere tuttavia un’arma a doppio taglio. I nuovi media possono svolgere un ruolo fondamentale nella partita verso una trasformazione democratica giocata sull’educazione dell’opinione pubblica su temi come la libertà, la responsabilità, il pluralismo, e il rispetto verso gli altri. Al contrario, se falliranno nel dimostrare la loro professionalità o la loro capacità di riscuotere consenso non potranno presentarsi come una reale alternativa ai media di un regime autoritario, anche se la transizione politica ha avuto luogo.

 

La proliferazione di partiti al di fuori del Fronte progressivo nazionale

Il partito socialista Baath ha dominato la scena politica fin dall’ascesa al potere in Siria di Hafez Al-Assad, silenziando le voci dei partiti che componevano il Fronte Progressista Nazionale, una pedina all’interno della propaganda di regime sull’esistenza di un’opposizione politica e di un sistema pluripartitico.

La rivoluzione siriana ha aperto a possibilità negate per decenni. Alcuni organi politici hanno iniziato a formarsi in risposta al bisogno di strutturare il movimento popolare e si sono gradualmente organizzati in maniera stabile, ridisegnando la mappa dei partiti siriani.

Il numero dei partiti in Siria oggi supera i 100 differenziati per orientamento religioso, ideologico, nazionale. Alcuni sono attivi in Siria, secondo una legge sui partiti emanata dal regime dopo la rivoluzione, e che aspirava a legittimarne alcuni come partiti di opposizione interna opposti ai partiti di opposizione straniera che il regime ha cercato di legare a interessi regionali o internazionali.

Il nuovo panorama partitico non è riuscito tuttavia a catturare l’attenzione dei siriani, a causa della sua scarsa esperienza e dell’incapacità di presentare programmi di mobilitazione di massa efficaci. Di conseguenza questi nuovi partiti non hanno riscosso molto consenso tra la popolazione siriana e molto spesso si limitavano sono limitati a rappresentare gruppi di nicchia con specifici interessi e obiettivi.

Molti ricercatori politici sostengono che i nuovi partiti non potranno riusciranno a strutturarsi in organizzazioni politiche acquisire una struttura organizzativa politica. Nonostante ciò, la rinascita dei partiti può rappresentare un valido strumento per una transizione democratica e per un processo che mira al pluralismo politico.

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Definizione di transizione democratica

Consiste nella transizione da un sistema autocratico a uno democratico, ovvero il processo di transizione verso un sistema che consente un pluralismo politico, riconosce l’esistenza di un’opposizione al regime dominante, garantisce la libertà di opinione ed espressione riguardo questioni e argomenti su cui precedentemente non si poteva discutere, e nella partecipazione del popolo. Garantisce alle persone, dunque, il diritto di cambiare governo attraverso elezioni periodiche libere e imparziali. Le persone sono responsabili del mantenimento dei governi al potere, in cambio dell’obbedienza al capo del governo.

Una transizione democratica è inoltre definita come un processo che mira a modificare la mappa del potere nel sistema politico e mira ad equilibrare le forze ufficiali rappresentate dallo stato e dalle istituzioni ufficiose costituite dalle organizzazioni della società civile.

 Più fronti per amore della democrazia

L’attuazione di una transizione democratica in paesi che non l’hanno vissuta è legata ad una serie di principi fondamentali. Allo stesso tempo, tale processo incontra molti ostacoli, che riguardano il controllo del meccanismo della transizione e il coordinamento con gli enti di vigilanza, giuridici e altri, per garantire il suo incanalamento  su un  giusto sentiero.

Data la realtà dei paesi arabi, una trasformazione democratica non si è manifestata in nessuno dei principi di base su cui trova le fondamenta, inclusa la Siria. Secondo la prospettiva di alcuni, il concetto di “democrazia” è stato travisato politicamente e religiosamente a livello locale e regionale, in base al principio che rappresenta un concetto occidentale che consolida il colonialismo e contraddice ciò che Dio ha ordinato”.

In un’intervista con Enab Baladi, Mohammed al-Abdallah, direttore esecutivo del Syrian Justice and Accountability Center, ha affermato che “in Siria si sta assistendo a una spaccatura sociale attorno al concetto di democrazia”. “Mentre nelle aree sotto il controllo del regime la democrazia viene oltraggiata in pubblico poiché le persone non credono in questa idea, nelle aree di opposizione la situazione è migliore sebbene limitata.”

Storicamente, la Siria ha vissuto un periodo di democratizzazione dopo l’indipendenza dalla Francia. Secondo al-Abdallah, quell’era ha visto la nascita di diversi partiti e formazioni politiche, oltre ad un diffuso movimento studentesco e universitario. Anche le Unioni professionali hanno avuto un ruolo nella vita politica. Le donne hanno preso parte a questo dibattito politico, partitico e intellettuale, facendo di Damasco il centro di varie attività.

Tutto ciò non è sopravvissuto alla comparsa del Partito Baath di Hafez al-Asad. Secondo il direttore del centro, quel momento di esercizio democratico è stato troppo breve per lasciare un solco profondo nella vita dei cittadini. Per questo i siriani non hanno avuto il tempo di abituarsi alla democrazia.

Il termine democrazia è stato usato con diverse connotazioni politiche durante l’era degli Assad e fino ad oggi. Secondo Al-Abdullah tutti i regimi militari e le dittature si autodefiniscono “democratiche, progressiste, popolari”, oltre ad essere antimperialiste. La democrazia invece non fa parte del programma del partito Baath o della famiglia al potere, che non ha fatto riferimento alla democrazia, nè l’ha riconosciuta come un elemento costitutivo dell’apparato militare e di sicurezza. “Pertanto, il termine democrazia non è stato usato ed è stato addirittura distorto. Il concetto stesso è stato demonizzato come un elemento estraneo importato e imposto dagli Occidentali per essere usato per altri scopi”.

Al giorno d’oggi, “le fazioni islamiste stanno usando questo termine per intimorire le persone, dipingendo la democrazia come un fantasma che arriva dall’Occidente, che offende la religione e l’Islam ed è estraneo alla nostra società” sostiene Al-Abdullah, che ha sottolineato come la società siriana abbia attraversato queste fasi prima dell’arrivo delle fazioni in Siria.

Il direttore del centro sostiene che le possibilità di un processo democratico applicato in Siria sono molto limitate. “Nonostante le atrocità commesse, tra cui il numero delle vittime e la distruzione del paese, ciò che è accaduto renderà impossibile un ritorno al 2011. Le persone non accetteranno di tornare alla condizione di schiavitù e tirannia che controllava la repubblica. Sarebbe difficile imporre per la seconda volta qualcosa ai cittadini, anche lì dove la comunità internazionale tentasse tramite i processi di Sochi, Ginevra o di altre conferenze di pace.”

E aggiunge che l’attuale lotta per la democrazia e per la libertà a lungo termine non si svolge soltanto contro il regime, ma anche contro tutti quei gruppi militari che stanno tentando di imporsi con la violenza di prevaricare i cittadini limitando le loro libertà e l’esercizio dei loro diritti.

La lotta si svolge anche “contro gli stati arabi confinanti, che considerano la democrazia come una minaccia alla loro esistenza. La lotta si svolge anche contro l’eredità contro-rivoluzioniaria che le campagne militari del regime, della Russia e dell’Iran hanno lasciato” sempre secondo al-Abdallah, che sostiene inoltre che nonostante tutti i fattori menzionati “siamo ancora sul giusto sentiero”.

“C’è sempre una possibilità per una transizione democratica, in Siria come in ogni altro paese” ha detto l’attivista Motaz Mourad, considerando che l’esperienza del popolo siriano è “importante e significativa, e sarà possibile farne un esempio da studiare e evitando gli errori che sono stati commessi.”

Mourad crede che sia necessario aprirsi alle esperienze positive che hanno cambiato il corso della storia in altri paesi. “Questi precednti saranno la nostra bussola, anche se la strada è lunga di fronte a noi, i risultati saranno gradiosi”

 

I negoziati per una transizione politica

I colloqui di pace di Astana

I colloqui di pace di Astana sono iniziati a gennaio del 2017. Sono stati promossi dalla Russia, dalla Turchia e dall’iran che hanno discusso l’istituzione di zone di de-escalation della violenza e il tema dei detenuti, senza un esplicito riferimento ad una transizione politica. La seconda sessione si è svolta a febbraio, seguita da una terza a marzo a cui l’opposzione non ha partecipato per poi ritirarsi ufficialmente durante la quarta sessione di maggio. Astana 5 ha avuto luogo a luglio del 2017, seguita da una tre successive sessioni tra settembre, novembre e dicembre.

I negoziati di Ginevra.

La conferenza Ginevra 1 si è tenuta a giugno del 2012, e ha definito alcuni punti programmatici, molti dei quali compongono la road map del processo di transizione in Siria. Tra gennaio del 2014 e novembre del 2017 si sono tenute otto sessioni.

Dalla quarta sessione in poi, i negoziati di Ginevra si sono focalizzati su quattro temi, tra cui l’istituzione di un governo non organizzato su base settaria e che includa tutti i siriani e la bozza di una nuova costituzione. Un terzo punto è legato all’organizzazione di elezioni “libere ed eque” dopo la stesura della costituzione. Il quarto riguarda la lotta al terrorismo e misure per rafforzare la fiducia nel governo, senza alcun effettivo sviluppo concreto per raggiungere questi obiettivi.

Conferenza di Sochi

La conferenza si è tenuta sotto il patrocinio della Russia il 30 gennaio 2018, e aveva come titolo “Conferenza per un dialogo nazionale in Siria”. Si è concluso con l’accordo per la formazione di un’assemblea costituente composta da rappresentanti del regime e dell’opposizione per riformare la costituzione in accordo ala risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza ONU. Nell’ultimo comunicato si faceva anche riferimento all’istituzione di organi di sicurezza e intelligence con il compito di proteggere la sicurezza nazionale, all’interno di uno stato di diritto, e che agiscano secondo la Costituzione e la legge, rispettando i diritti umani.

L’inviato speciale ONU per la Siria, Staffan de Mistura, sta ancora aspettando che gli stati garanti degli accordi di Astana si adoperino per la formazione dell’assemblea.

E’ ancora possibile una transizione democratica in Siria?

Un sondaggio proposto da Enab Baladi sul proprio sito e profilo Facebook mostra che la maggior parte delle persone non crede nella possibilità di una transizione democratica in Siria.24-3-2018.jpg

IL 57% degli 850 votanti ha risposto “No” alla domanda “Secondo la tua opinione, è ancora possibile una transizione democratica in Siria?” Il 25% ha risposto “Sì”, mentre il 15% ha dichiarato di non avere un’opinione specifica sulla questione.

Il sondaggio ha avuto molta visibilità su Facebook, e un certo numero di lettori hanno spiegato il proprio punto di vista riguardo la “transizione democratica”.

Ahmed Ghazal ha commentato: “Come possiamo parlare di democrazia con persone che agiscono seguendo i propri interessi e che cercano di soddisfare il loro bisogno di distruzione, e la cui ignoranza contamina ogni aspetto della vita? Di quale democrazia parliamo se la maggior parte delle persone uccide con la stessa semplicità con cui beve un bicchiere d’acqua?!”

Hassan al-Hussein si domanda sarcasticamente: “Democrazia? Con tutte quelle tribù, clan e sette religiose?”, mentre Yunus Mohammed al-Yunis dice: “La transizione c’è, ma è demografica, non democratica.”

Ibrahim Hijazi commenta: “Sì, prima dell’ascesa di Hafez al-Assad eravamo un popolo libero e giusto, ma ora non ci interessa la democrazia che voi desiderate, preferiamo spodestare coloro che hanno cancellato la democrazia dal paese.”

Alcuni commentatori che hanno mostrato lealtà al regime siriano ritengono che il regime abbia supportato la democrazia, e che al contrario sia stata l’opposizione a impedire la sua attuazione in Siria.

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