“Una mostruosa campagna di annientamento”: il bilancio sale a 300 morti nella Ghouta orientale causati dall’assalto del governo siriano
Intervista di Democracy Now con Rawya Rageh, Alia Malek e Wendy Pearlman,
traduzione da Nurah El Assouad
Le Nazioni Unite hanno condannato la recente raffica di bombardamenti aerei e di artiglieria del governo Siriano contro le zone controllate dai ribelli nella Ghouta orientale, nella periferia della capitale Damasco. Gli operatori umanitari hanno segnalato la morte di almeno 300 persone negli ultimi tre giorni. Molte delle vittime sono donne e bambini. Anche gli ospedali e gli edifici residenziali sono stati presi di mira.
Ci hanno raggiunto tre ospiti; Rawya Rageh di Amnesty International, la giornalista americo-siriana Alia Malek e Wendy Pearlman, autrice di “We Crossed a Bridge and It Trembled: Voices from Syria.”
AMY GOODMAN: “Una campagna mostruosa di annientamento”. È così che le Nazioni Unite hanno descritto la recente raffica micidiale di attacchi aerei e di artiglieria del governo siriano contro le zone controllate dai ribelli della Ghouta Orientale, al di fuori della capitale Damasco. Gli operatori umanitari riferiscono che almeno 300 persone sono state uccise negli ultimi tre giorni. Molte delle vittime sono donne e bambini. Anche gli ospedali e gli edifici residenziali sono stati presi di mira. Ravina Shamdasani, portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani della Nazioni Unite dice: “Quella a cui stiamo assistendo nella Ghouta Orientale è la ripetizione, se non peggio, di quanto è già accaduto in altre parti della Siria”. L’Alto Commissario per i diritti umani parla di una mostruosa campagna di annientamento nella Ghouta Orientale, senza alcun riguardo per le vite umane. Quanti altri bambini dobbiamo vedere morire? Quanti altri ospedali bombardati? Quanti altri medici dobbiamo vedere uccisi prima che la comunità internazionale possa unirsi e agire risolutamente sulla situazione in Siria e porre fine a tutta questa violenza?
AMY GOODMAN: Gli operatori sanitari nella Ghouta orientale accusano le forze governative di colpire ospedali e ambulanze.
Operatore sanitario: “Le ambulanze non possono circolare perché rischiano di essere colpite dal regime. Questo ospedale è completamente fuori servizio, ma non sono solo gli ospedali al-Shifa e Arbin ad essere stati colpiti, ma anche quello di Sawa e Al-Hayat. E come loro, la a maggior parte degli ospedali della Ghouta Orientale.”
AMY GOODMAN: Gli attacchi alla Ghouta Orientale cominciano con un aumento brutale di tensione in Siria e dopo una serie di scontri che coinvolgono Israele, lran, Russia, Turchia e il Governo siriano.
Ci hanno raggiunto i nostri tre ospiti. Rawya Rageh, consigliere capo per la gestione delle crisi presso Amnesty International. Sta lavorando per documentare violazioni dei diritti umani e violazioni del diritto internazionale in Siria. Alia Malek, giornalista pluripremiata, ex avvocato per i diritti civili. Il suo libro è intitolato The Home That Was Our Country: A Memoir of Syria. E Wendy Pearlman è l’autrice di We Crossed a Bridge and it Trembled: Voices from Syria. È una professoressa associata di scienze politiche alla Northwestern University.
C’è tanto da dire, abbiamo appena finito di parlare del massacro in Florida e dell’orrore di 17 persone uccise a colpi d’arma da fuoco nel giorno di San Valentino. Moltiplicatelo ripetutamente, all’infinito, affinché negli Stati Uniti si possa capire cosa sta vivendo la popolazione in Siria.
- Rawya Rageh
Consigliere capo per la gestione delle crisi presso Amnesty International. Ha lavorato alla documentazione di violazioni dei diritti umani e violazioni del diritto internazionale in Siria.
RAWYA RAGEH: Non ci sono davvero parole per descrivere l’orrore a cui stiamo assistendo in Siria. Quando parliamo alla popolazione della Ghouta Orientale ci parlano di malnutrizione, fame, massacri che continuano: una vergogna per l’umanità!
Nella Ghouta e in altre parti della Siria c’è un governo che volontariamente bombarda il suo popolo. Questa è una situazione che va avanti da più di sei anni, è parte di una grande strategia militare del governo siriano che si riassume nell’“arrendersi o morire di fame”. Quando imponi un assedio ad una zona controllata dall’opposizione e affami la popolazione, la bombardi dalla terra e dal cielo, vieti l’accesso agli aiuti umanitari, la obblighi ad arrendersi. Questo è quanto è successo a Homs, Aleppo e adesso nella Ghouta Orientale.
AMY GOODMAN: Perché la Ghouta Orientale?
RAWYA RAGEH: La Ghouta Orientale è a due passi dalla capitale. E per questo è ancora più terrificante, i bambini muoiono di fame a pochi chilometri dalla sede del Governo siriano e dagli uffici delle Nazioni Unite, dove al contrario non manca niente. Nella Ghouta Orientale mancano medicinali, cibo e alla gente vengono negate le necessità basilari per rimanere in vita.
AMY GOODMAN Qual è il livello di sofferenza?
RAWYA RAGEH: Quello che vediamo è essenzialmente un catalogo di abusi, crimini di guerra che si succedono. Si parla di 400,000 persone ormai sotto assedio da quasi sei anni, a cui sono stati negati tutti i bisogni fondamentali come pannolini per i bambini e acqua. I genitori vedono i loro bambini morire. “Pelle e ossa” così gli operatori sanitari descrivono le condizioni dei bambini laggiù. L’assedio più lungo della storia.
AMY GOODMAN: Alia Malek?
- Alia Malek
Giornalista pluripremiata e ex avvocato per i diritti civili. Il suo libro è intitolato The Home That Was Our Country: A Memoir of Syria
ALIA MALEK: Siamo arrivati ad un punto cruciale, la gente è ormai sintonizzata sulla Siria da sette anni durante i quali la violenza è stata la strategia centrale e costante del regime siriano per imporre le sue leggi e la sua legittimità. D’altronde è sempre stato così, dal suo arrivo al potere nel 1970. Credo, infatti, che ci sia un’idea errata, si crede che il regime sia stato forzato ad usare la violenza, o che abbia dovuto improvvisamente ricorrere alla violenza per via delle condizioni e delle circostanze create dai diversi paesi stranieri coinvolti in Siria. Ma la gente deve capire che non solo la violenza è da sempre stata la strategia preferita dal regime, ma che è anche stato premiato per usarla.
AMY GODMAN: Hai espresso preoccupazione perché non sempre le notizie sulla Siria sono riportate dai notiziari. Tu sei in contatto con la gente in Siria e sei stata a Damasco e altre zone in Siria.
ALIA MALEK: Sì, ci troviamo qui per via dell’intensificazione della violenza, ma voglio sottolineare di nuovo che la violenza è sempre stata parte della quotidianità dei siriani, e il modo in cui il governo ha voluto consolidare il proprio dominio da quando è arrivato al potere negli anni 70. Ora lo sta usando nella Ghouta come tattica per congegnare demograficamente il tipo di corpo politico in Siria che farà sì che il suo governo duri più a lungo possibile.
AMY GOODMAN: Anche se non puoi essere lì adesso, sei in contatto con la popolazione. Cosa ti dicono?
ALIA MALEK: Nel tuo intervento ti chiedevi perché la comunità internazionale non riesce a unificare le voci. Penso che per molti siriani la comunità internazionale abbia invece parlato con una sola voce. E quella voce dice che Bashar al-Assad può restare, può agire impunemente, che si aggiungeranno fiamme al fuoco, ma che non si faranno passi necessari per fermare tutte la parti coinvolte, e cioè portare sia il governo che l’opposizione armata al tavolo e arrivare a una specie di accordo che risparmierebbe i civili siriani, che hanno pagato i costi di questa sorta di guerra per procura e l’assalto del regime al suo popolo negli ultimi sette anni, più precisamente negli ultimi 50 anni.
AMY GOODMAN: Wendy Pearlman, il titolo del tuo libro, (Abbiamo attraversato un ponte, e il ponte tremava), si riferisce a qualcuno nella Ghouta.
- Wendy Pearlman
Autrice di We Crossed a Bridge and it Trembled: Voices from Syria. Professoressa associata di scienze politiche presso la Northwestern University.
WENDY PEARLMAN: Sì, assolutamente. È tratto da una testimonianza, quella di Annas, un medico nella Ghouta Orientale. Annas descrive le proteste di massa nei primi mesi del 2011. ll ricordo di quella rivolta civile è stato sepolto, si chiedeva libertà, dignità per milioni di persone che manifestavano rischiando la vita per chiedere per il cambiamento, la riforma e poi, per il collasso di questo regime autoritario. Annas parla di una protesta immensa e un mare di persone che hanno marciato da una città nei sobborghi di Damasco a un’altra letteralmente attraversando un ponte. “Abbiamo attraversato un ponte, e tremava sotto il peso di tante persone.” Questo è esattamente lo stesso dal luogo che vediamo ora sotto le bombe e sotto l’assedio.
AMY GOODMAN: Rawya Rageh, è interessante notare che Wendy ha menzionato l’anno 2011, tu eri in Egitto all’epoca. Era in atto la rivolta in Egitto. Parlaci di quello che è successo in Egitto e di quello che è successo in Siria.
RAWYA RAGEH: Ovviamente, la svolta presa da queste rivolte non è quella felice che noi speravamo quando il popolo insorse contro l’autoritarismo. Ci si domanda se avremmo dovuto fare quello che abbiamo fatto, se eravamo preparati a questo.
È importante ricordare alla gente che dopo anni di sopravvivenza a questo tipo di autocrazia, il popolo doveva dire la sua parola. Questo non dovrebbe essere il prezzo per chiedere la democrazia. Non dovremmo mai essere messi nella situazione di chiedere i nostri diritti o affrontare il caos assoluto. Sono entrati in gioco così tanti fattori e così tanti attori esterni che hanno derubato i giovani dei loro sogni, delle loro speranze e della loro capacità di realizzare le riforme di base e della democrazia che stavano chiedendo. Nessuno in Siria voleva questo genere di guerra civile. Questo dimostra fino a che punto il governo siriano e i suoi sostenitori siano disposti ad arrivare solo per mantenere un solo uomo al potere.
AMY GOODMAN: la Russia mantiene il veto alle Nazioni Unite. È un alleato principale della Siria. Si dice che potrebbe sostenere una tregua di 30 giorni, ma non comprende i militanti islamici, e che l’operazione Orientale Ghouta è destinata a continuare.
RAWYA RAGEH: La Russia è un grande sostenitore della Siria sul terreno durante le operazioni militari, e nel Consiglio di Sicurezza fornendo protezione, bloccando i tentativi di indagini sugli attacchi con armi chimiche, o rifiutando qualsiasi tipo di risoluzione. Oggi si tiene un’ennesima sessione del Consiglio di Sicurezza. Su richiesta russa, il Kuwait e la Svezia presentano una risoluzione che prevede l’interruzione dei bombardamenti per 30 giorni.
In realtà, la scusa che il governo russo e quello siriano stanno usando è la presenza dei cosiddetti terroristi in questi settori, è una scusa per andare avanti con ulteriori crimini di guerra contro i civili. Ci sono 400.000 persone assediate nella Ghouta Orientale. Non credo che nemmeno la Russia e il governo siriano abbiano il coraggio di guardare qualcuno negli occhi e dire che tutte queste persone sono elementi terroristici. E la realtà è che gli attacchi hanno preso di mira aree civili, aree residenziali, ben oltre i confini. Perché impedire l’uscita di feriti? Perché impedire l’accesso umanitario a migliaia di queste persone? Queste sono tutte violazioni e crimini contro i civili che il diritto umanitario definisce crimini di guerra, che si elevano anche a crimini contro l’umanità.
AMY GOODMAN: Pensi che ci sia un modo per porre fine alla violenza di Assad per mantenere il potere?
RAWYA RAGEH: Non ho una sfera di cristallo per rispondere a questa domanda. Come ha accennato Alia, è frustrante vedere che la comunità internazionale ha messo in chiaro, più di una volta, che Assad può rimanere al potere. Non è mia competenza fare questo tipo di commenti o analisi politiche, ma quello che posso dire è che si deve mettere fine all’ assedio e fine a questi attacchi contro i civili.
AMY GOODMAN: Ghouta, 400.000 persone, Alia?
ALIA MALEK: La guerra al terrorismo guidata dagli Stati Uniti e il linguaggio in cui è stata incorniciata e la risultante e inevitabile islamofobia, sono stati un dono per i governanti autoritari in Medio Oriente, che sono stati in grado di usare lo stesso identico linguaggio per confermare la loro legittimità internazionale e nazionale. E anche supponendo che ci sia un’alta percentuale di terroristi, il regime non vuole solo sradicare l’opposizione armata, ma il suo obiettivo è quello di ripulire l’area demograficamente. Questa è una tattica che il regime utilizza sin dagli anni ’70. Quando Hafez al-Assad è salito al potere, ha portato un sacco di sostenitori da fuori in Siria, a Damasco, nella capitale, e loro lo circondavano come una barriera.
“Quando finirà la violenza”? Dipende da cosa si intende per “violenza”. Sai, potremmo vedere fermare i bombardamenti aerei, ma il regime ha usato ogni tipo di violenza, per esempio nelle detenzioni, di cui non si parla tanto perché non visibili. Ed è proprio così che il regime ha mantenuto il suo potere. E questo è uno dei motivi per cui i cosiddetti sfollati evacuati non sceglieranno di entrare in aree controllate dal regime e per cui i rifugiati non torneranno dall’estero, perché la minaccia della violenza nelle detenzioni arbitrarie rimarrà una costante.
AMY GOODMAN: Le potenze straniere sono più interessate a una guerra per procura o a un cessate il fuoco? Israele abbatte il drone iraniano e sul confine turco la milizia del YPG curdo siriano ha detto oggi che i combattenti che appoggiano il governo siriano si stanno schierando in prima linea per respingere un assalto turco, secondo Reuters.
RAWYA RAGEH: Ciò di cui tutti gli attori internazionali dovrebbero essere veramente preoccupati in questa fase è principalmente il benessere dei civili. Il diritto internazionale non può essere più chiaro. Gli attacchi diretti contro i civili sono illegali e costituiscono un crimine di guerra. Questi civili hanno vissuto orrori negli gli ultimi sei, sette, otto anni. Sono stati attentamente mirati. Sono stati privati di beni di prima necessità per sopravvivere. Questo tipo di comportamenti, e altre azioni a sostegno di questo tipo di violazioni, è ciò di cui dovremmo davvero preoccuparci. Come risparmiare ai civili questo assalto in corso?
AMY GOODMAN: E, Wendy Pearlman, la tua attenzione va alle voci dei siriani che devono essere ascoltate.
WENDY PEARLMAN: Ci sono voci che chiedono, soprattutto ora, la fine della guerra, la fine della violenza. Le persone vogliono essere in grado di sopravvivere e vivere, provvedere ai propri figli. Quindi c’è bisogno di protezione civile. Sono d’accordo con i miei colleghi sul fatto che questa è la massima priorità in questa fase. Ma c’è anche il sogno e la speranza di libertà, di dignità, di una sorta di transizione politica che permette ai siriani di vivere sotto un sistema di stato e di diritto che protegga i diritti fondamentali e che permetta loro di parlare senza paura. Questi obiettivi politici non sono andati via. Ma prima e soprattutto ora, abbiamo bisogno di proteggere le vite civili.
AMY GOODMAN: Faremo la seconda parte di questa conversazione e pubblicheremo online su democracyny.org. E concluderò dicendo che martedì l’organizzazione umanitaria UNICEF ha rilasciato una dichiarazione quasi vuota sulle uccisioni, scrivendo: “Nessuna parola renderà giustizia ai bambini uccisi, alle loro madri, ai loro padri e ai loro cari”. Ringrazio i nostri ospiti per essere stati con noi. Amy Goodman.
Originale: https://www.democracynow.org/2018/2/22/a_monstrous_campaign_of_annihilation_death