Sedici anni nelle prigioni di Assad hanno fatto di me uno scrittore

Questo articolo è disponibile in originale sulla pagina Facebook dello scrittore.

Traduzione dall’arabo di Nurah EL Assouad
Revisione di Sami Haddad

Intervista di Mustafa Can, noto scrittore svedese, originario del Kurdistan turco allo scrittore siriano Yassin Al Haj Saleh.

“Ringrazio di cuore Tina Abzakh, Abd Al Haj, Firas Al Haqqi e Sameh Khalaf, per le quattro traduzioni che mi sono pervenute di questa intervista. Sono fiero di voi amici miei, ho usato una delle traduzioni che ho revisionato utilizzando un linguaggio più vicino a quello che uso d’abitudine”.

Yassin Al Haj Saleh Sabato 26 Novembre 2017

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La sofferenza non deve diventare l’indice d’identità dei siriani che nel mezzo di questa immensa tragedia devono invece restare creativi. Sono queste le parole dello scrittore siriano YASSIN AL HAJ SALEH, vincitore del premio Tucholsky di quest’anno.

Rilassato su una comoda poltrona di pelle, Yassin Al Haj Saleh si china in avanti per rispondere alla domanda:

«Naturalmente, qualche volta ho pensato di mandare al diavolo la scrittura. Possono le parole rappresentare una guerra, le sue vittime, i dispersi, un paese che si disintegra e crolla a pezzi? Ma…»

 “Ma?”

Muove le mani, guardando la stanza piena di libri sulle mensole della casa della poetessa Sara Mannheimer* a Stoccolma, mi guarda di nuovo e a bassa voce dice:

“L’alternativa è il silenzio e il silenzio è più duro della morte.”

Yassin Al Haj Saleh oggi ha 56 anni, ha studiato medicina ed è per questo che è stato soprannominato “il medico della rivoluzione siriana e la voce della coscienza”. Mercoledì scorso (15/11/2017), lo scrittore ha ricevuto l’annuale premio TUCHOLSKY* al Pen Club* Svedese e negli scorsi giorni è stato impegnato con riunioni, interviste, conferenze e seminari.

Certo, per lui è faticoso a volte parlare della Siria, ma non passa minuto senza che i suoi pensieri siano rivolti alla guerra e al futuro del paese. Lo studente di medicina, di poco più di diciotto anni, viene arrestato dal regime di Hafez Al Assad e detenuto per 16 anni come prigioniero politico.  Da quel momento, i libri diventano la sua via di salvezza.

Questo è quello che mi ha raccontato durante una cena che ci ha riuniti in un appartamento di Stoccolma.

«Sedici anni in una prigione siriana possono distruggere ogni uomo. I libri mi hanno regalato mondi alternativi, mi hanno fatto sentire di appartenere al mondo anche dalla prigione e, soprattutto, mi hanno donato una sorta di visione spirituale che è diventata in seguito la mia arma per affrontare il destino.»

Ride dicendosi lui stesso stupito da quanto romantico sia aggiungere questo valore alla letteratura.

«Sono in debito con i libri, in prigione sono diventato uno scrittore. Dopo otto anni di detenzione ci dettero la possibilità di usare carta e penna. Cominciai subito a scrivere. Scrivevo argomenti di cultura, di società e di libertà. La prigione mi ha dato però qualcos’altro, non di minore importanza. Infatti, quando finii in prigione non ero ancora pronto ad affrontare la vita. Avevo poca pazienza, ero nervoso e incosciente. Il tempo passato in carcere fu per me una seconda infanzia che arricchisse la prima. Non è forse un privilegio enorme per un uomo poter vivere due infanzie?»

Yassin Al Haj Saleh parla in modo assorto, ride spesso, anche quando l’argomento raggiunge l’apice del dolore.

Nel dicembre del 2013 dei gruppi Jihadisti rapirono sua moglie, l’attivista Samira Khalil, già imprigionata dal regime di Assad negli anni ottanta. Da allora non si sa più niente di lei, di Firas, fratello di Yassin, nè di altri suoi amici.

Riesci a convivere con l’idea che forse non la rivedrai mai più?

Sorride, poi i suoi lineamenti si fanno più seri, poi sorride di nuovo.

«Preferisco aggrapparmi alla speranza e continuare a cercare un significato a questa brutalità. Per questo scrivo a Samira.»

Si riferisce alle lettere pubblicate dalla rivista on-line “Al Joumhouria”, precisando che questi brani dedicati a Samira non sono solo lettere ad un amore sequestrato, ma sono anche dediche ad amici scomparsi che forse leggeranno un giorno e sapranno cosa è accaduto in Siria durante il periodo del loro sequestro. Queste lettere sono un ritratto della Siria .

«Il destino di Samira rappresenta il destino di un paese diviso, lei è il simbolo siriano della rivoluzione tradita e dei tanti fronti della nostra battaglia per la libertà, per la speranza e per affrontare l’abbandono. Lei è il simbolo, la prigioniera politica alawita che ha sposato un prigioniero politico di un diverso gruppo sociale. Quando ho scritto le lettere non immaginavo che sarebbero state tradotte in tante lingue e che sarebbero state pubblicate nel mondo. Le lettere erano un metodo per affrontare la mia ferita …Io…Io…»

Dalla bocca di Yassin Al Haj Saleh escono parole sconnesse:

«Vorrei…tu lo sai…Parlare con lei..Io..credo..che lei…»

Stringe gli occhi mentre irrigidisce la mascella, ingoia la saliva e respirando a stento si prende il volto tra le mani. Rimaniamo in silenzio per un bel po’ di tempo.

«Mi sento in colpa per essermi salvato» dice con voce rotta dall’emozione.

«Mi sono salvato, ma lei no, e neanche mio fratello e gli altri.»

Continuare a scrivere in queste condizioni difficili, se non si è emotivi, (e Yassin non lo è), necessita l’organizzazione dei pensieri e il controllo degli strumenti del mestiere. Per questo la scrittura, a suo parere, non può nuocere o diminuire la considerazione che lo scrittore ha di sé stesso. Ma può accadere che l’autore osservando il suo testo pensi:” Non potevo fare di meglio?”

“Scrivo solo quando voglio condividere qualcosa con il lettore, non venero la scrittura, non amo quando lo scrittore eleva la scrittura ad un livello di santità portandola lontano da tutti.”

Si chiede spesso se queste lettere non siano solo un rifiuto dell’idea che Samira sia scomparsa per sempre.

«Vivrà finché continuerò a scrivere. Intendo Samira e la Siria.»

La rivoluzione siriana costituisce il momento tanto atteso da Yassin Al Haj Saleh. Dopo due settimane dal suo inizio, nel marzo del 2011, si isola per poter scrivere lontano da ogni controllo, anche del suo stesso autocontrollo.

«In molti abbiamo sognato il quasi impossibile e abbiamo ottenuto una rivoluzione impossibile. Ho vissuto nascosto in vari posti ed ho scritto molto prima di dover lasciare il paese nel 2013.»

Dopo le 1400 vittime dell’attacco chimico nella Ghouta nel settembre 2013 e l’accordo sulle armi chimiche tra l’America e la Russia, Yassin ha capito che la Siria si dirige verso la distruzione totale.

Con sarcasmo, mi chiede quanto tempo abbiamo a disposizione per l’intervista. C’è tanto da dire sulla Siria e sui motivi per cui oggi vi è una guerra.

«In occidente le persone cercano una spiegazione semplice a ciò che accade nel Medio Oriente, potrei darti una risposta sintetica:

  1. la rivoluzione siriana è scoppiata per cambiare il sistema politico, un popolo assetato di libertà contro un sistema totalitario;
  2. la rivoluzione è stata travolta dal conflitto tra musulmani sciiti e musulmani sunniti. I Jihadisti sono arrivati da più di cento paesi diversi e fanno parte di un movimento globale di Jihadisti precedente alla guerra in Siria. I principali protagonisti di questa guerra di carattere regionale sono l’Arabia Saudita, il Qatar, la Turchia, l’Iran, l’Iraq e il Libano;
  3. l’ingerenza delle potenze coloniali internazionali. Quello che l’Occidente non vuole comprendere è legato alla competizione fra le grandi potenze, di cui quattro su cinque sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza: USA, Russia, Francia, e Gran Bretagna. Insomma, in Siria non si combatte una sola guerra, ma tante guerre che formano insieme una grande guerra contro un intero popolo. Oggi il mondo intero e le sue maggiori potenze stanno lavorando per la riabilitazione di Bashar Al Assad e il rinnovo del suo mandato in un paese afflitto.”

Quello che Yassin Haj Saleh vuole dire è che in Occidente gli esperti acquistano importanza scrivendo sulla Siria, Al Assad o il terrorismo. I media cercano testimonianze di siriani o citazioni che supportino le loro tesi.

 Yassin ripete di continuo che è un “piacere” vivere questo periodo storico malgrado la terrificante guerra in Siria e nonostante il degrado del mondo intero.

«È stupefacente vedere come gli Stati, le religioni, la geopolitica e coloro che rincorrono il potere e la gente comune si esprimano durante queste guerre, e vedere la forza e la speranza disperata di coloro che scappano lasciando le loro case, attraversando campi minati, fili spinati, mari e confini per arrivare in Svezia, ad esempio. Questo oltrepassare i confini sembra una storia vecchia, quasi preistorica, quando i gruppi nomadi si spostavano in un mondo senza confini.»

Vedi un lato “piacevole” in tutta questa tragedia? Anche in quello che ti è accaduto?

«Malgrado la sua atrocità, la guerra ci insegna a vivere i momenti difficili. È accaduto tante volte, ovunque e in ogni momento. L’unico modo per sopportare il peso delle perdite e per onorare i nostri amici e i nostri cari è di essere creativi ed estrosi proprio nel mezzo di tutta questa oscurità. Non è piangendo che dobbiamo esprimere la nostra identità anche se essa si è formata nella sofferenza. Dobbiamo essere organizzati, e questo è ad oggi il punto debole di noi siriani. Abbiamo bisogno di movimenti che partono dal basso e di un orientamento veramente repubblicano che attirino l’attenzione generale sulla Siria a livello internazionale. Tutto ciò è necessario ed è l’esercizio più adeguato per un mondo nuovo. Dobbiamo avere nuove idee, dobbiamo affrontare nuove idee e cercare nuovi simboli e metodi, per potere interagire con la regione, la politica e il mondo intero.»

Stai dicendo a chi ha perso tutto: “Basta piangere, siate creativi?”

«Riconosco di dovere utilizzare un linguaggio diverso, meno duro e più moderato quando dico questo. La guerra non è un’opportunità per capire il mondo, bensì per cambiarlo e questo tramite la nostra esperienza e il nostro legame con la storia, per raccontarla noi e non farla raccontare da altri. Per esempio, la sinistra tradizionale europea collega la storia della nostra lotta alla guerra all’imperialismo, contro il quale dovrebbe essere lei a combattere.  Ma noi non ci riconosciamo in questa storia, e tirando le somme gli autori di questa versione si sono ritrovati in un modo e nell’altro molto più vicini a Bashar Al Assad.»

 L’avvenire della Siria

Yassin Al Haj Saleh conferma che è dovere degli scrittori e degli intellettuali resistere alla tentazione di predire il futuro della Siria perché vorrebbe dire parlare senza sapere, e in questo contesto vede che la guerra non è solo in Siria e nei dintorni.

«Come può un siriano che vive in esilio rispondere alle domande sul futuro della Siria, quando Putin, Trump, l’Iran, l’Arabia Saudita, la Turchia e altre potenze hanno messo dito nel paese in tanti modi? Non esiste un modo “dolce” per esprimere una verità “amara”, mi consola solo sapere di non essere gli unici ad essere “oltraggiati”, ma lo è il mondo intero!»

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*Sara Mannheimer: (nata il 26 maggio 1967 a Lund) è una scrittrice svedese, vincitrice del premio UE per la letteratura.

*Premio TUCHOLSKY: Riconoscimento agli scrittori che combattono la libertà di espressione e di pensiero.

*Il PEN club è la più antica organizzazione internazionale di scrittori e letterati, tra i suoi obiettivi vi è la difesa della libertà di espressione di scrittori e giornalisti perseguitati o minacciati per le loro idee.

 

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