“De l’ardeur”, ritratto di un’icona siriana.

Justine Augier ha condotto un’indagine completa ed edificante sulle tracce di Razan Zaitouneh, avvocata siriana rapita nel 2013, che documentava le esazioni del conflitto.

Di Hala Kodmani
Traduzione di Giovanna De Luca

Dal sito Libération «De l’ardeur», portrait d’une icône syrienne
Sull’ardore, ma anche sull’audacia e la laboriosità , ha accertato Justine Augier nel tracciare il percorso di un’icona della rivoluzione siriana che scopre dopo la sparizione forzata dell’una e dell’altra. Una scommessa rischiosa per una straniera che si é addentrata in una storia recente e incandescente, affascinata legittimamente da un’eroina, dalla sua causa e dal suo destino, sacra per centinaia di migliaia di siriani. L’autrice riporta nel prologo del suo libro la reazione di uno di loro: “Mi ha detto che quello che scrivo non gli sarebbe piaciuto, che non ci sarei riuscita, che dopo tutto, la sua storia non mi riguardava”. Lei persiste nella sua impresa, riconoscendo la ricerca di identificazione con la sua eroina, “perché c’é stato un lungo periodo durante il quale avrei voluto essere- e io stessa ho creduto di poter diventarlo – come Razan”. Sottolinea: “Abbiamo la stessa etá. Io e Razan”.

Razan Zaitouneh aveva 37 anni quando, nella notte tra il 9 e il 10 dicembre del 2013, veniva portata via a Douma, cittá alla periferia di Damasco, “liberata” dalle forze del regime di Bashar Al Asad e controllata da gruppi armati della rivoluzione siriana. Al mattino successivo, l’appartamento dove risiedeva con i suoi tre compagni-suo marito Wael Hamadeh, Samira Khalil e Nazem Hamadi- viene svuotato dai suoi occupanti e dai loro computer e cellulari.

Ispirazione. “Ancora oggi non si sa cosa gli sia successo”, afferma Justine Augier, che si é lanciata a sua volta nell’indagine condotta in vano, dopo piú di quattro anni, presso i parenti dei “quattro scomparsi di Douma” ma anche di decine di militanti siriani, e delle organizzazioni internazionali per i diritti dell’uomo, poiché l’avvocatessa siriana era una figura conosciuta in questi ambienti, soprattutto per la sua lotta in difesa dei prigionieri politici. É diventata un referente per i suoi contatti stranieri e un modello per i democrati siriani, gettandosi follemente nella sollevazione del marzo del 2011 contro la dittatura e per la libertá. Piú che partecipante, é presto diventata un’ispirazione e un’organizzatrice delle manifestazioni pacifiche nella capitale siriana e i suoi dintorni attraverso i comitati local di coordinazione della rivoluzione che lei ha co-fondato.

Tanto per le strade, come davanti al suo computer, la si segue attraverso le sue pagine, eliminate dai servizi di sicurezza del regime. Piccola e nervosa, questa donna bionda con gli occhi azzurri sopravvive in clandestinitá durante piú di due anni. Rifiutando categoricamente di lasciare il paese come hanno fatto la maggior parte degli altri militanti democrati siriani, che hanno lasciato il paese, la giurista documenta tra l’altro le esazioni commesse innanzitutto dal regime, poi da alcuni gruppi ribelli. Il Violation Documentation Center (VDC), che Razan Zaitouneh creó nella primavera del 2011 e che continua ancora oggi ad essere funzionante, si impone come una fonte preziosa e fidabile per le ONG che si occupano della difesa dei diritti umani. Uno degli ultimi crimini che ha potuto documentare é di gran portata: si tratta dell’attacco chimico del 21 agosto 2013 condotto dalle forze del regime, che ha ucciso circa 1.500 persone nella Ghouta, dove l’avvocatessa aveva trovato rifugio.

Per restituire il personaggio e la storia straziante della sua eroina in tutta la sua intensitá, Justina Augier non ha risparmiato ne tempo ne sforzi. Per colmare la distanza di qualche anno e di un centinaio di kilometri, dal Libano, dove risiede, si é immersa durante piú di due anni nella lettura di decine di libri e testi sulla dittatura degli al Asad, e nella lettura di articoli di Razan Zaitouneh. Cita abbondantemente, a volte pagine intere, opere di referenza come “Siria, Stato di barbarie”, del ricercatore Michel Seurat, morto in esilio nel 1986, o “La Conchiglia”, romanzo sull’orrore nelle carceri, di Moustafa Khalifé. Ha visionato ore di video e documentari per captare le rare immagini di Razan Zaitouneh, descritto minuziosamente il suo ritratto e indovinato i suoi pensieri. Ha reincontrato tutti coloro che, da vicino o da lontano, sono legati all’avvocatessa rapita, le sue sorelle, oggi in esilio, i militanti per i quali lei resta un esempio. Aggiunge al suo testo testimonianze anonime che ha raccolto da rifugiati siriani in Libano, dove ciascuno racconta una scena, un luogo, un momento, un dramma tra i tanti del lungo calvario del loro paese. Condivide con passione ed emozione la scoperta di figure, martiri e avvenimenti che hanno marcato la tragedia siriana. Una lettura edificante per il lettore poco familiriazzato con il conflitto che dura da quasi sette anni, e un rivivere ricordi dolorosi per coloro che hanno vissuto o seguito le tappe di una rivoluzione confiscata, dimenticata, tradita.

Immersione. In questo colossale lavoro di inchiesta e documentazione, l’insieme di elementi, immagini, di citazioni e di testimonianze sembra quasi essere un racconto. Ci si aggiungono digressioni dell’autore in forma di riflessioni giudiziose dell’autore su “la storia di un fallimento comune” o, a propósito dello Stato Islamico, de “la facilitá degli occidentali a lasciarsi pietrificare”. Ma si incrostano igualmente alcune considerazioni personali dell’autore, alle volte senza alcun collegamento con quello che si é proposto, di altri luoghi o altre letture. Justine Augier riesce raramente a dimenticare tutto durante tutto il libro. Spiega ampiamente, nella quarta parte ed epilogo, ammette che lei “prova una grande difficoltá a smettere di scrivere”. Non vuole uscire dalla sua immersione nella storia della Siria di Razan Zaitouneh e dei suoi prossimi. Lei vuole” appartenere alla comunitá di coloro che hanno conosciuto Razan”, fino a condividere la loro terribile incertezza sul destino dell’avvocatessa scomparsa. Presa dalla passione per la sua eroina, lei vuole crederla in vita, “vuole abbracciarla”. Lei riesce cosi bene a far condividere questa legittima passione che vorrebbe solo far a meno di giustificarla.

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