Om Sameeh…”Se i limoni di Jaffa scrivessero”*

il

Di Ossama Nassar, pubblicato il 13 settembre 2016 su Rising for Freedom.

Truduzione di G.De Luca

Om Sameeh alla guida.

Il nostro pickup Suzuki riusciva a malapena a farsi strada tra le macerie in un’area bucherellata dai proiettili atterrati su Jobar, l’area della Ghouta più vicina a Damasco. I bombardamenti quotidiani ed incessanti hanno trasformato l’area in cumuli di detriti, parti di essa rimangono abitate. Nuove strade e vicoli sono stati scavati tra le macerie.

Non era l’ora della preghiera, ma l’Imam stava aspettando all’ingresso di ciò che restava della sua moschea. “Ciao Om Sameeh, che Dio ti protegga” Saluta la donna alla guida del nostro Suzuki. Lo saluta e chiede il suo aiuto per distribuire il carico in macchina per poterlo ripartire, nell freddo pungente.

Non troverai nessuno nella Ghouta orientale, specialmente tra i poveri, che non conosca “zia Om Sameeh”. È un’attivista esperta che, insieme al martire Abu Murshid Mdallal, ha fondato un’organizzazione di soccorso e ha assunto molti ruoli al suo interno: contabilità, documentazione e fotografia, marketing e pubbliche relazioni, inventario e distribuzione e guida del pickup Suzuki.

Om Sameeh (il suo vero nome: Faten Abu Faris) ha conseguito una laurea in letteratura inglese presso l’Università di Damasco. Ha lavorato come traduttrice prima dell’inizio della rivoluzione, come suo padre era nato a Jaffa, in Palestina.

Om Sameeh si sveglia prima dell’alba. Prega e chiede misericordia per i suoi amici martiri, e sollievo per suo figlio, Sameeh, scomparso tre anni fa nelle carceri del regime. Fu arrestato solo pochi mesi prima di laurearsi in medicina. Era solito assicurarsi farmaci per i malati e i feriti e allestire ospedali da campo per aiutare coloro che erano stati uccisi o feriti dai soldati del regime e dai suoi sgherri.

Come tutte le madri dei detenuti e degli scomparsi, il dolore per la sua perdita non si placa mai. Non ha mai smesso di cercare di cercarlo: “Dov’è? Ho sentito che è nel ramo dell’intelligence dell’aeronautica. È vivo? Yara Sabri mi ha detto che è stato trasferito a Saidnaya. Vivrò abbastanza per vederlo realizzare il suo sogno di diventare un neurochirurgo?”

Nei primi giorni della rivoluzione, Om Sameeh era attiva in proteste e sit-in. Successivamente è passata al lavoro di soccorso e ha avviato una piccola organizzazione che ha chiamato “Suwayda’s kitchen of the free” dove ha cucinato pasti gratuiti per coloro che ne avevano bisogno. Il nome è ispirato dai suoi amici di Suwayda (la maggior parte dei quali ha incontrato nei sotterranei del regime) che hanno chiesto come sostenere la rivoluzione quando la loro città era “tranquilla”. Si sono offerti di fare donazioni in denaro che avrebbe destinato a coloro che ne avevano bisogno nell’irrequieta Ghouta orientale. Non è un caso che il nome indichi un messaggio di unità nazionale.

Il progetto si è evoluto e ha incluso più volontari (di diverse aree e sette), che hanno spinto Om Sameeh a cambiare il nome in “One Hand Kitchen”. Quando l’ambito del lavoro si espanse oltre la cucina, ha sostituito “cucina” con “fondazione”. E anche se il co-fondatore, Abu Murshid Mdallal, è morto, la fondazione è sopravvissuta ed è stato adottato un nuovo nome: Abu Murshid Mdallal Foundation – One Hand.

La fondazione, dove Om Sameeh fa qualsiasi cosa, offre sollievo nelle aree assediate in tutte le forme, convenzionali e non. Da cesti di cibo, pasti cucinati, latte artificiale, medicine, articoli per la casa, sponsorizzazioni per orfani (più di 160 adozioni), a vestiti, coperte, caramelle, giocattoli, feste per bambini, materiale scolastico, legna da ardere, cisterne di acqua potabile, riparazione di case bombardate, e donazioni in denaro.

Om Sameeh gestisce anche la pagina Facebook della fondazione. Diventa creativa nei suoi post sul lavoro che svolgono, assicurandosi di menzionare coloro che hanno donato denaro per nome a meno che non chiedano di rimanere anonimi. Anche se rifiuta di fotografare le persone che ricevono gli aiuti, alcuni visitatori online riescono comunque a criticare l’esibizione dei donatori o l’umiliazione dei bisognosi.

Uno dei post della pagina recita: “14 luglio 2016: la Fondazione Mahmoud Al-Mdallal (One Hand) ha consegnato un pannello solare da 6 Amp e una batteria da 100 Amp al Centro per il Supporto Psicologico dei Bambini di Harasta. Il centro terrà 3 eventi ogni settimana in cui verranno offerte attività e dolci”.

Nonostante le sue difficoltà finanziarie, Om Sameeh non respinge mai nessuno. Imperterrita, trova sempre un modo e una ragione per aiutare e creare gioia. La sua “ossessione” potrebbe farle vedere un evento imminente nei suoi sogni. Potrebbe alzarsi dal letto per cuocere una torta e decorarla con candele e stelle filanti per una classe di bambini della scuola materna. Oppure riempire la sua macchina con lastre di ghiaccio da dare a chi non ha elettricità o denaro in modo che possa bere acqua fredda. Potrebbe riuscire a contrabbandare un barattolo di caffè nella Ghouta da dare a un ex-tossicodipendente che ha dovuto fare a meno della sua dose giornaliera a causa degli anni di assedio.

Non è raro che viaggi per tutta la Ghouta orientale in un giorno per raggiungere aree delle quali solo lei conosce l’esistenza, dove ci sono persone che hanno bisogno del suo aiuto. Se le capitasse di passare per un quartiere povero, tutti, vecchi e giovani, si metterebbero in fila con le loro ciotole in attesa che Om Sameeh le riempisse di cibo e gioia, come fa sempre.

Si trova più spesso in aree dove si intensificano i bombardamenti. Potrebbe andare in una direzione al mattino e ritrovarsi incapace di tornare indietro per la stessa strada a mezzogiorno perché la strada è stata distrutta. Non cammina schivando i proiettili come Om Saed, l’eroina delle storie di Ghassan Kanafani, ma i missili.

Scena (non da un romanzo o da un film ma da un giorno nella vita di Om Sameeh):

Durante le lotte intestine tra le fazioni ribelli di Al-Ghouta, ciascuna fazione considerava l’area intorno ai propri punti militari di sua proprietà. Si sono barricati e hanno messo sacchi di sabbia. I combattenti si sono scusati con Om Sameeh e hanno spiegato che i negoziati erano finiti e che alle auto non era consentito il passaggio. Le pentole dei cibi cotti venivano trasportate a mano sui sacchi di sabbia che separavano i villaggi. Om Sameeh ha lasciato la sua auto sul lato ovest dell’argine ad Harasta e ha preso in prestito un altro pick-up (altro Suzuki) dal lato est di Douma, e per la sua strada è andata, ricordandosi di dare ai soldati ai posti di blocco le loro parti di cibo, deliziose, rispetto alle loro solite razioni quotidiane.

Scena:

Mentre le battaglie infuriano tra le fazioni della Ghouta, trovi un post sulla pagina “One Hand” che sembra troppo poetico per provenire da quella zona. Mostra un video nel quale Om Sameeh ha catturato due caprette che pascolano nel campo e si sente dire: “La seconda capra ha dato alla luce due bellissimi cuccioli. Congratulazioni!”

Il suo ultimo progetto è noto come “Pasti mirati”, come ama chiamarlo. Om Sameeh ha notato che le cucine dove si preparavano pasti per chi me aveva più bisogno si moltiplicavano rapidamente e la mancanza di coordinamento portava inevitabilmente allo spreco. Era diventato comune vedere il cibo nei bidoni della spazzatura anche se altre persone in un quartiere vicino avevano fame. Ed è risaputo che gli aiuti disponibili non soddisfano la domanda. Pertanto, Om Sameeh ricorse a preparare pasti a base di Kibbeh o altri cibi “fantasiosi” per alcune delle famiglie più povere.

Om Sameeh è stata spinta, per le stesse ragioni, ad avviare progetti di abilitazione alla comunità come assicurarsi finanziamenti per un piccolo progetto o acquistare macchine da cucire per un’officina a Kafr Batna dove potevano lavorare le mogli dei martiri o dei detenuti. Ha avuto successo nell’aiutare a creare piccoli chioschi di gas, bancarelle di generi alimentari e negozi di materiale scolastico. Ha comprato lei stessa i contenitori, gli strumenti di misurazione e l’inventario e ha iniziato con giovani amputati e una donna con necessità speciali.

Le piace essere chiamata “zia Om Sameeh” anche dalle donne o da quelle più grandi di lei. Si irrita quando gli altri la criticano per aver indossato i pantaloni, non perché siano indecenti, ma perché sono pantaloni. O perché è una donna, o una donna che guida un camioncino. O diciamo perché il suo lavoro li rende consapevoli di quanto siano piccoli e incapaci. Ciò non le impedisce, tuttavia, di far si che anche loro si beneficino del suo lavoro.

Scena:

Non essendo un suo fan, uno degli investigatori della filiale dell’intelligence di Al-Khateeb la spinge e le urla beffardamente “Pensi di essere Madre Teresa?”

Om Sameeh non è solo un caso o una storia di determinazione e successo, è un fenomeno. Incarna umanità, sacrificio e donazione, amore per il bene, amore per i poveri, i deboli e gli oppressi. È un simbolo di altruismo e dignità, della Palestina e delle cause abbandonate, e di altri nobili valori che attraggono gli opportunisti che li sfruttano a loro vantaggio. Se ne rende conto, ma si eleva ancora al di sopra di loro e si rifiuta di prendersi il merito, anche se è stata detenuta 3 volte durante la rivoluzione e aveva partecipato a movimenti per il femminismo e la causa palestinese prima della rivoluzione.

È consuetudine che il sole tramonti su Om Sameeh mentre è al cimitero locale, pregando per le stelle luminose che l’hanno lasciata e innaffiando le piante sulla tomba di Abu Murshid mentre si chiede: perché sei andato via prima di me, amico?

*Il titolo è una citazione da una poesia scritta dal famoso Nizar Kabbani.

Tradotto dall’arabo da Dima Alghazzy

PS: Essendo tornata la zona della Ghouta sotto il controllo del regime, Om Sameeh ha deciso di portare il suo attivismo tra coloro che più ne hanno bisogno nella provincia di Idlib e tra gli abitanti dei campi profughi.

Questo il link della sua associazione:

https://m.facebook.com/%D9%85%D8%A4%D8%B3%D8%B3%D8%A9-%D9%8A%D8%AF-%D9%88%D8%A7%D8%AD%D8%AF%D8%A9-839406292797617/

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