Nel mezzo di questa pericolosa resa dei conti, le voci degli iracheni devono essere ascoltate

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Scritto da Ahmed Saadawi e pubblicato il 6 gennaio 2020 su The Guardian

Traduzione a cura di Giovanna De Luca, revisione di Piero Maestri
I manifestanti pacifici hanno il sostegno delle comunità sunnite e sciite nel tentativo di ripristinare l’indipendenza

Per quelli di noi in Iraq che ricevono le ultime notizie dai gruppi di WhatsApp, l’alba del 3 gennaio è stata piena di apprensione e paura. Sembrava uno dei grandi eventi del recente passato: la notte della dichiarazione di guerra nel 2003, la notizia dell’arresto di Saddam Hussein, il giorno della sua esecuzione o il giorno in cui l’esercito iracheno è crollato di fronte all’occupazione dello Stato Islamico di Mosul .

A questo elenco ora possiamo aggiungere: il giorno in cui gli americani uccisero il generale Qassem Suleimani, comandante della forza iraniana di Quds, e Abu Mahdi al-Muhandis, vicecapo delle Unità di mobilitazione popolare irachena (PMU), un gruppo ombrello di milizie sostenute dall’Iran.

Tutti avevano sentito la notizia prima ancora che il sole sorgesse, circolavano immagini orribili dei resti dei cadaveri.

Alcuni hanno ipotizzato che i due uomini più influenti in Iraq fossero tornati nella zona verde di Baghdad per aumentare la pressione sul parlamento e sul presidente per fargli proclamare un nuovo primo ministro. L’Iraq ha avuto un governo custode dalle dimissioni autunnali di Adel Abdul Mahdi, sulla scia delle proteste – per l’economia e la corruzione – guidate dai giovani e dai più poveri. Lo scopo di questa pressione sarebbe stato quello di nominare una figura filo-iraniana che essenzialmente continuasse le politiche di Abdul Mahdi – egli stesso accusato dai manifestanti iracheni di essere una pedina iraniana.

Come mi ha scritto un amico, in un messaggio ironico su WhatsApp che, per paura, non ha pubblicato su Facebook: “L’attentato americano non è un attacco alla sovranità irachena, ma alla sovranità iraniana. Purtroppo, non esiste sovranità irachena. ”Sin dall’inizio delle operazioni per liberare aree sotto il controllo dell’Isis nell’autunno 2014, per le quali americani e iraniani hanno agito in un’alleanza efficace, non è stato più un segreto il fatto che la scena politica irachena sia stata completamente catturato dall’Iran.

Screenshot_20200112_202954Foto di Murtaja Lateef/EPA: un manifestante a Baghdad a dicembre

 

In una certa misura, ciò è accaduto con la tacita accettazione degli americani; e proprio come gli iraniani, che sono venuti a trattare l’Iraq come un mero protettorato, così pure Washington. Tratta l’Iraq come una terra in cui può fare tutto ciò che gli piace, dal colpire i magazzini che armano il PMU la scorsa estate e colpire la milizia irachena di Hezbollah nella città di Qaim sul confine iracheno-siriano, fino ai recenti attacchi aerei. Erano tutti atti unilaterali che non sono stati coordinati con le autorità di sicurezza irachene e il governo iracheno non ne era a conoscenza fino a poche ore prima o addirittura dopo. Questa persistente violazione della sovranità ha contribuito alla stesura della risoluzione del parlamento iracheno domenica, risoluzione nella quale si ordina a tutte le truppe straniere di uscire dal Paese.

Dopo l’attacco, i manifestanti a Baghdad e in altre città hanno rilasciato dichiarazioni che condannano l’assassinio americano di Solimani e augurano pietà per i martiri “che hanno avuto un ruolo nella lotta contro Isis”. Queste dichiarazioni rivelano l’opposizione dei manifestanti alle azioni statunitensi in Iraq. Ma indicano anche cautela su come potrebbero reagire le fazioni armate filo-iraniane che operano in Iraq – questi sono gruppi che originariamente accusavano i movimenti di protesta di essere controllati dall’ambasciata americana a Baghdad.

Contrariamente alla cupa e triste reazione in Iran, parte della popolazione sciita irachena non sembra essere sconvolta dalle uccisioni di Solimani e al-Muhandis. Loro, specialmente i sostenitori delle manifestazioni, possono persino essere sollevati. Dopotutto, questi erano i due uomini responsabili della brutale repressione delle manifestazioni dall’inizio di ottobre. Repressione nella quale sono morti oltre 500 manifestanti pacificie oltre 19.000 sono stati feriti, alcuni di loro vivono attualmente con disabilità permanenti.

Abdul Mahdi, un intellettuale che parla correntemente il francese, gestiva un governo che era un fronte per le forze della milizia, che operano nell’ombra, ignorando le leggi e i costumi. Questa non è stata una ricetta di successo per mettere al primo posto gli interessi del popolo iracheno. Il governo ha trasformato l’Iraq in un palcoscenico per la geopolitica regionale, piuttosto che soddisfare le pressanti esigenze degli iracheni che chiedono di migliorare i servizi pubblici e lo sviluppo economico, nonché integrare la generazione post-2003 – che ora è in cerca di lavoro – nella società.

Quando queste persone sono scese in piazza lo scorso settembre, il governo di Abdul Mahdi ha risposto con cannoni ad acqua che sparavano acqua bollente. Ha rimosso i mercati improvvisati da cui dipendono i poveri quartieri sciiti. Questa rabbia diffusa ha alimentato e aiutato ulteriormente a spingere centinaia di migliaia di giovani nelle strade. Ciò non è avvenuto su richiesta degli Stati Uniti o di altri, ma a causa delle azioni goffe del governo; e invece di prendere sul serio queste proteste, il governo le ha viste come una cospirazione dei paesi del Golfo con USA e Israele contro l’Iraq e l’Iran e ha mandato in piazza uomini armati della milizia per schiacciarle.

La violenta repressione dei manifestanti iracheni da parte del governo e delle fazioni armate è stata un momento fondamentale che ha completamente isolato la classe politica dalla società. I manifestanti che hanno continuato le loro manifestazioni hanno un ampio sostegno da parte delle comunità sciite e sunnite irachene. Continuano a chiamare l’attenzione sui social media con un hashtag in partucolare: “Vogliamo una nazione”.

La battaglia per procura in corso tra americani e iraniani – e l’emaciato governo iracheno – sono tra i motivi che stanno guidando questo movimento per una nazione restaurata, che persisterà nonostante gli eventi della scorsa settimana. Sono i manifestanti che rappresentano la vera volontà del paese, il loro desiderio di ripristinare l’indipendenza dell’Iraq e liberarla dai suoi sequestratori iraniani e americani.

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