di Elias Khoury, pubblicato su Al-Quds Al-Araby (17 dicembre 2017) رزان زيتونة ورفاقها: ثقافة الحرية
Traduzione dall’originale arabo di Marianna Barberio
Il rapimento di Razan Zaytouneh, Samira Khalil, Wael Hamada e Nazem Hamady1 a Douma, nel Rif di Damasco, dove a prevalere è il Jaysh al-Islam2 (o Esercito dell’Islam), suscita interrogativi profondi non solo sul corso della rivolta del popolo siriano esposta a violazioni da parte dei fondamentalisti e dei rispettivi protettori dei Paesi del Golfo, ma anche sulla cultura democratica in Siria e nel mondo arabo.
La Siria è in bilico tra due jinn (o demoni): il primo, rappresentato da un regime autoritario che entrerà nella storia del mondo come il più grande detentore di record di brutalità e barbarie; e l’altro, personificato nelle potenze regionali e internazionali le cui posizioni e attività si trasformeranno in una scuola di dissolutezza, cinismo e opportunismo. Nella danza della morte e distruzione praticata dai due demoni sui cadaveri del popolo siriano si contano interessi, diversi accordi e un obiettivo comune, quello di distruggere ciò che resta della patria e trasformare il popolo siriano in un modello straziante per quanti sognano cambiamento e libertà.
Ma il gioco non è finito come credono i due demoni mentre si trovano a fronteggiare un duello brutale, dove il regime autoritario baathista supera gradualmente il suo avversario: una vittoria temporanea che potrebbe concludersi solo con la morte dei due contendenti.
Il gioco non si è concluso con il regime autoritario che arresta i rivoluzionari e i giovani del coordinamento per poi ucciderli nel momento in cui ha aperto le porte della sua prigione a migliaia di fondamentalisti, spingendo la rivoluzione a cadere nel Golfo fondamentalista e nelle tentazioni di al-Qaeda e il regime verso un altro fondamentalismo – finanziato anch’esso dal petrolio – affinché la Siria entrasse nel tunnel di una lunga guerra settaria.
Il gioco non si è concluso perché il battito della rivoluzione non si è interrotto e non cesserà. Per questo il fondamentalista Daesh è arrivato ad attaccare il Centro di Documentazione sulle Violazioni di Ghouta in Siria3 e a privare questa costellazione della libertà, come è accaduto con il rapimento di Padre Paolo Dall’Oglio e di decine di combattenti che si sono rifiutati di piegarsi a questa nuova mentalità baʽathista, avvolta dal manto della religione.
Tutti loro sono baathisti in un certo senso. Sono gli allievi di Aflaq4 che hanno voluto risuscitare la Umma (comunità) dalla morte, ma l’hanno uccisa, recando solo degenerazione, settarismo e razzismo. Sono gli allievi di Hasan al-Banna,5 Said al-Qutb6 e Muhammad Ibn Abdul Wahab7 che hanno voluto far rivivere l’era del califfo al-Rashid ma hanno diffuso solo odio e fanatismo. Sono gli allievi di Khomeini che hanno voluto recuperare il fondamentalismo ma hanno risvegliato solo sogni imperialisti e le ferite di conflitti settari.
Da tempo il poeta Khalil Hawi8 aveva terminato la leggenda della rinascita e della resurrezione nel suo poema “Lazzaro” nel 1962. Quando a dargli ragione fu solo la distruzione della città di Beirut nel 1982, egli stesso si suicidò per non assistere all’assurdo percorso intrapreso dal gruppo della rinascita barbara nell’oriente arabo.
Il gioco non si è concluso così come non è terminata la cultura araba. Basta osservare il modello presentato da Razan Zaytouneh e dai suoi compagni per convincerci che la cultura è lì, nei sotterranei del Jaysh al-Islam o di altre fazioni come Daesh. Lì è lo spirito della cultura ribelle e viva. La costellazione di combattenti non si è limitata a documentare i fatti della rivoluzione, ma ha portato con sé una visione critica affrontando il vortice della duplice repressione con determinazione, testardaggine e fede nel vento della rivolta, che è più forte del vento dell’oppressione. È la parola la vera arma, e non quell’arma guidata dalla cultura squadrista del Baath – quale che sia il suo nome – nemica della libertà e della gente.
Proprio qui, cari amici oggi scomparsi, nella vostra assenza impariamo l’abc della libertà. Con voi, ovunque voi siate, sono nate nuove parole, pure ed efficaci. Voi riassumete oggi il significato dei sacrifici del popolo siriano dinanzi alla paura, alla neve e al rifugio. Voi siete la Siria che amiamo, il nostro arabismo che ci rende figli della sofferenza siriana.
Non fidatevi, amici, degli impostori degli alberghi a cinque o sette stelle o non so quante altre, che siedono al tavolo di un tiranno e affermano di combattere con i propri soldi un altro tiranno.
Coloro i quali hanno abbandonato il popolo con diversi pretesti, tirando le somme della rivolta e criticandola sin dal primo giorno, traendone una lezione che deriva dalla loro codardia, dal loro settarismo nascosto dietro affermazioni progressiste che non trovano fondamento o posto se non in una cultura baathista mascherata o coloro che si sono trasformati in servi di imperatori del gas e del petrolio, vendono ai propri signori una mandria di intellettuali e a noi presentano un discorso secolare avvolto nel kerosene di cellophane.
Non crediate, amici miei, che quelli che presiedono la scena rappresentino la cultura, perché quelli diverranno come i loro simili che hanno scritto e dominato nell’era del “Libro Verde” e delle opere letterarie di Gheddafi; essi andranno a definire la cultura della vergogna. Non crediate loro! Voi siete la cultura e la libertà! Voi siete la Siria!
È vero che oggi siete in esilio e che la vostra tragedia è un’estensione della tragedia del popolo, ma in voi si conserva la nostra sete di libertà, di dignità e umanità. Per mezzo di voi e delle vostre gesta di intellettuali siriani coraggiosi, è scritta la nostra cultura in Oriente e questa sarà il segnale di uscita dall’oscurità di una simile cultura che come un serpente si stringe al nostro collo.
Non ci dispereremo. Non ci resta che la speranza. Le nostre nazioni ci hanno ferito. Il nostro dolore è tremendo, un dolore che non può essere espresso diversamente. Ma noi non indietreggeremo. Il prezzo che è stato pagato è stato più alto di quello che avrebbe permesso a chiunque altro, con un minimo di dignità, di indietreggiare.
Razan Zaytouneh, Samira Khalil, Wael Hamada e Nazem Hamady sono nomi incisi con la luce della libertà, e non saranno sopraffatti dalle forze dell’inferno, della tirannia e da tutte le prigioni della terra.
Per voi, con voi e per mezzo di voi sono nate le nazioni; per voi accendiamo le fiamme delle parole che squarciano quest’oscurità.
Razan Zaytouneh, Samira Khalil, Wael Hamada e Nazem Hamady: Jaysh al-Islam (l’Esercito dell’Islam).
[1] Razan Zayoutneh, Samira Khalila, Wael Hamada e Nazem Hamady sono stati rapiti nel dicembre 2013 nel sobborgo di Douma. Razan Zaytouneh è un’attivista e avvocato per i diritti umani. Per il suo forte impegno durante la rivoluzione fu costretta a nascondersi per le accuse del regime e l’arresto di suo marito, Wael Hamada, anche lui attivista e tra gli scomparsi di Douma. Samira Khalil è una dissidente siriana, ex prigioniera politica (dal 1987 al 1991) e attivista sin dal primo giorno della rivolta.Nazem Hamady è un avvocato, attivista e poeta siriano.
2 Jaysh al-Islam (Esercito dell’Islam in italiano) è una coalizione di unità islamiste e salafite nella guerra civile siriana. La sua base operativa è stata Damasco, in particolare la città di Douma e la regione di Ghouta orientale. Originariamente conosciuto come Liwa al-Islam (o Brigada dell’Islam) fa parte del Fronte Islamico e rappresenta il maggiore fronte di ribellione nella regione. Nel marzo 2015 Jaysh al-Islam e il Comando Militare Unificato di Ghouta orientale formano il Consiglio Militare di Damasco e dei suoi sobborghi, al cui comando il leader Zahran Alloush. Il gruppo intende creare uno stato islamico sotto la guida della shariʽa o legge islamica.
3 Il Centro di Documentazione sulle Violazioni di Ghouta in Siria è una ONG locale fondata da Razan Zaytouneh e Mazen Darwish nel giugno 2011 che comprende attivisti di opposizione siriani il cui scopo è quello di documentare le violazioni sui diritti umani perpetrate contro la popolazione dall’inizio della guerra.
4 Michlel Aflaq è stato un politico siriano. È considerato il fondatore del Partito Baʽath nel 1947 che rappresentò nel secondo dopoguerra una delle forme più diffuse e organizzate del nazionalismo arabo. Pur essendo fondatore dell’ideologia del partito, Aflaq ebbe pochi legami con le forze baʽathiste che presero il potere in Siria nel 1963 o in Iraq con Saddam Hussein. Nei suoi scritti Aflaq parla di libertà di parola e di difesa dei diritti umani, oltre a proclamare la necessità di aiutare le classi meno abbienti. Queti ideali non furono mai messi in pratica dai regimi che dicevano di ispirarsi ai suoi insegnamenti.
5 Hasan al Banna è stato un politico e religioso egiziano, ideologo e fondatore del gruppo dei Fratelli Musulmani nel 1928, uno dei movimenti politici e religiosi più influenti nel mondo islamico. Fu ucciso al Cairo nel 1949 da Anwar Sadat, all’epoca giovane ufficiale dei servizi segreti del re Faruk.
6 Said al-Qutb è stato politico egiziano, autore, educatore, teorico islamista e poeta. È uno dei massimi esponenti e ideologici del movimento dei Fratelli Musulmani negli anni ’50 e ’60. Nel 1966 fu accusato di progettare un colpo di stato contro il presidente Gamal Abdel Nasser e fu quindi condannato a morte insieme ad altri sei membri della Fratellanza.
7Muhammad Ibn Abdul Wahab è stato teologo arabo, nato nella regione del Najd, l’odierna Arabia Saudita. Fondatore del movimento wahhabita che da lui prende il nome ha dedicato la sua esistenza alla riforma della religione islamica mediante un ritorno al messaggio iniziale dell’Islam. Per oltre due secoli il wahhabismo è stato il credo dominante nella penisola Araba e nell’attuale Araia Saudita. Rappresenta una forma estremamente rigida dell’Islam sunnita e consiste in un’interpretazione letterale del Corano.
8 Khalil Hawi è stato un poeta libanese e pioniere della poesia araba moderna. Fu membro del Partito Socialista Siriano Nazionalista che fa da fondo alle sue opere. La sua poesia si distingue per un lessico intuitivo e tragico. Nelle sue opere si evidenzia la sua preoccupazione per l’idea dell’esistenza e della rinascita della civilizzazione. Ha composto cinque antologie di poesie e ha collaborato con riviste letterarie. Il suo suicidio in protesta all’invasione isrealiana in Libano fu probabilmente la sua più grande metafora, e completa il cerchio della sua vita e della sua poesia.