Scritto da Dott.ssa Rola Hallam, disponibile sul suo sito in inglese ed arabo. Tradotto da Mary Rizzo
C’era una volta un regime brutale che terrorizzava un’intera nazione. E poi, all’improvviso, non c’era più.
Zacchete.
Nel giro di pochi giorni, 54 anni di controllo dal pugno di ferro e una guerra devastante durata 13 anni si sono conclusi. Come d’incanto.
Dire che i siriani sono in uno stato di shock sarebbe un eufemismo. La caduta del regime sembra a dir poco un miracolo natalizio.
C’è gioia, tanta: ondate di ululati, singhiozzi e urla che riempiono l’aria. La mia voce si è unita al coro nel momento in cui ho sentito le parole, sakat al-nizam – “il regime è caduto”.
Mentre scrivo queste righe, scendono le lacrime, lacrime di sollievo, di incredulità e del peso di tutto ciò che è stato trattenuto per così tanto tempo. C’è stato un tempo in cui non potevamo piangere. Alcuni di noi ancora non ci riescono. Le emozioni sono troppo immense, i ricordi sono stati sepolti troppo profondamente in nome della sopravvivenza. Per rimanere in vita.
Ora, il coperchio è saltato via dalla pentola a pressione e BOOM, lo stiamo sentendo…. tutto quanto.
Alcuni di noi sono entrati in azione. Alcuni sono fuggiti. Alcuni stanno combattendo. Ma la maggior parte di noi è rimasto congelato.
Come medico olistico con un profondo interesse per la guarigione dei traumi, vedo la risposta di lotta-fuga-congelamento che si svolge in un intero popolo. Il cambiamento è troppo vasto, troppo profondo per potere essere compreso.
Eppure, eccoci qui, ai margini di un sogno di lunghissima data: una Siria libera dove ogni siriano e ogni siriana possa vivere con dignità. Per la prima volta, quel sogno sembra possibile. Speranza, potenziale e possibilità danzano nel mio cuore mentre scrivo.
La maggior parte di noi immaginava questo giorno, il giorno che finalmente arrivò, l’8 dicembre.
Bashar al-Assad se n’è andato.
È reale.
Finalmente è reale.
Ma il costo della libertà è stato sbalorditivo.
Come siriani, portiamo cicatrici profonde, individualmente e collettivamente. Così, mentre la speranza arde luminosa nel mio cuore, si trova accanto al dolore, al dolore e alla confusione.
Ora che il coperchio è stato tolto, emergeranno altre verità. Fratelli e sorelle detenuti da tempo vengono rilasciati e le loro storie di orrore ci scuoteranno. Molti affronteranno il dolore di apprendere che i loro cari scomparsi non torneranno mai più.
Abbiamo più domande che risposte.
Eppure, c’è una verità che conosco: il futuro prospero della Siria dipende dalla nostra capacità di tenere sia la speranza che il lutto nei nostri cuori.
Non possiamo semplicemente “voltare pagina” come alcuni potrebbero esortarci a fare.
Dimenticare non è né possibile né salutare, né è il modo per guarire e ricostruire una Siria di pace e prosperità.
Ma ricordare per il gusto di ricordare non è nemmeno la risposta. Sì, i nostri cari meritano di continuare a vivere nei nostri ricordi. Molti faranno di tutto per preservarlo. Ma la guarigione richiede di più.
Dobbiamo elaborare ciò che è successo, insieme.
Abbiamo bisogno di fare spazio all’enormità delle nostre emozioni, allo tsunami di dolore e shock che si propaga fin dentro il midollo di tutti noi. Abbiamo bisogno di dialogo, connessione e lutto collettivo. Gli spazi facilitati in cui possiamo esprimere il lutto, piangere e sognare saranno fondamentali. Sognare insieme è altrettanto importante, immaginare la Siria che desideriamo costruire.
È qui che l’impegno centrato sulla guarigione offre speranza. Dobbiamo riconoscere e affrontare il nostro trauma come un’esperienza sia individuale che collettiva. Abbiamo bisogno di una leadership olistica che intrecci cultura, spiritualità, azione civica e guarigione collettiva nel suo quadro. Ci invita non solo a riconoscere il danno fatto, ma a rivendicare il nostro senso di missione e significato, identità e azione affrontando le cause sistemiche del trauma. Ci ricorda che non siamo definiti da ciò che ci è successo, ma da ciò che sogniamo di diventare.
Mentre alcuni sono impegnati a parlare di “intervento straniero”, noi siriani possiamo essere agenti della nostra stessa guarigione, sostenendo azioni che affrontino le condizioni sistemiche che causano i traumi. Sottolineo la natura politica della guarigione, esortando all’azione amorevole per creare sistemi di sostegno e ispirare ottimismo e trasformazione.
Questa è la leadership di cui abbiamo bisogno, una che metta al centro la nostra guarigione come requisito per ricostruire una Siria pacifica e prospera. È che o diventa un’altra Bosnia, accendi un fiammifero e l’odio presente alimenterà un’altra guerra. L’assenza della guerra non significa pace. La guarigione è un modo più sicuro per raggiungere la libertà e la dignità che tutti vogliamo. E non possiamo guarire ciò che non sentiamo.
Questo lavoro non si basa solo sull’esercito di liberazione, sui politici o sulle organizzazioni della società civile. Spetta a ognuno di noi sentire, guarire e sognare con coraggio.
Allah ci ha regalato questo momento di potenziale e possibilità. Ora tocca a noi. E se esiste un popolo che può farlo, quel popolo siamo noi.